Una proposta di riforma della scuola italiana per bloccarne l’implosione
La scuola italiana sta implodendo principalmente per l’inadeguatezza della
governance, come procedura funzionale alla crescita di un’istituzione, e della leadership,
come strategia per il perseguimento di obiettivi condivisi, ad ogni livello. In Italia, anche
la lingua è messa ai margini con le stupidaggini dei made in Italy, degli open day e così
via. La lingua inglese, imposta dalla democrazia totalitaria degli Stati Uniti per un
controllo sui Paesi europei, dovrebbe, pure in Italia, essere impiegata soltanto per
comunicare con quelli che non conoscono quella italiana. Non è pensabile che la lingua
italiana, la quarta maggiormente adottata a livello mondiale, in Italia, venga, invece,
trascurata. Perciò, nella scuola italiana serve una rivoluzionaria e coraggiosa riforma,
come è avvenuto, nel 1959, negli Stati Uniti con la Conferenza di Woods Hole,
coordinata da Jerome Bruner. Già negli anni Novanta del Novecento la scuola italiana
incomincia ad implodere. Con il comma 16 dell’art. 21 della Legge n. 59/1997 e il
relativo D.lgs. n. 59/1998, l’istituzione scolastica italiana viene immersa nel processo
di aziendalizzazione neoliberista, producendo un forte appiattimento e, in generale, il
processo di ilotizzazione del personale. La quarta rivoluzione industriale e la società
complessa esigono l’effettiva autonomia non solo didattica e organizzativa ma anche di
ricerca, sperimentazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche. Solo in tal modo i livelli
essenziali di prestazione potrebbero essere perseguiti e raggiunti. Il pensiero di ogni
cittadino, all’interno delle società complesse, deve essere fluido, flessibile e critico per
acquisire una cultura all’altezza dei tempi e poter rispondere adeguatamente alle
gigantesche sfide odierne. Oggi, in verità, la quarta rivoluzione industriale si è ormai
affermata e la scuola italiana ancora non riesce a diventarne consapevole.
Chi è, perciò, destinato alla governance delle istituzioni scolastiche, nella società di
oggi, complessa e liquida, dovrebbe possedere moltissime competenze (normativa
riferita al sistema educativo di istruzione e di formazione e agli ordinamenti degli studi
in Italia con particolare attenzione ai processi di riforma in atto; modalità di conduzione
delle organizzazioni complesse, con particolare riferimento alla realtà delle istituzioni
scolastiche ed educative statali; processi di programmazione, gestione e valutazione
delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla predisposizione e gestione
del Piano triennale dell’offerta formativa, all’elaborazione del Rapporto di
autovalutazione e del Piano di miglioramento, nel quadro dell’autonomia delle
istituzioni scolastiche e in rapporto alle esigenze formative del territorio; organizzazione
degli ambienti di apprendimento, con particolare riferimento all’inclusione scolastica,
all’innovazione digitale e ai processi di innovazione nella didattica; organizzazione del
lavoro e gestione del personale, con particolare riferimento alla realtà del personale
scolastico; valutazione ed autovalutazione del personale, degli apprendimenti e dei
sistemi e dei processi scolastici; elementi di diritto civile e amministrativo, con
particolare riferimento alle obbligazioni giuridiche e alle responsabilità tipiche del
dirigente scolastico, nonché di diritto penale con particolare riferimento ai delitti contro
la Pubblica amministrazione e in danno di minorenni; contabilità di Stato, con
particolare riferimento alla programmazione e gestione finanziaria presso le istituzioni
scolastiche ed educative statali e relative aziende speciali; sistemi educativi dei Paesi
dell’Unione europea; elementi essenziali in campo socio-psico-pedagogico). Il possesso
di tali competenze sono indispensabili per affrontare le numerose sfide che le istituzioni
scolastiche quotidianamente sono costrette a risolvere. Oggi, la società vive la quarta
rivoluzione industriale (digitale o meglio di interconnessione e di convergenza tra la
robotica, la genomica, l’intelligenza artificiale e le neuroscienze), e, in essa, si realizza
pienamente la centralità non solo dell’aziendalizzazione di ogni istituzione ma anche
della soggettiva imprenditorialità, attraverso il diventare ognuno imprenditore di se
stesso e perfetto consumatore, destinati a sostituire i lavoratori delle precedenti
rivoluzioni industriali.
La società attuale è caratterizzata soprattutto dai processi di imprevedibilità, di
velocità e di impatto immediato su tutte le discipline e su tutte le organizzazioni del
lavoro. Gli effetti imprevedibili e immediati sui saperi e sul mercato del lavoro non si
riesce, ancora, a comprendere e definire. Quello che è chiaro è che alcune professionalità
sono destinate a scomparire. Bisogna, perciò, predisporsi, a sostituirle. La sostituzione
di una professionalità con un’altra è stata storicamente normale nelle altre rivoluzioni
industriali. Nella prima rivoluzione industriale agli artigiani sono subentrati gli operai;
nella seconda e nella terza gli impiegati e i consumatori sostituiscono gradualmente il
proletariato.
In un tale contesto, per l’incompetenza e l’insipienza politica che a cascata si
espande all’intera società, la scuola italiana è quasi implosa e i Dirigenti scolastici non
possono più, per la complessità delle sfide quotidiane, governarne i processi. La società
attuale, complessa e in continua trasformazione, ha bisogno di più istruzione e
formazione, per comprenderne i processi e governarli. La governance della scuola,
soggiogata inconsapevolmente dalla democrazia totalitaria che governa l’Occidente,
immagina, invece, di ridurre i tempi dell’istruzione e di fornire meno conoscenze e
competenze alle future generazioni. Il senso della vergogna è, così. il minimo che si può
provare. Sulla scuola bisogna intervenire con una riforma epocale attraverso una
rivoluzione dal basso. Servirebbe riorganizzare la scuola in 2 cicli d’istruzione dai 2 ai
18 anni. Un primo ciclo di 8 anni che dovrebbe comprendere la scuola dell’infanzia dai
2 ai 5 anni (3 anni) e primaria (5 anni); il secondo ciclo di 8 anni che dovrebbe includere
la scuola secondaria di primo grado obbligatoria di 5 anni, di cui 3 dell’attuale scuola
secondaria di primo grado e 2 del primo biennio della scuola secondaria di secondo
grado con elementi di filosofia, letteratura greca e latina, radici della civiltà occidentale
(i giovani a 12 anni hanno ormai acquisito un pensiero ipotetico/deduttivo -) e la scuola
secondaria di secondo grado (3 anni, di cui 2 anni del secondo biennio e 1 anno del
quinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo non solo
l’obbligatorietà e la certificazione delle competenze coinciderebbero e avrebbero
un’intrinseca e logica conseguenza, ma anche i giovani italiani, come quelli di altri paesi
dell’Unione europea, potrebbero affrontare un anno prima l’esame di Stato/maturità.
Bisognerebbe, poi, abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabili
e gli Uffici degli ambiti scolastici territoriali), creando un diretto collegamento delle reti
di scuole con gli USR e i Dipartimenti generali del Ministero della pubblica istruzione.
L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono una
contraddizione in termini. Sarebbe necessario introdurre, a tal proposito, l’elezione
diretta e democratica di un coordinatore scolastico da parte del collegio dei docenti,
perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso tempo
rafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttore
dei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza o
equipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Solo in tal modo
si potrebbero invertire le proposte dell’accorpamento delle istituzioni scolastiche,
finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole alle
piccole comunità, al risparmio economico. Si riconoscerebbe anche lo status delle
scuole a rischio e di quelle di eccellenza. Si dovrebbe, poi, valorizzare massimamente
il ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante e
usurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei
(compresi orario di lavoro e stipendio – in Germania, ad esempio, a fine carriera, i
docenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, ne
percepiscono annualmente appena 34.052 -). A proposito dei docenti si dovrebbe anche
provvedere a dar vita a corsi specifici di specializzazione per gli insegnamenti STEM
per ovviare agli errori, commessi negli anni Sessanta e Settanta del Novecento,
nell’immettere in ruolo soggetti non in possesso di profili adeguati all’insegnamento di
tali discipline. La scuola italiana, ancora oggi, specialmente nei Licei, ne sta pagando le
conseguenze. Tra le altre cose, per far acquisire alla scuola italiana una certa centralità
e prospettarne un futuro, è necessario: considerare gli allievi come soggetti di diritto e
di doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico e
condiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzione
sociale; far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire,
attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale; abolire il
finanziamento delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzione
che recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza
oneri per lo Stato”. Negli ultimi dieci anni i fondi destinati dallo Stato alle scuole private
si sono, invece, moltiplicati (nel 2012 – 286 milioni, nel 2022 – 626 milioni, quest’anno,
nella Finanziaria, sono previsti ulteriori 50 milioni di euro per le scuole paritarie
dell’infanzia). Gli allievi che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rette
mensili pagarsi tale insegnamento; valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercato
e i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali più
deboli; introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non è
umanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;
prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A-12 – Materie
letterarie e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibrato
regolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliere
responsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costretto
a formarsi e qualificarsi continuamente; aspirare a un Ministero dell’istruzione che si
converta in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente,
democratica, inclusiva e pubblica.
Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interesse
pubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento.
Questo è un principio che nella seconda Repubblica è stato smontato meticolosamente.
Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le strutture
che hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione”
di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema di
spietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente e
culturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati. La scuola, nella storia, è stata, al
contrario, caratterizzata da una traiettoria e da un percorso lineare di democratizzazione
dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, in
moto i processi di: educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos Comenio);
scolarizzazione (illuminismo, Rivoluzione francese e istruzione pubblica con
Condorcet); tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio Casati, in
Italia, nel 1859, e così via); orientamento all’unificazione dei sistemi educativi e
formativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993); disponibilità
all’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento
(riforma Moratti, in Italia, nel 2003); educazione permanente e inclusione (strategia di
Lisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010, Agenda 2030, nel 2015).
Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazione
dell’educazione, dell’istruzione e della formazione entra nella fase della massima
espansione e realizzazione. La scuola deve, dunque, essere un concreto luogo di
formazione ricorrente e continua di tutti i cittadini, affinché acquisiscano conoscenze
adeguate ad interpretare la complessità della società e a conseguire le competenze, atte
a governarne, in maniera autonoma e responsabile.
Pietro Boccia
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