L’approccio della philosophy for children in classe
ARTICOLO SCRITTO DA: BARBARA DRAGONI, FORMATRICE E AUTRICE SCUOLA OLTRE
Qualche anno fa sono tornata nei banchi della mia “vecchia” Università per frequentare il corso di aggiornamento professionale “Philosophy for children and community e sviluppo del pensiero critico” e questa esperienza mi ha aiutato non solo a conoscere i fondamenti della pratica educativa della P4C (così viene comunemente abbreviata la philosophy for children nel mondo anglosassone che tanto ama la sintesi), ma soprattutto ad applicare degli strumenti metodologici all’interno della didattica ordinaria in grado di sostenere i miei studenti nei loro processi di pensiero, nei loro ragionamenti e nell’ascolto-accoglienza del ragionamento proveniente dagli altri.
Matthew Lipman, il docente-filosofo che, in collaborazione con la pedagogista Ann Margaret Sharp, ha dato origine negli Stati Uniti degli anni ’70 alla philosophy for children, si rendeva conto che i suoi studenti mancavano di logica e capacità critiche argomentative, qualità essenziali per vivere da cittadini consapevoli, e di questo attribuiva la maggior responsabilità alla scuola, incapace – a suo avviso – di favorire la scoperta, la ricerca e lo sviluppo del pensiero autonomo.
Gli studenti non venivano stimolati ad apprendere e ad approfondire essenzialmente perché si chiedeva loro di fornire solo risposte senza insegnare come fare a porsi domande.
Partire invece dalle domande permette di imparare a pensare e arrivare a pensare in modo eccellente, secondo Lipman, dovrebbe essere un diritto di tutti e prerogativa di vita felice.
Con la P4C si permette agli studenti di fare esperienze di riflessione del pensiero e questo può creare cittadini consapevoli e ragionevoli, a totale vantaggio della democrazia e della comunità sociale.
Obiettivi altissimi che mi hanno affascinato e che mi hanno fatto molto riflettere, perché gli assunti da cui parte Lipman e le finalità che intende far conseguire possono trovare riscontro in ogni realtà sociale e spazio-temporale.
Certo, sperimentare la P4C in classe in maniera strutturata non è pratica semplice e immediata, visto che le sessioni prevedono delle fasi ben precise a cui dedicare opportuni spazi, tempi ed energie, però fare in modo che alcuni suoi aspetti essenziali – la problematizzazione, il dialogo, l’ascolto, la sospensione del giudizio, la rivisitazione delle proprie posizioni, la ricerca comunitaria, la metacognizione – possano diventare aspetti fondanti di una pratica didattica ordinaria, è un obiettivo da ritenere possibile e interessante da applicare.
Come docente facilitatrice, insomma, ho provato a far diventare la mia seconda classe di Scuola Secondaria di primo grado una comunità di ricerca, curiosa, stimolata, responsabile del suo percorso di apprendimento, motivato e argomentato, cercando di incidere non solo sull’aspetto motivazionale, ma anche su capacità critiche e autonomia di pensiero di ciascun suo componente.
Prevedendo esperienze di riflessione più strutturate e impostando una pratica didattica flessibile e aperta alla discussione motivata, al dialogo e all’ascolto, alla negoziazione dei significati e alla metacognizione, si può fare ogni giorno educazione al pensiero critico e complesso e si può provare a far conseguire progressivamente quell’ambizioso obiettivo di cui parlava Lipman.
Nei momenti di approccio alla P4C più strutturati, la lettura del testo-pretesto da cui costruire la cosiddetta “agenda”, ovvero la raccolta di domande o affermazioni da cui individuare il “tema” per avviare la discussione, ho fatto riferimento al libro di Matthew Lipman Il prisma dei perché, corredato da manuale per i docenti-facilitatori e riferito alla scuola secondaria di primo grado.
Il libro presenta dialoghi complessivamente e volutamente semplici, inseriti in contesti di vissuto abituali, per lasciare spazio alle domande e alle possibili occasioni di riflessione.
Non si tratta di fare comprensione del testo, bensì di stimolare e raccogliere domande da far confluire in un “tema” condiviso che diverrà oggetto di discussione e darà avvio a un percorso di ricerca, da svolgere insieme, fatto di dialoghi sostenuti dalla logica in cui ogni contributo possa venir considerato valido e possa contribuire a sviluppare un pensiero complesso e multidimensionale.
Non si tratta di scambiarsi semplicemente delle opinioni, bensì di compiere un’esplorazione di ricerca reciproca che tenga conto dell’autenticità e del riconoscimento della particolarità degli altri.
In questo modo ogni membro della classe, quindi della comunità di ricerca, avrà l’opportunità di veder accolto il suo contributo argomentato; potrà dialogare ed esercitare un pensiero riflessivo, critico e consapevole; quindi, in definitiva, potrà imparare a pensare e a farlo progressivamente in modo eccellente, proprio come voleva Lipman.
Il filosofo statunitense parlava non solo di esercizio del pensiero critico, ma anche di quello creativo, capace di produrre innovazione e caring, capace di prendersi cura di ciò che si fa, altri obiettivi importantissimi che con l’approccio alla P4C possiamo cercare di far conseguire.
L’importante per noi docenti non è cercare di fare altro rispetto a quello che già facciamo: l’importante è essere disposti a ridefinire un po’ il nostro ruolo per dar spazio a discussioni che partano dalle domande dei nostri studenti e che noi dobbiamo cercare di facilitare e non indirizzare.
Si tratta di focalizzare maggiormente l’attenzione, nel corso della nostra attività didattica ordinaria, su aspetti come la cura della dimensione relazionale-emotiva, in grado di creare le condizioni affinché tutti possano aver fiducia ad esprimersi liberamente all’interno di un gruppo. L’apertura verso nuove interpretazioni da attribuire a un testo, con possibilità di interrogarlo seguendo vie meno battute, e – soprattutto – la disponibilità alla flessibilità e all’autocorrezione permette di lavorare per far diventare i nostri studenti dei buoni cittadini e ciò farà sicuramente diventare cittadini migliori anche noi.
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