Uno sguardo all’Educazione 2023
Nella mattinata del 12 settembre è stata pubblicata dall’OCSE la nuova edizione di quello che è il principale compendio internazionale di statistiche nazionali comparabili che misurano lo stato dell’educazione: Education at a Glance 2023.
Durante la presentazione globale del compendio (nello stesso giorno si sono svolte presentazioni incentrate e organizzate dai singoli Paesi, compresa l’Italia), Andreas Schleicher, direttore di OCSE Education and Skills ha richiamato innanzitutto l’attenzione sull’impatto che la guerra sta avendo sull’istruzione in Ucraina. Quest’anno, infatti, la pubblicazione Education at a Glance 2023 ha un capitolo in più dedicato a questo tema (Ensuring continued learning for Ukrainian refugees). Molti dei Paesi OCSE stanno fornendo sostegno ai rifugiati ucraini, compresi corsi di recupero linguistico e reclutamento di personale di lingua ucraina ed è inoltre recente la pubblicazione OCSE Learning during crisis – con indicazioni e spunti da diversi Paesi su come l’Ucraina può riprogettare il proprio sistema di istruzione –e che l’ADi ha sintetizzato a questo link: https://adiscuola.it/pubblicazioni/imparare-in-tempo-di-crisi-spunti-per-lucraina-da-diverse-parti-del-mondo/
Molta attenzione è stata data al focus principale dell’edizione Education at a Glance di quest’anno, l’istruzione e formazione professionale. Si è sottolineata in particolare la correlazione positiva tra quota di studenti nell’istruzione professionale e prospettive occupazionali in un Paese. I dati presentati suggeriscono l’importanza di costruire forti collegamenti tra istruzione e mondo del lavoro, la necessità di qualità e pertinenza nell’istruzione professionale e la necessità di mitigare lo squilibrio di genere ancora presente, con interventi precoci e incentivi anche finanziari.
Tra i dati di rilievo vi è inoltre l’importanza che rivestono fattori quali il miglioramento delle competenze e la riqualificazione per i diplomati professionali, il ruolo dei datori di lavoro nei programmi di formazione professionale, nonché i vantaggi dell’apprendimento basato sul lavoro e il suo impatto positivo sui risultati occupazionali.
Altri argomenti trattati durante la presentazione di Education at a Glance 2023 includono:
- l’educazione della prima infanzia: tra il 2015 e il 2020 l’investimento nell’istruzione della prima infanzia è cresciuto nella maggior parte dei Paesi, e questo anche quando il numero dei bambini ha cominciato a diminuire declinare, come nel caso dell’Italia. L’attenzione a questo segmento dell’istruzione – che fornisce fondamenta essenziali in termini di risultati successivi e di equità – sta quindi crescendo, anche se ci sono ancora differenze tra l’istruzione nella prima infanzia e quella primaria, dove gli insegnanti sono spesso più formati e ricevono stipendi più alti.
- le differenze di genere nelle scelte degli studi: a livello di istruzione terziaria, permangono le differenze di genere nelle scelte di studio degli studenti, non ci sono stati cambiamenti negli ultimi 20 anni. Complessivamente il numero delle donne nell’istruzione terziaria è cresciuto: in tutti i Paesi – a parte Giappone e Svizzera – le donne costituiscono la maggioranza tra i laureati. Ma quando si guarda ai diversi ambiti di studio, si vede che nel campo delle STEM, ad esempio in Giappone, meno del 20% dei laureati sono donne. E anche nei Paesi in cui la percentuale è più alta non si arriva al 50%. Le differenze di genere sono persistenti mostrando che si deve prestare maggiore attenzione – oltre che ai risultati – alle aspirazioni che si formano fin dai primi anni di scuola.
- l’internazionalizzazione dell’istruzione: nella maggior parte dei Paesi la pandemia non ha ridotto il livello di internazionalizzazione dell’istruzione terziaria. Il gruppo più numeroso di studenti internazionali viene dall’Asia, e il secondo gruppo è costituito dagli europei. Le materie più scelte dagli studenti che studiano all’estero, sono le materie STEM, mentre gli studi medici, come anche quelli relativi all’insegnamento, si trovano all’estremo opposto, presumibilmente perché i titoli di studio in questi ambiti spesso non sono riconosciuti al di fuori del Paese in cui sono stati svolti.
- i benefici sociali dell’istruzione: a questo proposito un dato rilevante è che le persone con una qualifica di livello terziario sono meno inclini a credere a teorie del complotto o della cospirazione. Affermazioni come “Gruppi di scienziati manipolano, fabbricano o sopprimono evidenze empiriche per ingannare la gente”, oppure “Il coronavirus è stato creato deliberatamente da alcuni Governi o organizzazioni” sono ritenute vere più spesso da persone con un basso livello di istruzione, molto meno da persone con qualifiche di livello terziario.
- gli stipendi degli insegnanti: data la difficoltà di comparare gli stipendi degli insegnanti in termini assoluti, perché il costo della vita varia molto da un Paese all’altro, si è guardato a come si configurano a confronto con quelli di altre professioni che richiedono una laurea. Nella maggior parte dei Paesi – compresa l’Italia – gli stipendi degli insegnanti sono più bassi di quelli di altri laureati. I salari degli insegnanti cioè non sono competitivi.
La presentazione si è conclusa con una discussione su come i Paesi investono le proprie risorse nell’istruzione, tenendo conto di come diversi fattori contribuiscono a determinare la spesa complessiva, e tra questi in particolare gli stipendi degli insegnanti, le ore di insegnamento degli insegnanti, le ore di scuola degli studenti e le dimensioni delle classi. I dati mostrano che Paesi che hanno un livello di spesa complessivo simile danno diversa priorità a questi fattori, puntando in alcuni casi sulla qualità degli insegnanti e su salari competitivi, combinando questi elementi con classi più numerose e/o orari di lavoro più lunghi, mentre altri privilegiano classi più piccole e un più basso rapporto studenti/insegnanti, elementi che vanno di pari passo a salari più bassi.
Nelle prossime righe ci focalizziamo sui dati italiani che, come l’anno scorso, sono stati presentati al MIUR dal Ministro Valditara e dalla direttrice del Centro per la Ricerca Educativa e l’Innovazione (CERI) dell’OCSE Tia Loukkola, con il coordinamento del presidente dell’INVALSI Roberto Ricci.
L’intervento del Ministro ha affrontato alcuni punti delle politiche in atto, poste in relazione con i dati emersi nella ricerca: l’importanza della educazione della prima infanzia a fini di equità, la ristrutturazione della istruzione tecnico-professionale in un 4+2 che aggiunge un livello terziario fin qui in Italia sostanzialmente mancante, la necessità di colmare il divario italiano di diplomati soprattutto al Sud e la necessità di rendere più attrattiva la professione docente che soffre di una grave crisi di immagine e pertanto di vocazioni, in Italia come in molti Paesi analizzati dal Rapporto OCSE.
Il focus del rapporto 2023, come anticipato all’inizio, è sull’istruzione tecnico professionale e sul finanziamento e l’organizzazione del sistema scolastico. Ecco alcuni dei dati emersi per l’Italia.
La quota di giovani adulti (25/34 anni) senza un’istruzione secondaria superiore è scesa dal 26% al 22% in Italia, ma rimane comunque alta rispetto a quelle degli altri Paesi analizzati. Inoltre il rapporto evidenzia che in Italia le differenze regionali sono importanti ed infatti al Sud la percentuale di giovani che ha al massimo un titolo di istruzione secondaria di I grado è pari al 25%.
Dei diplomati italiani, oltre un terzo consegue una qualifica tecnico professionale; si tratta di una percentuale più alta di quella degli altri Paesi analizzati dal Rapporto e secondo Loukkola si tratta di un settore chiave nel nostro sistema di istruzione, soprattutto nel Nord del Paese. Tuttavia i tassi di occupazione dei diplomati dell’istruzione e formazione professionale dopo uno o due anni dal conseguimento del titolo (55%) sono più bassi che in tutti gli altri Paesi dell’OCSE (media 79%) a eccezione della Grecia (53%). Questi dati – che confermano quelli di Unioncamere e di Confindustria – indicano che i percorsi di istruzione e formazione professionale in Italia devono fare passi avanti nell’assicurare una migliore transizione dei loro studenti verso il mercato del lavoro ed evidenziano l’importanza di percorsi di istruzione tecnica e professionale di alta qualità a livello terziario. Tra i giovani di 25-34 anni solo l’1% ha un titolo di istruzione post-secondario non universitario. Gli ITS che volevano rispondere a questa esigenza sono presenti in modo ineguale nel territorio e continuano ad attirare una percentuale ridotta di studenti. La percentuale di giovani che li frequenta per il momento è cresciuta di un solo punto percentuale, essendo pari al 2%.
I giovani di 25-34 anni che hanno un diploma di istruzione secondaria superiore o post-secondaria a indirizzo tecnico-professionale in Italia hanno un vantaggio retributivo ridotto rispetto a chi non ha conseguito tale qualifica, pari al 4%, un valore che è inferiore a quello di degli altri Paesi dell’OCSE. Tuttavia, il vantaggio retributivo aumenta al 40 % tra le persone di età compresa tra i 45 e i 54 anni, una percentuale notevolmente superiore alla media dell’OCSE per la stessa fascia di età, che è pari al 23 %.
Per quanto riguarda le risorse economiche destinate alla scuola, nel lungo periodo gli investimenti, in tutti i Paesi Ocse, crescono con la stessa velocità del PIL mentre la spesa pubblica italiana per l’istruzione è diminuita dal 2008 al 2020, sebbene il numero di studenti sia rimasto stabile. Si conferma la tendenza italiana a spendere di più nei livelli inferiori di istruzione, con un aumento dal 2015 al 2020 della spesa per alunno nella scuola per l’infanzia e una spesa che rimane superiore alla media OCSE nella scuola primaria. Se questo è un fatto positivo, il Rapporto ricorda che l’Italia ha un tasso di bambini di 3 anni iscritti a scuola minore rispetto ad altri Paesi, che in alcuni casi raggiungono una percentuale del 100%. L’istruzione secondaria viceversa ha visto una riduzione della spesa negli ultimi anni, contrariamente a quanto registrato in molti altri Paesi.
Quanto alla “quantità” di istruzione il Rapporto ribadisce che in Italia il numero di ore nella scuola dell’obbligo è lo stesso della media dei Paesi OCSE. La differenza sta nella distribuzione delle vacanze/interruzioni scolastiche che in Italia sono concentrate nel periodo estivo. Questo dato in passato è stato oggetto di lunghe discussioni e si pensava che l’autonomia in merito data a Regioni e scuole potesse portare a variazioni sostanziali. In realtà i cambiamenti non superano ad oggi la settimana. Anche in altre occasioni (recuperi COVID) il fattore climatico è quello che principalmente viene portato a motivazione di questa pausa così lunga.
Sul versante degli stipendi degli insegnanti, per l’Italia i dati evidenziano che questi sono più bassi rispetto alla media dei Paesi presi in considerazione dal Rapporto, fin dallo stipendio iniziale. A questo si aggiunge il fatto che in Italia lo stipendio aumenta di meno nel corso della carriera rispetto ad altri Paesi e in generale gli stipendi degli insegnanti sono più bassi di quelli di altri professionisti laureati.
Il Rapporto ci dice che si tratta di un problema diffuso che ha portato in alcuni Paesi europei ad una carenza numerica di insegnanti soprattutto nelle aree tecnico-scientifiche. Come già anticipato, gli stipendi degli insegnanti sono più bassi rispetto a quelli degli altri laureati e tra il 2010 e il 2022 il potere d’acquisto degli stipendi dei docenti è sceso in molti Paesi. La questione è complessa, perché gli stipendi degli insegnanti vanno considerati, come si è detto sopra, in relazione a diversi fattori-scelte, che nel loro insieme contribuiscono al costo dell’istruzione.
Nel caso dell’istruzione primaria, dove il costo salariale degli insegnanti per studente in Italia è in linea con la media OCSE, i dati mostrano che questo è legato a orari più lunghi di scuola per gli studenti, orari di insegnamento leggermente più brevi per gli insegnanti e un più basso numero di studenti per insegnante, fattori questi che giocano un ruolo sui costi e hanno come controparte un più basso salario degli insegnanti.
Figura C7.2. Contributo di vari fattori al costo salariale degli insegnanti per studente nelle istituzioni pubbliche, istruzione primaria (2021) tratto da OECD (2023), Education at a Glance 2023: OECD Indicators, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/e13bef63-en.
Per quanto riguarda gli aumenti in corso di carriera, che in Italia è peraltro assente nella forma di progressione legata a figure di leadership intermedia, si distribuiscono in Italia su un periodo lungo e sono legati solo all’anzianità di servizio.
Per quanto riguarda gli aumenti in corso di carriera, questi si distribuiscono in Italia su un periodo lungo e sono legati solo all’anzianità, infatti nel nostro Paese è assente una progressione di carriera legata a figure di leadership intermedia.
I dirigenti scolastici si trovano in una situazione salariale migliore rispetto a quella dei pari degli altri Paesi, presumibilmente per la scelta attuata negli anni 90 di accentuare nel profilo l’aspetto dirigenziale con tutte le ricadute anche contrattuali che ne sono seguite.
Naturalmente questi sono solo alcuni dati dell’edizione di quest’anno di Education at a Glance che, come le precedenti edizioni, è una miniera di informazioni che permette di approfondire e basare su evidenze empiriche il discorso sull’istruzione.
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Education at Glance – Sintesi a cura di Tiziana Pedrizzi
Education at Glance – Documento originale
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