Una governance inadeguata

Una governance inadeguata e l’implosione della scuola italiana nella quarta rivoluzione industriale

di Pietro Boccia

La scuola italiana sta implodendo principalmente per l’inadeguatezza della governance, come procedura funzionale alla crescita di un’istituzione, e della leadership, come strategia per il perseguimento di obiettivi condivisi, ad ogni livello. In Italia, anche la lingua è messa ai margini con le stupidaggini dei made in Italy, degli open day e così via. La lingua inglese, imposta dalla democrazia totalitaria degli Stati Uniti per un controllo sui Paesi europei, dovrebbe, pure in Italia, essere impiegata soltanto per comunicare con quelli che non conoscono quella italiana. Non è pensabile che la lingua italiana, la quarta maggiormente adottata a livello mondiale, in Italia, venga, invece, trascurata. Perciò, nella scuola italiana serve una rivoluzionaria e coraggiosa riforma, come è avvenuto nel 1959 negli Stati Uniti con la Conferenza di Woods Hole, coordinata da Jerome Bruner. Già negli anni Novanta del Novecento la scuola italiana incomincia ad implodere. Con il comma 16 dell’art.21 della Legge n. 59/1997 e il relativo D.lgs. n. 59/1998, l’istituzione scolastica italiana viene immersa nel processo di aziendalizzazione neoliberista, producendo un forte appiattimento e, in generale, l’ilotizzazione del personale. La quarta rivoluzione industriale e la società complessa esigono, invece, l’effettiva autonomia non solo didattica e organizzativa ma anche di ricerca, sperimentazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche. Solo in tal modo i livelli essenziali di prestazione potrebbero essere perseguiti e raggiunti. Il pensiero di ogni cittadino, all’interno delle società complesse, deve essere fluido, flessibile e critico per acquisire una cultura all’altezza dei tempi e poter rispondere adeguatamente alle gigantesche sfide odierne. In verità, la quarta rivoluzione industriale si è ormai affermata e la scuola italiana ancora non riesce a diventarne consapevole. 

Chi è destinato alla governance delle istituzioni scolastiche, nella società di oggi, complessa e liquida, deve possedere moltissime competenze (normativa riferita al sistema educativo di istruzione e di formazione e agli ordinamenti degli studi in Italia con particolare attenzione ai processi di riforma in atto; modalità di conduzione delle organizzazioni complesse, con particolare riferimento alla realtà delle istituzioni scolastiche ed educative statali; processi di programmazione, gestione e valutazione delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla predisposizione e gestione del Piano triennale dell’offerta formativa, all’elaborazione del Rapporto di autovalutazione e del Piano di miglioramento, nel quadro dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e in rapporto alle esigenze formative del territorio; organizzazione degli ambienti di apprendimento, con particolare riferimento all’inclusione scolastica, all’innovazione digitale e ai processi di innovazione nella didattica; organizzazione del lavoro e gestione del personale, con particolare riferimento alla realtà del personale scolastico; valutazione ed autovalutazione del personale, degli apprendimenti e dei sistemi e dei processi scolastici; elementi di diritto civile e amministrativo, con particolare riferimento alle obbligazioni giuridiche e alle responsabilità tipiche del dirigente scolastico, nonché di diritto penale con particolare riferimento ai delitti contro la Pubblica amministrazione e in danno di minorenni; contabilità di Stato, con particolare riferimento alla programmazione e gestione finanziaria presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e relative aziende speciali; sistemi educativi dei Paesi dell’Unione europea; elementi essenziali in campo socio-psico-pedagogico). Il possesso di tali competenze sono indispensabili per affrontare le numerose sfide che le istituzioni scolastiche quotidianamente sono costrette a risolvere. Oggi, la società vive la quarta rivoluzione industriale

(digitale o meglio di interconnessione e di convergenza tra la robotica, la genomica, l’intelligenza artificiale e le neuroscienze), e, in essa, si realizza pienamente la centralità non solo dell’aziendalizzazione di ogni istituzione ma anche della soggettiva imprenditorialità, attraverso il diventare ognuno imprenditore di se stesso e perfetto consumatore, destinati a sostituire i lavoratori delle precedenti rivoluzioni industriali. 

La società attuale è caratterizzata soprattutto dai processi di imprevedibilità, di velocità e di impatto immediato su tutte le discipline e su tutte le organizzazioni del lavoro. Gli effetti imprevedibili e immediati sui saperi e sul mercato del lavoro non si riesce, ancora, a comprendere e definire. Quello che è chiaro è che alcune professionalità sono destinate a scomparire. Bisogna, perciò, predisporsi, a sostituirle. La sostituzione di una professionalità con un’altra è stata storicamente normale nelle altre rivoluzioni industriali. Nella prima rivoluzione industriale agli artigiani sono subentrati gli operai; nella seconda e nella terza gli impiegati e i consumatori sostituiscono gradualmente il proletariato. Agli inizi della quarta rivoluzione industriale non solo i Paesi dell’Est, ma anche le aree del Sud del mondo sono entrate in conflitto con quelle del Nord. Tali aree calde si sono, così, dislocate, dopo la caduta del muro di Berlino, altrove. Il superamento dei conflitti armati s’intreccia, dunque, con il problema della pace e della tutela dei diritti individuali e collettivi. Le democrazie totalitarie e il capitalismo finanziario si sa che remano contro, perché sono ben consapevoli che non si può mai costruire, quando ai singoli uomini e ai popoli sono negati tali diritti, un ordine mondiale, basato sulla pace. Soltanto le pochissime teste critiche e pensanti, ancora non arruolate ai totalitarismi, sanno che i diritti individuali e collettivi devono essere riconosciuti e garantiti, attraverso una forte e condivisa istituzione sopranazionale, dal diritto internazionale, anche se ciò, oggi, purtroppo, non è nemmeno più sufficiente, giacché è emersa una nuova forma di conflitto armato, ovverosia il terrorismo. Le azioni terroristiche, imprevedibili e, a volte, immotivate, mettono in discussione non solo ogni possibilità di risolvere in maniera razionale le controversie tra le parti in conflitto, ma anche il processo di globalizzazione. I protagonisti di tali azioni sono, tuttavia, ricondotti al fenomeno della globalizzazione, perché sono identificabili e vivono nei non-luoghi, teorizzati dall’antropologo francese Marc Augé. L’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers, vale a dire contro il simbolo della moderne sofisticazioni tecniche, rappresentate da gigantesche costruzioni, ha, da un lato, segnalato l’esistenza di un nemico senza volto, che è difficile rintracciare e combattere, e, dall’altro, l’impossibilità di reagire, in maniera immediata, per trasformare l’angoscia dell’avvenire in forza positivamente propulsiva, affinché le società acquisiscano la sicurezza indispensabile per progettare e per costruire un futuro di pacifica convivenza.

La globalizzazione sta ridisegnando l’ordine gerarchico del sistema mondiale e, contemporaneamente, sta incidendo profondamente sia sulla vita quotidiana degli uomini sia sulla consapevolezza dei problemi da risolvere, che, essendo universali, devono far acquisire una responsabilità condivisa. Essa è un fenomeno complesso e si presenta, per il momento, solo come processo di integrazione economica; si auspica, però, che si diffonda anche come realtà culturale e sociopolitica. Il primo aspetto è prodotto per l’interdipendenza, a livello mondiale, tra i vari Paesi sia per l’esistenza delle multinazionali sia per l’esigenza di importazione e di esportazione delle materie prime e delle merci. Il secondo potrebbe essere rappresentato dall’integrazione culturale di alcuni popoli nei confronti di altri. Il terzo aspetto (sociopolitico) riguarda la nascita, a livello internazionale, di organizzazioni politiche (l’ONU, OCSE e così via) e sociali (OMS, UNESCO e così via). Il processo di globalizzazione ha, oggi, subito una forte accelerazione. Le spinte di liberalizzazione e di deregolamentazione, prima di tutto nel campo economico, hanno condotto, all’affermazione della concezione del neoliberismo e del capitalismo non solo totalitario, ma anche finanziario; quest’ultimo, dopo quello sperimentale (dal mondo classico al Settecento) e conflittuale (dalla prima rivoluzione industriale alla caduta del muro di Berlino – 1989 -), è riuscito, eliminando, al suo interno la classe della borghesia illuminante e degli intellettuali della “coscienza infelice”, ad affermarsi e a diffondersi fino a diventare, annebbiando tutte le coscienze, una modalità naturale per tutti. In tal modo, i capitali e le merci, circolando liberamente, facilitano e favoriscono la formazione, a livello globale, di un unico mercato. In un simile contesto, le banche e le imprese finanziarie hanno acquisito, emarginando gli scambi culturali e le comunicazioni interpersonali, un ruolo preminente. 

I cambiamenti negli apparati degli scambi economici accentuano, invece, di eliminare, a livello mondiale, sperequazioni e contrasti tra gli uomini all’interno delle società. Circa un terzo di cittadini è, infatti, costretto a vivere in totale povertà. Diventa, quindi, necessario, come molti sostengono, un forte impegno per affrontare e risolvere una tale iniquità. Solo in tal modo, il mercato globale diventerebbe, per l’intera umanità, un’opportunità. Gli Stati devono, per conseguire un tal risultato, sostenere, tramite intese e accordi di collaborazione, il processo di globalizzazione con politiche appropriate. Diversamente si producono conseguenze devastanti, come, ad esempio, l’omologazione mondiale dei mercati, e non si riesce a determinare in modo uniforme la distribuzione delle ricchezze. Il processo di globalizzazione ha, anzi, accentuato il divario tra i Paesi ricchi e le aree povere. Oggi, nel mondo, il 18% della popolazione dispone dell’83% del reddito mondiale, mentre l’82% della restante popolazione deve accontentarsi del 17% del reddito). Per Joseph E. Stiglitz, come ha scritto in La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi editore, Torino 2002, p. 5, “se la globalizzazione non è riuscita a ridurre la povertà, non è riuscita neppure ad assicurare la stabilità”. In un recente censimento della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) si sostiene addirittura che un miliardo e trecento milioni di persone non disponga, per la propria sopravvivenza, nemmeno di un dollaro al giorno. In tal modo, solo alcuni popoli vivono e partecipano al processo di globalizzazione; altri sono, invece, costretti, proprio perché le loro società non riescono a tenere il passo delle nuove tecnologie e dell’economia mondiale, a vivere ai margini o a essere esclusi dai canali di comunicazione e dai mercati internazionali.

Nel capitalismo finanziario e totalitario, per l’avvento della tecnologia informatica e digitale, tutte le attività economiche utilizzano, per essere efficacemente presenti sul mercato, esperti nella raccolta e nell’elaborazione di informazioni. Si sono, perciò, nelle società attuali, formate élites delle reti informatiche e gerarchie tra chi le rappresenta e quelli che sono costretti a subirle. Si produce, di conseguenza, un nuovo conflitto, perché le prime, vivendo nelle loro fortezze, non hanno alcun interesse per il territorio, e i secondi, pur non avendo, per il momento, alcuna possibilità di modificare la realtà, fanno, tuttavia, pressione per migliorare la loro condizione di vita e per riuscire a entrare nel sistema. Nelle società del capitalismo finanziario e totalitario si è, attraverso il processo di globalizzazione, tanto liberalizzato il capitale quanto asservita la vita della maggior parte delle popolazioni di quelle nuove periferie che si trovano nelle aree marginali. In verità, solo il denaro e il capitale sono diventati soggetti liberi. Se, ad esempio, una multinazionale decidesse, infatti, di trasferirsi dall’Europa o dagli Stati Uniti all’Asia o in altre aree emergenti, moltissimi si troverebbero all’improvviso senza lavoro. Non si può assolutamente pensare, in tal caso, a politiche sociali dell’occupazione, perché, mentre il denaro e il capitale si trasferiscono alla velocità dei nuovi mezzi di comunicazione, gli uomini si spostano lentamente o sono costretti a vivere segregati nei loro territori. 

La spietata concorrenza sul mercato mondiale e l’apertura di nuovi canali di comunicazione nei mercati internazionali stanno producendo la scomparsa dei confini e delle barriere nazionali, perché il digitale e le reti informatiche interconnesse non hanno alcun bisogno di confini territoriali e rappresentano i valori reali della globalizzazione. Le imprese, con la globalizzazione, sono facilmente acquisite da grandi organizzazioni economiche senza patrie e transnazionali, perché hanno un’assoluta libertà di manovra, senza essere, a livello territoriale, vincolate e senza avere appartenenza culturale. Oggi le imprese globalizzate sono i colossi delle reti informatiche (Google, Facebook, Amazon e Microsoft). Esse hanno, come scrive Shoshana Zuboff nel libro Il capitalismo della sorveglianza, il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, tradotto da Paolo Bassotti, Luiss University Press, Roma 2019, p. 105, costruito sistemi per trasformare i comportamenti umani attraverso attività pervasive, messe in atto dal capitalismo totalitario, non sfruttando più soltanto la natura, come è avvenuto con quello dialettico, ma, con i mezzi tecnologici, anche l’essere umano, asservendolo. “Il capitalismo industriale trasformava le materie prime naturali in prodotti; allo stesso modo il capitalismo della sorveglianza si appropria della natura umana per produrre le proprie merci.

La natura umana viene raschiata e lacerata per il mercato”. Il capitalismo finanziario e totalitario, attraverso un’architettura globale, agisce, attraverso informazioni e dati, di cui entra in possesso quando noi con un clic diamo il consenso, sui comportamenti umani, asservendo l’anima per i credenti e la mente per tutti gli altri. Già, nel 1980, Jeremy Rifkin in Entropia, Mondadori, Milano, 1982, p.

150, lamenta che “gran parte dell’energia consumata nelle moderne economie industriali rappresenta il prezzo che paghiamo per la velocità e che la categoria degli economisti non ha ancora compreso che la legge dell’entropia è la coordinata fisica di base della scarsità”.

Il sociologo Zygmunt Bauman riesce a cogliere, con la sua teoria di “società liquida”, il divario tra le imprese finanziarie e la politica, che, nella quarta rivoluzione industriale, permetterebbe alla globalizzazione di trasformarsi in una forza dirompente, a livello mondiale; egli, poi, ammonisce, riflettendo sul fatto che i politici, nella maggior parte dei casi, sono incompetenti. Le nuove generazioni, pertanto, non devono far prevalere l’emozione, perché questa non è utile per costruire ma per demolire qualcosa. Nell società liquida, l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono contrassegnate da caratteristiche e da realtà fluide e volatili che si decompongono e ricompongono velocemente e in maniera continua. I giovani devono, perciò, assumere la consapevolezza che bisogna, a ogni livello, organizzare il terreno per costruire un nuovo gruppo dirigente. La paura propagata dall’incertezza umana non può durare a lungo. L’uomo, condotto in una situazione di fragilità del tutto inedita, sentirebbe, infatti, per Bauman, il bisogno di costruire qualcosa di “solido” e “vecchio”, come bussola quanto mai attuale, vale a dire “il socialismo”. In un’intervista al “Corriere della Sera”, Bauman afferma: “C’è più bisogno di socialisti da che è caduto il Muro di Berlino”. Egli continua: “Prima il comunismo è stato – Zygmunt Bauman, intervista di Serena Zoli al Corriere della Sera del 13 ottobre 2002 – con il fiato sul collo del capitalismo producendo un meccanismo di ‘controllo ed equilibrio’ che ha salvato il capitalismo stesso dall’abisso. Ora è indispensabile il socialismo: non lo ritengo un modello alternativo di società, ma un coltello affilato premuto contro le clamorose ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’auto-adorazione dei dominanti”. Non bisogna, in ogni modo, perdere di vista il liberalismo, perché – continua l’intervista – “la sicurezza dei mezzi di sussistenza e la libertà sono complementari”; per il sociologo polacco è il socialismo, come sintesi di società libera e giusta, l’apripista per la salvezza dell’umanità. Anzi, Bauman conclude nell’ultima sua opera Società, etica e politica, dichiarando nella stessa intervista “come la fenice, rinasce dal mucchio di ceneri lasciate dai sogni bruciati e dalle speranze carbonizzate degli uomini. E sempre risorgerà. Se è così, spero di morire socialista”. Sono idee importanti, espresse da un sociologo, ritenuto di spessore mondiale.

Nel società del capitalismo finanziario e totalitario, bisogna acquisire consapevolezza che gli ideali della democrazia e del socialismo, essendo fragili e precari (Bauman direbbe “liquidi”), sono di difficile attuazione. È più semplice e meno rischioso, a livello individuale, piegare la testa e diventare servili. Comporta meno rischi e minore responsabilità. Sono, tuttavia, i giovani, che, di norma, condividendo tutto quello che è necessario contestare e rifiutare, devono trovare una sintesi sulle risposte da dare a quello che desiderano realizzare, perché il comune denominatore è, oggi, rappresentato dalla precarietà economica e dall’insicurezza psicologica. Da più parti si afferma che ci sia ormai un legame stretto tra la crisi economica degli ultimi anni e quella sociale che sta imperversando un po’ ovunque. Molti sostengono che occorre passare quanto prima da un’economia del consumo a un’economia di produzione, sanando da un lato il debito sovrano dei Paesi in crisi

(Italia compresa) e, dall’altro, rilanciando lo sviluppo economico. Il divario tra i ricchi e i poveri è destinato ad aumentare se continuano a non essere messi sotto controllo dalla politica i mercati, le tecniche finanziarie e gli investimenti economico-capitalistici. All’avvento della cultura neoliberista, venuta fuori per occultare la visione del maltusianesimo, del darwinismo sociale e dell’eugenetica, anche l’Italia è diventata preda della strategia del capitalismo finanziario e totalitario. I partiti di centro-destra sono, in tal modo, costretti a governare decisioni assunte dalla concentrazione capitalistica-finanziaria di destra, mentre quelli di centro-sinistra a governare e scimmiottare le decisioni che assume la concentrazione capitalistica-finanziaria, che, grottescamente, si definisce di sinistra. La politica deve, pertanto, ritornare alla sua centralità. Oggi i politici, a livello globale, non hanno potere, ma assumono e governano decisioni imposte dai poteri finanziari ed economici. In Italia, tale condizione è ancora maggiormente accentuata. Dagli inizi degli anni Novanta, la politica italiana governa, in maniera eterodiretta, decisioni delle forze capitalistico-finanziarie internazionali. Nell’ultimo decennio del Novecento, se alla guida della politica italiana ci fossero stati politici di spessore e non ragionieri, spacciatosi per economisti, si sarebbe sicuramente aperto un dibattito sul ruolo dell’Italia di poter diventare testa e guida dei popoli del mediterraneo oppure di decidere, com’è avvenuto acriticamente, ad accodarsi nemmeno all’Europa dei cittadini, prefigurata dai democratici e socialisti del secolo scorso, ma dei mercati e della finanza. 

Agli inizi degli anni Novanta è, in Italia, presente un deficit economico del 7%. Il 65% del prodotto interno lordo (PIL) è, tuttavia, gestito in maniera diretta o indiretta dallo Stato, che ha, come welfare state, uno scopo sociale. Intanto si decide di entrare nell’Unione europea e secondo i parametri di Maastricht, occorre, per operare a tal fine, privatizzare e portare il deficit dello Stato al 3%.  La politica di allora ragionieristica e non di spessore, invece di confrontarsi sui parametri, fa due devastanti interventi per l’Italia, vale a dire lo smantellamento delle imprese con le privatizzazioni e la disgregazione sociale con la riduzione del deficit dal 7% al 3%. Per quanto concerne le privatizzazioni non c’era efficienza allocativa. Questa “ha a che fare – ha scritto Roberto Fazioli, Dalla proprietà alle regole, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 100 – con la relazione fra prezzi e costi marginali di produzione: essa sarà massima quando i primi ricalcano i secondi, quando le quantità desiderate saranno pari a quelle offerte”. Con l’algoritmo della riduzione del debito di quattro punti (dal 7% al 3%) s’interviene con il 2% di aumento delle tasse (dal 27% sino al 53%), con la percentuale del 1,3% attraverso la diminuzione del costo della lira, attivando lo smembramento del ceto medio e, di conseguenza, permettendo l’arricchimento dei pochi e l’impoverimento di molti; infine, con la percentuale del 1,7% di taglio su ricerca e istruzione, vengono messe a repentaglio la cultura e la creazione, in Italia, di una futura classe dirigente. 

Non ci potranno, senza mettere al centro la palla della politica italiana, mai essere misure e interventi adeguati a far crescere il Paese e dare respiro alle nuove generazioni. Bisogna rompere la spirale e l’intreccio (solo i giovani possono farlo, perché non sono ancora socializzati al conformismo) tra la politica e il potere economico-finanziario del capitalismo totalitario. Dopo aver fatto acquisire alla politica un’adeguata autonomia, bisognerebbe intervenire non solo sulla riforma del mercato del lavoro, ma anche operare opportuni interventi sulle politiche fiscali e previdenziali, che, in qualche modo, dovrebbero avere lo scopo di ridurre le disuguaglianze sociali. Si migliorerebbero, di conseguenza, ridistribuendo adeguatamente la ricchezza, le condizioni di ognuno e di tutti. Bisogna, per riscoprire l’orizzonte e ritrovare il cammino, liberare le energie di ogni singolo soggetto e arginare la cultura politica del neoliberismo. La libertà è un processo, che si attua e si afferma in maniera graduale. Attraverso tale processo, la successione dei fenomeni e degli avvenimenti ha una propria forza storica, perché la libertà è interiorizzata e rivissuta, come risultato proiettivo, prima dall’individuo e, poi, dalla società. Questa perenne attività dell’uomo, nel suo cammino, incontra, per forza di cose, il mondo dell’ambiente sociale, che lo circonda e che diviene una sua parte integrante. É chiaro che gli esseri umani sono diversi gli uni dagli altri; essi vivono la diversità nella misura in cui la coscienza è in grado di allargare o di restringere il campo di svolgimento della libertà. Zygmund Bauman in Modernità liquida, Editori Laterza, Bari, 2002, p. 248, scrive, infatti che “gli individui fragili, condannati a vivere in una realtà porosa, si sentono come chi pattina su uno strato di ghiaccio”. Perciò, nei rapporti con la realtà oggettiva, l’uomo quanto più fortemente vive la sua libertà di azione tanto maggiormente comprende il mondo circostante come ostacolo o come risorsa per la sua stessa realizzazione. Il vincolo, posto all’individuo, è tutto ciò che non attiene alla sua libertà interiore.  L’umanità, per superare la condizione di una tale disumanizzante realtà, deve riappropriarsi del presente e, avvalendosi di un pessimismo solare e di un ottimismo crepuscolare, sottrarre il futuro al potere della tecnica e della finanziarizzazione della società. Si deve andare, dunque, verso una globalizzazione non solo economica, ma anche culturale, sociale e politica, attraverso una mobilitazione globale, vista quest’ultima come un processo di cambiamenti sociali, vale a dire disgregazione o rottura, spostamento o sganciamento individuale, mobilitazione psicologica (ritirata o disponibilità), mobilitazione oggettiva, reintegrazione. In un tale contesto, per l’incompetenza e l’insipienza politica che a cascata si espande all’intera società, la scuola italiana sta implodendo e i Dirigenti scolastici non possono più, per la complessità delle sfide quotidiane, governarne i processi. L’implosione della scuola italiana è ormai una realtà. La società attuale, complessa e in continua trasformazione, ha bisogno di più istruzione e formazione, per comprenderne i processi e governarli. La governance della scuola, soggiogata inconsapevolmente dalla democrazia totalitaria che governa l’Occidente, immagina, invece, di ridurre i tempi dell’istruzione e di fornire meno conoscenze e competenze alle future generazioni. Il senso della vergogna è il minimo che si possa provare. 

Sulla scuola bisogna intervenire con una riforma epocale attraverso una rivoluzione dal basso.

Servirebbe riorganizzare la scuola in 2 cicli d’istruzione dai 2 ai 18 anni. Un primo ciclo di 8 anni che dovrebbe comprendere la scuola dell’infanzia dai 2 ai 5 anni (3 anni) e primaria (5 anni); il secondo ciclo di 8 anni che dovrebbe includere la scuola secondaria di primo grado obbligatoria di 5 anni, di cui 3 dell’attuale scuola secondaria di primo grado e 2 del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado con elementi di filosofia, letteratura greca e latina, radici della civiltà occidentale (i giovani a 12 anni hanno ormai acquisito un pensiero ipotetico/deduttivo -) e la scuola secondaria di secondo grado (3 anni, di cui 2 anni del secondo biennio e 1 anno del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo non solo l’obbligatorietà e la certificazione delle competenze coinciderebbero e avrebbero un’intrinseca e logica conseguenza, ma anche i giovani italiani, come quelli di altri paesi dell’Unione europea, potrebbero affrontare un anno prima l’esame di Stato/maturità. 

Bisognerebbe, poi, abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabili e gli Uffici degli ambiti scolastici territoriali), creando un diretto collegamento delle reti di scuole con gli USR e i Dipartimenti generali del Ministero della pubblica istruzione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono una contraddizione in termini. Sarebbe necessario introdurre, a tal proposito, l’elezione diretta e democratica di un coordinatore scolastico da parte del collegio dei docenti, perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso tempo rafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttore dei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza o equipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Solo in tal modo si potrebbero invertire le proposte dell’accorpamento delle istituzioni scolastiche, finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole alle piccole comunità, al risparmio economico. Si riconoscerebbe anche lo status delle scuole a rischio e di quelle di eccellenza. 

Si dovrebbe, poi, valorizzare massimamente il ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante e usurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei (compresi orario di lavoro e stipendio – in Germania, ad esempio, a fine carriera, i docenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, ne percepiscono annualmente appena 34.052 -). A proposito dei docenti si dovrebbe anche provvedere a dar vita a corsi specifici di specializzazione per gli insegnamenti STEM per ovviare agli errori, commessi negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nell’immettere in ruolo soggetti non in possesso di profili adeguati all’insegnamento di tali discipline. La scuola italiana, ancora oggi, specialmente nei Licei, ne sta pagando le conseguenze. Tra le altre cose, per far acquisire alla scuola italiana una certa centralità e prospettarne un futuro, è necessario:  

  • considerare gli allievi come soggetti di diritto e di doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico e condiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzione sociale;
  • far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire, attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale;
  • abolire il finanziamento delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzione che recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Negli ultimi dieci anni i fondi destinati dallo Stato alle scuole private si sono, invece, moltiplicati (nel 2012 – 286 milioni, nel 2022 – 626 milioni, quest’anno, nella Finanziaria, sono previsti ulteriori 50 milioni di euro per le scuole paritarie dell’infanzia). Gli allievi che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rette mensili pagarsi tale insegnamento;
  • valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercato e i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali più deboli;
  • introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non è umanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;
  • prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A-12 – Materie letterarie e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibrato regolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliere responsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costretto a formarsi e qualificarsi continuamente; 
  • aspirare a un Ministero dell’istruzione che si converta in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente, democratica, inclusiva e pubblica.

Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interesse pubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento. Questo è un principio che nella seconda Repubblica è stato smontato meticolosamente. Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le strutture che hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione” di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema di spietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente e culturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati.

La scuola, nella storia, è stata, al contrario, caratterizzata da una traiettoria e da un percorso lineare di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, in moto i processi di: 

  • educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos Comenio); 
  • scolarizzazione (illuminismo, Rivoluzione francese e istruzione pubblica con Condorcet); 
  • tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio Casati, in Italia, nel 1859, e così via); 
  • orientamento all’unificazione dei sistemi educativi e formativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993); 
  • disponibilità all’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento (riforma Moratti, in Italia, nel 2003); 
  • educazione permanente e inclusione (strategia di Lisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010, Agenda 2030, nel 2015).

Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione entra nella fase della massima espansione e realizzazione. La scuola deve, dunque, essere un concreto luogo di formazione ricorrente e continua di tutti i cittadini, affinché acquisiscano conoscenze adeguate ad interpretare la complessità della società e a conseguire le competenze, atte a governarne, in maniera autonoma e responsabile, i processi.

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Grande affluenza al secondo Open day alla Gramsci per conoscere le novità!

Grande partecipazione al secondo open day della Gramsci, due novità: Cl@sse 4.0 e Inglese potenziato
Sabato 14 gennaio la scuola secondaria di primo grado ha aperto le porte dell’Istituto, per la seconda volta, alle famiglie e agli studenti in occasione del primo open day dedicato alla condivisione delle numerose progettualità.

I visitatori sono stati accolti nell’Aula Magna dal vice preside, Prof. Moreno Pasqualone, e dalla funzione strumentale per l’Orientamento, la Prof.ssa Marilena Ferraro, che hanno illustrato l’offerta formativa della scuola e hanno introdotto le novità dell’A.S. 2023/2024: la scuola si arricchisce di altri due indirizzi specifici oltre al percorso Musicale ovvero sarà avviata la Cl@asse 4.0 e il corso d’Inglese Potenziato.
Tante le domande dei genitori che hanno seguito con interesse e d entusiasmo. Dopo la presentazione del Dirigente i genitori con i piccoli alunni sono stati divisi in gruppi e hanno visitato i numerosi laboratori presenti nella scuola: da quello multimediale alla Cl@sse 4.0, da quello scientifico a quello musicale, dal Progetto lettura in biblioteca al laboratorio espressivo passando per le attività di motoria e artistiche.

Il tour nei diversi laboratori ha permesso ai visitatori di porre domande, di conoscere l’offerta formativa attraverso le parole e l’operato dei veri e propri protagonisti della scuola cioè gli alunni.
Per il percorso ad indirizzo musicale sono stati illustrati i vari strumenti studiati facendo esibire i giovani alunni nei vari laboratori: pianoforte con il professor Polimanti, Tromba con il professor Catena, Flauto traverso con la professoressa Barbera e Violino con il professor Papa.

Nel laboratorio scientifico, con le prof.sse Paola Carusone e Francesca Sorrentino, gli spazi e gli strumenti per i vari esperimenti hanno catturato l’attenzione.

Nel laboratorio linguistico, con i professori Valerio Filippi, Ada Catalano, Patrizia Bisacco e Licia Acquafredda,  giochi interattivi e multiculturalità.

Nelle aule adibite come Laboratorio espressivo, i genitori e i piccoli ospiti hanno potuto assistere a delle rappresentazioni letterarie interessanti e coinvolgenti: gli alunni di 1^ B, coordinati dalla professoressa Maria Rosaria Salvi,  hanno rappresentato alcune favole, come “Il lupo e l’agnello” e “Il leone e il topo”.

Le alunne di 2^ B, invece, guidate dal professore Ragozzino Salvatore, hanno illustrato l’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri anche attraverso la recitazione di versi tratti da alcuni canti. Infine, gli alunni di 2^ e 3^ C , insieme alla professoressa Lucia Decinti, hanno presentato le varie attività realizzate con le piattaforme di Book Creator e Canva.

Preso d’assalto dai piccoli alunni e dai loro genitori il laboratorio multimediale dove gli alunni della sezione A, guidati dalla prof.ssa Marilena Ferraro,  hanno illustrato le attività svolte in Italiano in Didattica digitale integrata.

Gli alunni hanno parlato anche di storytelling in realtà virtuale e aumentata facendo provare ai piccoli visitatori anche esperienze con i visori in 3D.

Di grande interesse per i genitori e per i ragazzi il nuovo corso Cl@asse 4.0 della sezione A che prevede l’utilizzo di metodologie didattiche attive e inclusive in un ambiente digitale. I genitori hanno ascoltato le spiegazioni degli insegnanti del consiglio di classe, prof.ssa Sabrina Barretta, prof.ssa Marilena Ferraro, prof.ssa Ada Catalano e prof.ssa Velia Farina,  per conoscere le modalità di insegnamento/apprendimento dimostrando grande interesse. Nell’aula 4.0 anche la disposizione dei banchi è importante per favorire l’apprendimento cooperativo e l’acquisizione di competenze didattiche e relazionali. Ogni alunno ha un dispositivo Chromebook su cui lavorare e durante l’Open day i ragazzi hanno realizzato, divisi in gruppi, tre prodotti digitali:
1 . Un poster collaborativo con Canva: “Contro Bullismo e Cyberbullismo”.
2.Una mappa interattiva con Google Earth sul viaggio di Ulisse.
3. Una mappa con Google Presentazioni per spiegare il Nome.

Qui di seguito riportiamo la presentazione del corso:

Presentazione classe 4.0 per le famiglie di marilenaferraro

Tra gli ambienti che hanno attirato l’attenzione degli ospiti la Biblioteca Scolastica è stata certamente la più sorprendente.

Luminosa, spaziosa e soprattutto ricca di creatività la biblioteca rappresenta per gli alunni della Gramsci un vero e proprio atelier di lettura e scrittura, uno spazio terzo nel quale prende vita il progetto lettura d’Istituto.

Ad accogliere i visitatori insieme con gli alunni le professoresse Barbara e Cinzia Pedrazzi e la professoressa Deborah Tosi.

L’intero Istituto, attraverso il progetto lettura, da diversi anni partecipa alle numerose iniziative di promozione alla lettura proposte dal MIUR e dal Cepell a livello nazionale.

Tra queste ricordiamo: Libriamoci, #ioleggoperchè, Il maggio dei libri oppure concorsi di lettura e scrittura nei quali i nostri alunni si sono sempre distinti ottenendo numerosi riconoscimenti.

L’open day è stata l’occasione per i ragazzi di condividere con le famiglie le diverse strategie offerte dal progetto lettura oltre che le metodologie e i prodotti finiti.

Ogni luogo della Biblioteca ha ospitato un diverso laboratorio: dal metodo caviardage alla mail art, dal laboratorio di poesia alla realizzazione di lap-book e libri pop-up, dal taccuino del lettore e dello scrittore agli organizzatori grafici.

Ad arricchire l’esposizione: segnalibri, panini imbottiti di libri, libri a fisarmonica, libri in una busta, libri in una pagina, libri in foglio e libri in scatola ispirati a Roberto Pittarello.

Ad attirare l’attenzione e la curiosità di molti anche il libro dal titolo “Racconti dal Lazio” realizzato dai nostri alunni in collaborazione con la casa editrice Psiche e Aurora.

Un altro percorso realizzato sempre all’interno del progetto lettura con il patrocinio del Comune di Aprilia, esposto durante l’open day, è il volumetto nato in occasione del 75° anniversario della Fondazione di Aprilia, dal titolo “Aprilia Raccontami”, dal suo seguito “Aprilia Raccontami 2” ed infine dall’ultimo volume “Aprilia Raccontami 3. Avventure nello spazio” che ha accompagnato la nostra mascotte oltre la Galassia.

Prossimo Open day il 14 gennaio alle ore 10,30.

Una proposta di riforma della scuola italiana per bloccarne l’implosione

La scuola italiana sta implodendo principalmente per l’inadeguatezza dellagovernance, come procedura funzionale alla crescita di un’istituzione, e della leadership,come strategia per il perseguimento di obiettivi condivisi, ad ogni livello. In Italia, anchela lingua è messa ai margini con le stupidaggini dei made in Italy, degli open day e cosìvia. La lingua inglese, imposta dalla democrazia totalitaria degli Stati Uniti per uncontrollo sui Paesi europei, dovrebbe, pure in Italia, essere impiegata soltanto percomunicare con quelli che non conoscono quella italiana. Non è pensabile che la linguaitaliana, la quarta maggiormente adottata a livello mondiale, in Italia, venga, invece,trascurata. Perciò, nella scuola italiana serve una rivoluzionaria e coraggiosa riforma,come è avvenuto, nel 1959, negli Stati Uniti con la Conferenza di Woods Hole,coordinata da Jerome Bruner. Già negli anni Novanta del Novecento la scuola italianaincomincia ad implodere. Con il comma 16 dell’art. 21 della Legge n. 59/1997 e ilrelativo D.lgs. n. 59/1998, l’istituzione scolastica italiana viene immersa nel processodi aziendalizzazione neoliberista, producendo un forte appiattimento e, in generale, ilprocesso di ilotizzazione del personale. La quarta rivoluzione industriale e la societàcomplessa esigono l’effettiva autonomia non solo didattica e organizzativa ma anche diricerca, sperimentazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche. Solo in tal modo i livelliessenziali di prestazione potrebbero essere perseguiti e raggiunti. Il pensiero di ognicittadino, all’interno delle società complesse, deve essere fluido, flessibile e critico peracquisire una cultura all’altezza dei tempi e poter rispondere adeguatamente allegigantesche sfide odierne. Oggi, in verità, la quarta rivoluzione industriale si è ormaiaffermata e la scuola italiana ancora non riesce a diventarne consapevole.
Chi è, perciò, destinato alla governance delle istituzioni scolastiche, nella società dioggi, complessa e liquida, dovrebbe possedere moltissime competenze (normativariferita al sistema educativo di istruzione e di formazione e agli ordinamenti degli studiin Italia con particolare attenzione ai processi di riforma in atto; modalità di conduzionedelle organizzazioni complesse, con particolare riferimento alla realtà delle istituzioniscolastiche ed educative statali; processi di programmazione, gestione e valutazionedelle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla predisposizione e gestionedel Piano triennale dell’offerta formativa, all’elaborazione del Rapporto diautovalutazione e del Piano di miglioramento, nel quadro dell’autonomia delleistituzioni scolastiche e in rapporto alle esigenze formative del territorio; organizzazionedegli ambienti di apprendimento, con particolare riferimento all’inclusione scolastica,all’innovazione digitale e ai processi di innovazione nella didattica; organizzazione dellavoro e gestione del personale, con particolare riferimento alla realtà del personalescolastico; valutazione ed autovalutazione del personale, degli apprendimenti e deisistemi e dei processi scolastici; elementi di diritto civile e amministrativo, conparticolare riferimento alle obbligazioni giuridiche e alle responsabilità tipiche deldirigente scolastico, nonché di diritto penale con particolare riferimento ai delitti controla Pubblica amministrazione e in danno di minorenni; contabilità di Stato, conparticolare riferimento alla programmazione e gestione finanziaria presso le istituzioniscolastiche ed educative statali e relative aziende speciali; sistemi educativi dei Paesidell’Unione europea; elementi essenziali in campo socio-psico-pedagogico). Il possessodi tali competenze sono indispensabili per affrontare le numerose sfide che le istituzioniscolastiche quotidianamente sono costrette a risolvere. Oggi, la società vive la quartarivoluzione industriale (digitale o meglio di interconnessione e di convergenza tra larobotica, la genomica, l’intelligenza artificiale e le neuroscienze), e, in essa, si realizzapienamente la centralità non solo dell’aziendalizzazione di ogni istituzione ma anchedella soggettiva imprenditorialità, attraverso il diventare ognuno imprenditore di sestesso e perfetto consumatore, destinati a sostituire i lavoratori delle precedentirivoluzioni industriali.
La società attuale è caratterizzata soprattutto dai processi di imprevedibilità, divelocità e di impatto immediato su tutte le discipline e su tutte le organizzazioni dellavoro. Gli effetti imprevedibili e immediati sui saperi e sul mercato del lavoro non siriesce, ancora, a comprendere e definire. Quello che è chiaro è che alcune professionalitàsono destinate a scomparire. Bisogna, perciò, predisporsi, a sostituirle. La sostituzionedi una professionalità con un’altra è stata storicamente normale nelle altre rivoluzioniindustriali. Nella prima rivoluzione industriale agli artigiani sono subentrati gli operai;nella seconda e nella terza gli impiegati e i consumatori sostituiscono gradualmente ilproletariato.
In un tale contesto, per l’incompetenza e l’insipienza politica che a cascata siespande all’intera società, la scuola italiana è quasi implosa e i Dirigenti scolastici nonpossono più, per la complessità delle sfide quotidiane, governarne i processi. La societàattuale, complessa e in continua trasformazione, ha bisogno di più istruzione eformazione, per comprenderne i processi e governarli. La governance della scuola,soggiogata inconsapevolmente dalla democrazia totalitaria che governa l’Occidente,immagina, invece, di ridurre i tempi dell’istruzione e di fornire meno conoscenze ecompetenze alle future generazioni. Il senso della vergogna è, così. il minimo che si puòprovare. Sulla scuola bisogna intervenire con una riforma epocale attraverso unarivoluzione dal basso. Servirebbe riorganizzare la scuola in 2 cicli d’istruzione dai 2 ai18 anni. Un primo ciclo di 8 anni che dovrebbe comprendere la scuola dell’infanzia dai2 ai 5 anni (3 anni) e primaria (5 anni); il secondo ciclo di 8 anni che dovrebbe includerela scuola secondaria di primo grado obbligatoria di 5 anni, di cui 3 dell’attuale scuolasecondaria di primo grado e 2 del primo biennio della scuola secondaria di secondogrado con elementi di filosofia, letteratura greca e latina, radici della civiltà occidentale(i giovani a 12 anni hanno ormai acquisito un pensiero ipotetico/deduttivo -) e la scuolasecondaria di secondo grado (3 anni, di cui 2 anni del secondo biennio e 1 anno delquinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo non solol’obbligatorietà e la certificazione delle competenze coinciderebbero e avrebberoun’intrinseca e logica conseguenza, ma anche i giovani italiani, come quelli di altri paesidell’Unione europea, potrebbero affrontare un anno prima l’esame di Stato/maturità.Bisognerebbe, poi, abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabilie gli Uffici degli ambiti scolastici territoriali), creando un diretto collegamento delle retidi scuole con gli USR e i Dipartimenti generali del Ministero della pubblica istruzione.
L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono unacontraddizione in termini. Sarebbe necessario introdurre, a tal proposito, l’elezionediretta e democratica di un coordinatore scolastico da parte del collegio dei docenti,perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso temporafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttoredei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza oequipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Solo in tal modosi potrebbero invertire le proposte dell’accorpamento delle istituzioni scolastiche,finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole allepiccole comunità, al risparmio economico. Si riconoscerebbe anche lo status dellescuole a rischio e di quelle di eccellenza. Si dovrebbe, poi, valorizzare massimamenteil ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante eusurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei(compresi orario di lavoro e stipendio – in Germania, ad esempio, a fine carriera, idocenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, nepercepiscono annualmente appena 34.052 -). A proposito dei docenti si dovrebbe ancheprovvedere a dar vita a corsi specifici di specializzazione per gli insegnamenti STEMper ovviare agli errori, commessi negli anni Sessanta e Settanta del Novecento,nell’immettere in ruolo soggetti non in possesso di profili adeguati all’insegnamento ditali discipline. La scuola italiana, ancora oggi, specialmente nei Licei, ne sta pagando leconseguenze. Tra le altre cose, per far acquisire alla scuola italiana una certa centralitàe prospettarne un futuro, è necessario: considerare gli allievi come soggetti di diritto edi doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico econdiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzionesociale; far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire,attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale; abolire ilfinanziamento delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzioneche recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senzaoneri per lo Stato”. Negli ultimi dieci anni i fondi destinati dallo Stato alle scuole privatesi sono, invece, moltiplicati (nel 2012 – 286 milioni, nel 2022 – 626 milioni, quest’anno,nella Finanziaria, sono previsti ulteriori 50 milioni di euro per le scuole paritariedell’infanzia). Gli allievi che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rettemensili pagarsi tale insegnamento; valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercatoe i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali piùdeboli; introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non èumanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A-12 – Materieletterarie e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibratoregolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliereresponsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costrettoa formarsi e qualificarsi continuamente; aspirare a un Ministero dell’istruzione che siconverta in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente,democratica, inclusiva e pubblica.
Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interessepubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento.Questo è un principio che nella seconda Repubblica è stato smontato meticolosamente.Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le struttureche hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione”di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema dispietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente eculturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati. La scuola, nella storia, è stata, alcontrario, caratterizzata da una traiettoria e da un percorso lineare di democratizzazionedell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, inmoto i processi di: educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos Comenio);scolarizzazione (illuminismo, Rivoluzione francese e istruzione pubblica conCondorcet); tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio Casati, inItalia, nel 1859, e così via); orientamento all’unificazione dei sistemi educativi eformativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993); disponibilitàall’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento(riforma Moratti, in Italia, nel 2003); educazione permanente e inclusione (strategia diLisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010, Agenda 2030, nel 2015).
Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazionedell’educazione, dell’istruzione e della formazione entra nella fase della massimaespansione e realizzazione. La scuola deve, dunque, essere un concreto luogo diformazione ricorrente e continua di tutti i cittadini, affinché acquisiscano conoscenzeadeguate ad interpretare la complessità della società e a conseguire le competenze, attea governarne, in maniera autonoma e responsabile.
Pietro Boccia

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