Di Vincenzo Brancatisano
“PNRR, le scuole si stanno riempendo di hardware senza che le medesime, le scuole, siano dotate di personale sufficiente per usarli”. Lo dice lui, ma ce lo dicono vari operatori in tanti “fuori onda” presso le fiere didattiche. E ancora: “Si comprano tanti hardware ma pochi software”. Ma in questo caso la spiegazione sarebbe di tipo meramente burocratico: “Le aziende, specie le multinazionali, non ammettono acquisti se non con la carta credito, non accettano il buono d’ordine. Qualche software si compra, però, perché molte scuole hanno imparato a gestire le procedure complesse”.
Paolo Ferri, professore ordinario di Tecnologie per la didattica e Teorie e tecniche della formazione, presso l’Università Milano Bicocca, conferma con queste affermazioni le perplessità che abbiamo raccolto tra gli operatori alla Fiera Didacta e torna sulla formazione degli insegnanti: “Il capitale umano in genere – ci spiega – è uno dei meno formati d’Europa quanto a competenze digitali, e questo vale anche per la scuola oltre che per la pubblica amministrazione in genere e per le imprese”.
E alla domanda che tutti vorrebbero fare a chi sta procedendo con gli acquisti lui risponde: “Sì, certo, sarebbe stato meglio che la formazione fosse stata erogata prima o contemporaneamente agli acquisti”. E questo cosa vuol dire, nella pratica? “Vuol dire rischiare di fare acquisti avventati o poco ponderati. Ma non per cattiva volontà, sia chiaro, piuttosto per scarsa competenza delle persone. Molte scuole non hanno competenze digitali e dunque spesso gli acquisti potrebbero essere avventati. Quindi c’è questo gap formativo che spinge a dire compriamo, compriamo e poi spesso non sanno cosa farci con quel che si compra”. Hanno inciso, su questo, i tempi ristretti imposti dalla normativa sul PNRR.
E ha pure inciso l’abbandono prematuro del PNSD, il Piano nazionale della scuola digitale, introdotto dallo staff del Governo Renzi e defunto in concomitanza con la caduta del suo governo, ai tempi che furono. Ma Ferri è positivo sul futuro: “Ci saranno resistenze – assicura – ma i docenti si formeranno”. Intanto le manda a dire al Governo Meloni, in merito ai presunti ritardi dell’attuazione del PNRR nella scuola italiana. Alle dettagliate critiche da lui esposte sul Corriere della Sera nei giorni scorsi, hanno fatto seguito le repliche del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
“Le principali misure in tema di innovazione digitale del sistema scolastico e formativo del Pnrr di Mario Draghi – aveva scritto Ferri in un articolo dal titolo significativo “Pnrr e digitalizzazione: per scuola e università è stallo” – sono state significativamente rallentate dal governo Meloni. Sono, infatti, in ritardo molte delle riforme della Missione 4 – Istruzione e Ricerca (stanziamento di 20 miliardi di euro) e in particolare stentano le misure per completare la digitalizzazione della scuola e delle università italiane. Dopo un anno e mezzo dall’avvio del Pnrr, l’unico provvedimento in fase di compiuta attuazione è il Piano Scuola 4.0 varato dall’ex Ministro Bianchi. Più di due miliardi di euro per innovare e trasformare le scuole (100.000 aule) in ambienti di apprendimento connessi e innovativi dotati di banda ultra-larga, notebook, visori di realtà virtuale e stampanti 3D per studenti e insegnanti. Questo provvedimento doveva, però, necessariamente essere accompagnato dalla formazione alle competenze digitali del personale della scuola e delle studentesse e studenti alle materie Stem (in totale 1,2 miliardi). Caduto il governo Draghi, questi provvedimenti si sono arenati e si è venuta a creare, per questo una situazione per molti versi paradossale. I decreti Valditara del maggio 2023 – 65 e 66/23, linee di investimento Pnrr: 2.1 e 3.1 – sono bloccati (mancano le linee guida di spesa) e le scuole hanno dovuto, perciò, attuare il Piano Scuola 4.0, senza poter contare, sulla formazione necessaria”. Analizzando, poi, i due decreti “si comprende come la formazione sulle competenze digitali rischia di essere poco coordinata e molto disomogenea per qualità a livello territoriale.
Le poste di bilancio sono state allocate sulle singole scuole, senza coordinamento regionale e linee guida che indichino le priorità formative. Ogni dirigente scolastico dovrà quindi rivolgersi al «mercato» e scegliere i corsi di formazione all’interno della banca dati Sofia. Ora gli «enti accreditati» in questo data-base sono quasi più di 500 ma non sono tutti uguali.
Oltre alle offerte di formazione di enti prestigiosi come Treccani o l’Accademia della Crusca, delle scuole e università pubbliche sono accreditate in Sofia, molte associazioni ed enti, sui quali non esiste, a nostro avviso, un sufficiente sistema di controlli sulla efficacia e qualità della formazione erogata. Inoltre, non è chiaro come le singole scuole si coordineranno con le linee guida che dovranno essere definite dalla Scuola di Alta formazione e formazione continua per il personale della scuola, prevista anch’essa dal Pnrr di Draghi (Decreto Pnrr 2 del 30 aprile 2022).
L’attivazione della Scuola, anche in questo caso, è in stallo: solo nel luglio del 2023 il pedagogista Giuseppe Bertagna, è stato nominato come Presidente, affiancato da un comitato di indirizzo (nominato ad agosto). Ma le attività della scuola non si avviano perché non è stato nominato il comitato scientifico internazionale e definita la struttura di funzionamento. Se l’attuazione del Pnrr scuola appare farraginosa, non migliore la situazione presso il Ministero dell’Università e della Ricerca. Dopo un anno di attesa, la ministra Bernini ha finalmente promulgato il decreto che istituisce i Digital Education Hub previsti dal Pnrr.
Ma il finanziamento di 60 milioni è inferiore rispetto alle attese della Conferenza dei Rettori e il provvedimento è fermo in assenza del bando attuativo. I Digital Education Hub avrebbero dovuto nelle intenzioni dell’ex ministra Cristina Messa costituire tre network di eccellenza di per la digitalizzazione di parte dell’offerta formativa delle Università pubbliche. Gli Hub avrebbero, a partire da fine 2022, dovuto promuovere metodi innovativi di Didattica come l’Hybrid learning, i Moocs e le micro-credenziali per la formazione continua, e collaborare aziende e scuole del territorio per allinearsi alle richieste del mercato del lavoro e degli studenti lavoratori e fuori sede.
Si trattava della risposta pubblica alla crescita delle università telematiche private che citando il rapporto Anvur 2023 hanno visto crescere “esponenzialmente” gli studenti erano circa 44 mila nell’a.a. 2011/12 e si attestano a circa 224 mila nell’a.a. 2021/22: 11,5 % degli iscritti all’università italiana. Nutriamo però un serie di dubbi sulle reali intenzioni del governo Meloni di perseguire questa direzione innovativa di contrasto alla privatizzazione strisciante dell’Università italiana attuata dalle università telematiche. Sono stati, infatti, i governi del centro destra a istituire (decreto Moratti/Stanca 2003) e a favorire la crescita le telematiche private, che rispondono, a nostro avviso in maniera distorta, ad un bisogno reale di flessibilità nella formazione terziaria. L’augurio è che l’attuazione della Missione 4 – Istruzione e Ricerca del Pnrr riprenda vigore: i ritardi accumulati sin qui rischiano di sprecare un’occasione irripetibile per innovare il sistema italiano della scuola e della ricerca.
La replica del MIM. La direttrice generale del Ministero dell’Istruzione e Merito, Simona Montesarchio ha precisato poi, sempre sul Corriere, che il PNRR Istruzione, che si compone di 6 riforme e 11 investimenti in infrastrutture e competenze per uno stanziamento complessivo di oltre 17,59 miliardi, “non registra ritardi nella sua attuazione, in quanto sinora sono state rispettate tutte le milestone europee e nazionali e i target previsti. Persino sulla misura degli asili nido, la Commissione ha ritenuto importante lo sforzo e l’obiettivo raggiunto nell’aggiudicazione degli appalti pubblici per la costruzione o la messa in sicurezza di edifici adibiti all’educazione nella fascia di età 0-6 anni”.
E ancora: “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza presenta 2 rilevanti investimenti per la digitalizzazione delle scuole: il primo, Scuola 4.0, che prevede di trasformare almeno 100.000 aule in ambienti di apprendimento innovativi e di allestire un laboratorio per le professioni digitali del futuro in ogni scuola del secondo ciclo; il secondo, Didattica digitale integrata e formazione del personale scolastico alla trasformazione digitale, che prevede di formare almeno 650.000 unità di personale scolastico”. Inolte, “l’investimento Scuola 4.0 è in corso di attuazione da parte delle scuole”. E ancora: “Il Piano Scuola 4.0, che costituisce una cornice generale di riferimento con tutte le indicazioni utili per le scuole, pur nell’ambito della loro autonomia, fornisce anche specifiche informazioni sulla formazione del personale scolastico”.
Per la “formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico alla trasformazione digitale, il decreto di riparto delle risorse è di maggio 2023 ed è stata realizzata una specifica piattaforma nazionale, denominata «Scuola Futura», sulla quale sono attualmente disponibili e attivi 10.169 percorsi formativi sulle competenze digitali, ai quali risultano iscritti 413.559 tra docenti e personale scolastico”.
Le scuole, insomma, prosegue il Ministero, “non sono state lasciate sole nel percorso formativo, in quanto il modello delineato nel PNRR e nel decreto ministeriale prevede una formazione a più livelli: uno nazionale, anche con il supporto degli enti di ricerca del Ministero, uno articolato in percorso formativi definiti attraverso poli a livello territoriale e, infine, uno a livello di singola istituzione scolastica. Il programma di formazione sulle competenze digitali è pertanto in pieno avanzamento, grazie anche alla tempestiva individuazione con procedure avviate e concluse nel mese di novembre 2022, di 104 poli nazionali di scuole, che hanno contribuito all’offerta del catalogo dei percorsi formativi. Oltre all’attività dei poli nazionali, le singole scuole stanno realizzando, a partire dall’inizio dell’anno, percorsi formativi per i docenti con il coinvolgimento degli animatori digitali e si apprestano, a partire da questo anno scolastico, ad arricchire la propria offerta interna sulla base di ulteriori risorse già stanziate, pari a 450 milioni”.
Professor Paolo Ferri, come vede lei la situazione?
“Ci sono stati dei ritardi che non dipendono dal ministero. Dal passaggio dalla gestione Bianchi-Messa-Draghi alla gestione Meloni-Valditara-Bernini c’è stata una serie di ritardi obiettivi, nel senso che la formazione andasse di pari passo con l’attuazione del Piano scuola 4.0 che prevede l’istituzione degli ambienti di apprendimento che sono oggetto di stanziamento del piano 4.0. E lì c’è stato un obiettivo ritardo perché mentre il piano è partito a ottobre 2022 il piano di formazione ad oggi non è partito. Le linee di attuazione le stiamo attendendo.Che questo ritardo non sia imputabile ai funzionari del ministero ma al cambio di governo è evidente. Al momento circolano delle bozze che sono uscite dopo l’incontro tra l’Associazione nazionale presidi e il ministro e una bozza della Cgil. Si attendono, nello specifico, le linee guida per la spesa prevista dalle leggi 66 e 65, che sono le due direttrici della formazione, i cui decreti sono stati promulgati il 22 maggio. Queste due leggi contengono le norme sulla formazione sulle tecnologie, la DDI, la didattica digitale integrata, e quelli relativi alla formazione e all’orientamento degli studenti sulle discipline STEM e che ancora non hanno pratica attuazione perché stanno uscendo le linee guida che erano annunciate per settembre e che ancora non sono uscite. Magari sono uscite in questi giorni ma le poste di bilancio previste per la formazione alla DDI e le STEM e il multilinguismo al momento non sono nelle disponibilità delle scuole e dovevano essere invece pronte. Quello che è chiaro è che è passato un anno dallo stanziamento del piano scuola 4.0. C’è il riparto delle risorse per le une e le altre però concretamente non è stata avviata la formazione e non sono stati distribuiti i soldi alle scuole. C’è stato dunque un oggettivo ritardo sia pure, insisto, non imputabile ai funzionari del MIM”.
Entrando nel merito, come valuta i provvedimenti?
“I provvedimenti comunque sono cosa buona. Nelle intenzioni del PNRR dovrebbero formare finalmente in maniera compiuta dirigenti scolastici, insegnanti e personale Ata sulla transizione digitale della scuola, sia sul piano amministrativo sia sulla digitalizzazione della didattica”.
Lei sostiene che le poste di bilancio sono state allocate sulle singole scuole, senza coordinamento regionale e linee guida che indichino le priorità formative e che dunque ogni dirigente scolastico dovrà quindi rivolgersi al mercato e scegliere i corsi di formazione all’interno della banca dati Sofia.
“Magari verrò smentito. Ma attualmente i soldi sono stanziati sulle scuole e questo vuol dire che sarà il dirigente scolastico a scegliere il tipo di offerta formativa presente sul mercato o a decidere sulle istituzioni che erogano formazione, come ad esempio Future Lab dovranno scegliere i dirigenti scolastici e il fatto che la Scuola di alta formazione avrebbe dato le linee guida viene meno. Mi auguro che tutto ciò si recuperi. Sono già presenti istituzioni che erogano formazione e ci sono dei poli che offrono formazione alle scuole su STEM e STEAM, però al momento non sappiamo come e in che modo si dovranno comportare i dirigenti scolastici nelle istanze di formazione, più che altro si è un po’ persa la coerenza del provvedimento e questo è dovuto all’avvicendamento del governo. Anche in merito alla formazione in ingresso dei docenti, che era prevista tempo fa, il decreto è uscito a fine settembre, con i famosi 60 CFU che sono il percorso di formazione in ingresso. Noi come università ci stiamo attrezzando per erogarli, questi crediti”
Se l’attuazione del Pnrr scuola appare farraginosa, non è migliore, precisa lei, la situazione presso il Ministero dell’Università e della Ricerca. Dopo un anno di attesa, aggiunge, la ministra Bernini ha finalmente promulgato il decreto che istituisce i Digital Education Hub previsti dal Pnrr.
“Si è in attesa del bando. Il decreto stanzia 60 milioni ma il decreto è del 27 luglio 2023. Ma il finanziamento di 60 milioni è inferiore rispetto alle attese della Conferenza dei Rettori e il provvedimento è fermo in assenza del bando attuativo. I Digital Education Hub avrebbero dovuto nelle intenzioni dell’ex ministra Cristina Messa costituire tre network di eccellenza per la digitalizzazione di parte dell’offerta formativa delle Università pubbliche. Gli Hub avrebbero dovuto promuovere, a partire da fine 2022, metodi innovativi di didattica come l’Hybrid learning, i Moocs e le micro-credenziali per la formazione continua, e collaborare aziende e scuole del territorio per allinearsi alle richieste del mercato del lavoro e degli studenti lavoratori e fuori sede”.
E si trattava, secondo lei, di una auspicabile risposta pubblica alla crescita delle università telematiche private.
“Esatto. Nel frattempo le università telematiche – che rispondono a un bisogno reale, ad esempio quello degli studenti fuorisede, che non vorrebbero spostarsi dalla residenza, e quello degli studenti lavoratori – hanno avuto una crescita molto rilevante negli ultimi due anni. Con la pandemia sono cresciute, i numeri sono chiari, c’è una crescita del 100 per cento, anno accademico per anno accademico”.
Non è detto che siano il male
“Sulle università telematiche ognuno può avere il proprio parere e magari sono serissime ma la risposta pubblica ha sottovalutato molto il problema. Il tema della digitalizzazione e il tema della possibilità per le università di fornire una formazione ibrida, cioè online e in presenza, è un tema che non è stato mai affrontato bene, c’è sempre stata la paura di una presunta scarsa serietà della formazione ibrida. Il problema è però che con la pandemia c’è stata un’accelerazione violentissima delle iscrizioni alle università telematiche e allora serve sempre più una risposta pubblica nel senso di erogare corsi di laurea ibridi che siano più adeguati a certe tipologie di studenti ad esempio, come detto, i lavoratori e i fuorisede. Insisto: se le università pubbliche non si svegliano, per rendere un po’ più flessibile i corsi, a ripristinare i corsi per studenti lavoratori, le telematiche trionferanno. Uno studente che nasce in provincia e che non dispone di un’università che abbia momenti presenziali ma poi anche una parte con webinar, Moocs e altro, diventa un problema. La formazione aziendale, peraltro, è totalmente integrata nel sistema digitale”.
Molti operatori, come abbiamo rilevato durante le manifestazioni di Didacta, sono critici sul piano degli acquisti con i soldi del PNRR. Si acquista tanto hardware e pochi software, dicono. E’ così?
“Questo corrisponde allo stato di fatto normativo. I soldi che sono stanziati per la riorganizzazione di spazi e per l’acquisto di hardware e anche software. A volte è difficile acquistare i software perché molto spesso – e questa cosa la vivo io in prima persona – quando dobbiamo comprare un software c’è una procedura burocratica che impone di acquistare solo con la carta di credito”.
Ci faccia capire meglio
“Le aziende, specie le multinazionali, non ammettono acquisti se non con la carta credito. Non accettano il buono d’ordine. E’ la banalità della burocrazia. Quindi si compra del gran hardware, e qualche software perché hanno imparato le procedure complesse. E quindi quel che sta succedendo è che le scuole si stanno riempendo di hardware senza che le medesime siano dotate di personale sufficiente per usarlo”.
Ha inciso la pandemia?
“La pandemia ha inciso ma non c’è solo la pandemia, si vede come il capitale umano in genere è uno dei meno formato d’Europa quanto a competenze digitali, e questo vale anche per la scuola oltre che per la pubblica amministrazione in genere e per le imprese. Il capitale umano è poco formato alle competenze digitali”.
Sarebbe stato meglio partire subito con la formazione?
“Sì, sarebbe stato meglio che la formazione fosse stata erogata prima o contemporaneamente agli acquisti, altrimenti si rischia di fare acquisti avventati o poco ponderati. Ma non per cattiva volontà, sia chiaro, piuttosto per scarsa competenza delle persone. Molte scuole non hanno competenze digitali e dunque spesso acquisti avventati. Quindi c’è questo gap formativo che spinge a dire compriamo, compriamo e poi spesso non sanno cosa farci con quel che si compra”.
I docenti si formeranno, secondo la sua percezione?
“Sul fatto che ci possa essere una formazione di qualità sono ottimista. Penso a Future Lab, con i suoi 28 poli che in tutte le regioni italiane erogano formazione sulla transizione digitale, da questo punto di vista sono ottimista. Il sistema è abbastanza pronto per la formazione, sono meno ottimista sul fatto che la formazione sia rapida”.
Non è difficile ravvisare molte resistenze, anche di tipo ideologico-anti digitale, tra i docenti, almeno leggendo tanti post e commenti sui social
“Il corpo grosso dei docenti che hanno seguito le indicazioni del PNSD del 2015, hanno già messo in pratica quelle indicazioni e hanno provato a digitalizzare la scuola quel piano. Il problema è che il PNSD si è fermato perché il governo Renzi è caduto e non è stato rilanciato. Quelli che hanno seguito le indicazioni sono pronti, gli altri no, non sono pronti. La prima missione di Draghi del PNRR era la digitalizzazione. Ma c’è una popolazione poco formata. Tra questa ci sono gli insegnanti ma anche tanti intellettuali che vorrebbero tornare al passato. Io stesso prima della pandemia ero visto come un pazzo perché mi occupavo di digitale, poi è arrivata la pandemia e all’improvviso hanno scoperto che esistono esperti”.
Da pazzi a esperti. Da esperti di nuovo a pazzi? Si rischi di tornare indietro?
“Finita la pandemia si torna a essere di nuovo fuori moda. Il PNRR è una occasione che non si vedrà più. E tutto sommato si sta andando nella direzione giusta. O si riesce a riformare la scuola ora, con il PNRR, o non so come sarà mai possibile farlo più in futuro. Una corposa quantità dei docenti ancora ha forti resistenze o non è preparata. E la pandemia non ha aiutato”.
Se non altro la pandemia ha costretto in poche ore centinaia di migliaia di docenti a usare le tecnologie telematiche. Quasi nessuno a scuola, prima della tragica fine febbraio 2020, sapeva cosa fosse una meet, per dirne una.
“La pandemia ha aiutato sull’implementazione di piattaforme come Meet e altre ma i risultati ottenuti durante la pandemia non sono stati granché e non certo per le tecnologie. E’ arrivata la pandemia, abbiamo fatto la DAD, e abbiamo scoperto che la DAD non funziona. Ma il digitale non è la DAD. Il sillogismo secondo cui il digitale è la DAD è un sillogismo fallace che ha ulteriormente rafforzato i pregiudizi che erano già presenti nel corpo insegnanti. Al momento dunque ci sono i soldi, ci sono le strutture che possono erogare i servizi, ci sono i poli formativi e soprattutto i Future Lab. Resta da convincere gli insegnanti. Una corposa minoranza dei quali è convinta, il corpo grosso nicchia. Questo in parte è anche inevitabile”.
Secondo lei il digitale è indispensabile per la qualità degli apprendimenti?
“Non c’è dubbio, basta guardare i risultati OCSE-PISA nei paesi nordici. Il problema è questo: più una società è digitalizzata più la scuola deve andare al passo con la società. Non è possibile che a scuola si scriva solo a mano. Che si scriva anche a mano va bene, ma che si scriva solo a mano è un problema. Servono le competenze. Eppure, più la società si digitalizza più la scuola rimane l’unica agenzia che può fornire una consapevolezza critica circa l’uso delle tecnologie non solo per lo svago e l’intrattenimento”.
Oggi che cosa succede?
“Succede che lo studente medio fa un uso smodato dello smartphone in famiglia e nella sua vita privata. Se a scuola nessuno gli insegna, da quando è piccolo, che questo strumento serve non solo per lo svago ma anche per crescere professionalmente e personalmente è un problema. La scuola è l’unica realtà che può farlo. Dunque non c’è neanche da chiedersi se il digitale serva o meno. Il fatto è che il digitale è in tutti i mestieri, in tutti gli ospedali, dovunque. La scuola è l’unica agenzia che può mediare un uso critico delle tecnologie. Altrimenti l’unica cosa per cui i giovani usano il cellulare è riprendersi mentre si va ai 200 all’ora o mentre si fanno altre cose terribili. Il ragazzo usa male le tecnologie perché i genitori ne fanno cattivo uso. La scuola resta dunque l’unica agenzia formativa sul digitale. E’ per questo che a livello europeo si spinge per un uso consapevole e critico delle tecnologie. Il tutto al netto dei problemi legati all’intelligenza artificiale rigenerativa”
Entriamo nel merito
“Lei pensi solo a ChatGPT: siamo agli albori dell’ennesima rivoluzione tecnologica, che ha un impatto cognitivo grande. Letteralmente: se un docente dà compiti nozionistici, parafrasi di questa o di quella poesia o un tema, purtroppo la richiesta può ottenere una risposta dall’intelligenza artificiale rigenerativa. Tanto più servono delle competenze degli insegnanti altrimenti i compiti li fa ChatGPT e lui neppure non se ne accorge. La normativa UE sull’intelligenza artificiale è fatta bene. Tanto più allora devo preparare gli insegnanti sulla didattica digitale”.
Corriere della Sera – La replica del MIM all’articolo del professor Paolo Ferri
“In riferimento all’articolo apparso sul Corriere della Sera con il titolo «Pnrr e digitalizzazione: per scuola e università è stallo», a firma di Paolo Ferri, il Ministero dell’Istruzione e del Merito precisa quanto segue.
Il PNRR Istruzione si compone di 6 riforme e 11 investimenti in infrastrutture e competenze per uno stanziamento complessivo di oltre 17,59 miliardi. Il PNRR Istruzione non registra ritardi nella sua attuazione, in quanto sinora sono state rispettate tutte le milestone europee e nazionali e i target previsti. Persino sulla misura degli asili nido, la Commissione ha ritenuto importante lo sforzo e l’obiettivo raggiunto nell’aggiudicazione degli appalti pubblici per la costruzione o la messa in sicurezza di edifici adibiti all’educazione nella fascia di età 0-6 anni.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza presenta 2 rilevanti investimenti per la digitalizzazione delle scuole:
-il primo, Scuola 4.0, che prevede di trasformare almeno 100.000 aule in ambienti di apprendimento innovativi e di allestire un laboratorio per le professioni digitali del futuro in ogni scuola del secondo ciclo;
-il secondo, Didattica digitale integrata e formazione del personale scolastico alla trasformazione digitale, che prevede di formare almeno 650.000 unità di personale scolastico. L’investimento Scuola 4.0 è in corso di attuazione da parte delle scuole, e benché il riparto delle risorse sia stato effettuato ad agosto 2022, il vero impulso è stato dato solo con la definizione delle indicazioni operative adottate il 21 dicembre 2022, che hanno accelerato le misure e hanno riconosciuto, grazie ad un lavoro costante a supporto delle scuole, una anticipazione delle risorse nella misura del 50%, unico investimento del PNRR a ottenere una quota più rilevante in considerazione della specificità delle scuole.
Inoltre, il Piano Scuola 4.0, che costituisce una cornice generale di riferimento con tutte le indicazioni utili per le scuole, pur nell’ambito della loro autonomia, fornisce anche specifiche informazioni sulla formazione del personale scolastico. In particolare, per i laboratori delle professioni digitali del futuro le scuole secondarie di secondo grado hanno già progettato n. 2.071 laboratori per la comunicazione digitale, n. 2.022 laboratori per la creazione di prodotti e servizi digitali, n. 1.635 laboratori per la realtà virtuale e aumentata, n. 1.533 laboratori per il making e la stampa 3D/4D, numeri che vanno ben oltre il target fissato nel PNRR e che costituiranno una reale ed effettiva spinta alla digitalizzazione.
Per la formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico alla trasformazione digitale, il decreto di riparto delle risorse è di maggio 2023 ed è stata realizzata una specifica piattaforma nazionale, denominata «Scuola Futura», sulla quale sono attualmente disponibili e attivi 10.169 percorsi formativi sulle competenze digitali, ai quali risultano iscritti 413.559 tra docenti e personale scolastico.
Le scuole non sono state lasciate sole nel percorso formativo, in quanto il modello delineato nel PNRR e nel decreto ministeriale prevede una formazione a più livelli: uno nazionale, anche con il supporto degli enti di ricerca del Ministero, uno articolato in percorso formativi definiti attraverso poli a livello territoriale e, infine, uno a livello di singola istituzione scolastica. Il programma di formazione sulle competenze digitali è pertanto in pieno avanzamento, grazie anche alla tempestiva individuazione con procedure avviate e concluse nel mese di novembre 2022, di 104 poli nazionali di scuole, che hanno contribuito all’offerta del catalogo dei percorsi formativi. Oltre all’attività dei poli nazionali, le singole scuole stanno realizzando, a partire dall’inizio dell’anno, percorsi formativi per i docenti con il coinvolgimento degli animatori digitali e si apprestano, a partire da questo anno scolastico, ad arricchire la propria offerta interna sulla base di ulteriori risorse già stanziate, pari a 450 milioni.
Si ricorda che il Ministero dell’istruzione e del merito ha costituito un Gruppo di supporto e si avvale della rete delle équipe formative territoriali. Si tratta di una rete diffusa sull’intero territorio nazionale e anche presso gli Uffici scolastici regionali proprio per attivare il coordinamento necessario sulla formazione.
A questi interventi si accompagna anche un piano di semplificazione della scuola basato sul pieno utilizzo di tutte le più recenti tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, con una piattaforma unica di accesso per studenti, famiglie, personale scolastico, su tutti i servizi gestionali e amministrativi.
Sono state fornite anche linee guida nazionali come le Linee guida per l’orientamento, con le quali è stato varato un servizio innovativo, l’e-Portfolio, che utilizza tutte le risorse digitali e che sarà il principale strumento di lavoro dei docenti tutor e orientatori e che ciascuno studente e ciascuna famiglia potranno consultare direttamente on line sulla nuova piattaforma per l’orientamento.
Con le Linee guida per le discipline STEM, che sono state già adottate con decreto, il curricolo di tutte le istituzioni scolastiche sarà potenziato, a partire da questo anno scolastico, sulle competenze matematiche-scientifiche-tecnologiche e digitali. La piena realizzazione delle misure del PNRR sulla digitalizzazione delle scuole ha avuto una importantissima accelerazione su indicazione del ministro Valditara, e grazie a tutte le procedure e iniziative messe in atto negli ultimi mesi. La formazione dei docenti sulle competenze digitali sta registrando un impatto in termini quantitativi e qualitativi che non ha precedenti e che è stato reso possibile grazie alla messa in atto di un sistema innovativo basato sul catalogo unico e su una offerta formativa innovativa, che utilizza a pieno anche le risorse di e-learning e di formazione multimodale. Infine, è stato nominato ad agosto il Comitato scientifico internazionale.
Il Ministero sta avanzando celermente su tutte le azioni, le riforme e gli investimenti per un innalzamento complessivo della qualità della scuola”.
[ Simona Montesarchio, direttrice generale del Ministero dell’Istruzione e Merito]
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