Scuola e ‘ore buca’: la Corte di Cassazione e l’UE stabiliscono il diritto al pagamento

La creazione dell’orario settimanale dei docenti è un processo che richiede una considerazione attenta di vari fattori. Questi includono la gestione degli insegnanti che lavorano in più scuole o in orari spezzati, i docenti a tempo parziale, l’utilizzo di spazi comuni come palestre e laboratori, l’IRC, la distribuzione equilibrata delle materie durante la giornata e la settimana, l’alternanza di materie teoriche e pratiche durante la mattinata, gli abbinamenti orari indicati dai gruppi disciplinari e l’utilizzo razionale di tutti gli spazi.

Durante questo processo, può capitare che alcuni docenti si ritrovino con molte ore buche nel loro orario settimanale. Questo può creare tensioni e malcontento.

Le ore buche sono quelle ore in cui i docenti non sono in servizio e non sono regolamentate da nessuna norma, ma di fatto sono a disposizione della scuola. Tuttavia, le normative indicano che queste ore dovrebbero essere retribuite, una pratica spesso trascurata nelle scuole.

L’articolo 2107 del codice civile definisce l’orario di lavoro come segue: “La durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro non può superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali o dalle norme corporative”. Da ciò si deduce che ogni ora di lavoro oltre quelle stabilite dal contratto dovrebbe essere considerata come ora straordinaria e quindi retribuita.

Inoltre, la Direttiva 1993/104/CE definisce la prestazione lavorativa come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Questa definizione è stata confermata anche dal D.Lgs. n. 66/2003.

Infine, la Corte di Cassazione ha stabilito con una sentenza (17511 del 27.07.2010) che il dipendente pubblico con ore buca nel proprio orario di servizio deve essere retribuito.

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