Stipendi, in Italia tra il 1991 e il 2022 sono cresciuti solo dell’1% contro il 32,5% dei Paesi OCSE

Il dato è di quelli che indiscutibilmente fa riflettere: fra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono rimasti sostanzialmente al palo, con una crescita solo dell’1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse. Vediamo i dati principali dell’ultimo Rapporto dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP).
L’Italia e la situazione dei salari
“Tra il 1991 e il 2022 – si legge nel rapporto Inapp – i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1%, a differenza dei Paesi dell’area Ocse dove sono cresciuti in media del 32,5%. In particolare, nel solo 2020 si è registrato un calo dei salari in termini reali del -4,8%. In quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un -33,6%”. Accanto a questo problema si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%.
Cala il numero di assunzioni e la forza lavoro è sempre più anziana
Dal report emerge anche che “il numero di assunzioni nel 2022 è peggiorato rispetto al 2021: 414mila nuove attivazioni nette nel 2022 a fronte di 713mila nel 2021. Si conferma un numero di attivazioni maggiore per la componente maschile (54% rispetto al 46% delle donne) mentre la categoria dei giovani, dopo essere stata colpita profondamente dalla pandemia e dalla precedente crisi del 2008, conferma il recupero di quote occupazionali: il 26% delle attivazioni del 2022 si concentra nella fascia dai 25 ai 34 anni, a seguire le quote dei 35-44enni (21%) e dei 45-54enni (20%).
A questi aspetti se ne aggiunge un altro, di carattere demografico: l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro. Mentre nel 2002 ogni 1.000 persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 aventi 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani. Il settore che di gran lunga ha i lavoratori più anziani è quello della pubblica amministrazione.
Le parole del presidente dell’Istituto Sebastiano Fadda
“Dopo la crisi pandemica le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche – ha spiegato il presidente dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche Sebastiano Fadda – a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi”.
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