8 marzo 2024: cinque figure femminili da conoscere
In occasione della Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne proponiamo cinque libri di recente uscita che raccontano altrettante figure femminili, affascinanti e fuori dal comune, alcune realmente esistite altre appartenute al mito.
Un augurio a tutte le donne prima di iniziare questo articolo, sperando in tempi che vedranno un sempre maggiore riconoscimento della parità dei diritti e una drastica diminuzione della violenza di genere. Oggi abbiamo qui scelto cinque titoli recentemente apparsi nelle librerie di tutta Italia per raccontare alcune delle più affascinanti figure femminili di sempre. Chi si occupò per prima di medicina e chi incantò generazioni a venire grazie alla forza del mito; chi affiancò uomini di grande fama e finì per essere amata persino più del consorte e chi nacque regina, ma senza la fortuna di un trono; e poi la madre di tutte le madri, colei che diede la vita a Leonardo Da Vinci, eppure sulla cui vita tuttora si sa ben poco. Ecco i romanzi che vi proponiamo per omaggiare queste donne e con esse tutte le donne del mondo.
1) Virdimura di Simona Lo Iacono (Guanda)
Nonostante fu una delle primissime donne al mondo a praticare con tanto di licenza la professione medica, in un’epoca in cui si trattava di un mestiere prettamente maschile e bastava poco per essere tacciate di stregoneria, il nome di Virdimura non è rimasto celebre nei secoli quanto avrebbe dovuto. Certamente sono in molti, specie nel settore e in ambito femminista, a conoscerne la storia e ad ammirarne il coraggio, tuttavia Virdimura non si è mai trasformata in un personaggio di fama internazionale al pari di figure femminili che si sono imposte in altri ambienti. È proprio per questo che il romanzo di Simona Lo Iacono, scrittrice e magistrato di origini siracusane, recentemente pubblicato da Guanda costituisce un testo fondamentale nella letteratura femminile, medica e non solo. Si tratta sì di una biografia, ma forte di un tono piacevole, romanzato e discorsivo, tale da renderla una lettura adatta a tutti. Poco più di duecento pagine redatte con ampi caratteri che consentono di ripercorrere l’affascinante vita di un’ebrea catanese dotata di immensa tenacia: fu infatti tra le prime a potersi dire una dottoressa a tutti gli effetti, non tanto perché sapeva curare e svolgere persino mansioni di chirurga – questo già lo avevano fatto altre audaci donne prima di lei – quanto per essere riuscita a ottenere presso la Commissione dei giudici di Catania il titolo di magistra.
Nata da una famiglia ebrea e abituata sin da piccola a seguire il padre medico nelle sue peregrinazioni per l’isola, fece proprie con facilità da una parte le nozioni che l’amato genitore le insegnava, dall’altra un forte senso della giustizia: fu quest’ultimo a spingerla a curare soprattutto i poveri, a mettersi in prima fila durante le epidemie e a non fare mai distinzione di razza o di religione, come d’altra parte sancisce anche il giuramento di Ippocrate. Non sembrerebbe nulla di eccezionale, visto con gli occhi di oggi, se non fosse per il fatto che Virdimura visse nel Trecento, in pieno Medioevo, un’epoca in cui una donna che curava gli infermi, somministrava infusi e conosceva le erbe veniva accusata con molta facilità di essere una strega. E in effetti anche a lei toccò difendersi da certe accuse, così come lottare per mantenere la propria indipendenza o per mettere a tacere i nemici, arrivando a votare la sua vita allo studio, all’intransigenza e in parte alla solitudine. «La medicina non esige bravura, solo coraggio» usava ripeterle suo padre, da tutti conosciuto come «il più alto dei giudei, il più forte, il più santo»; probabilmente quest’aura mitologica e di massima stima che aleggiava attorno al genitore e maestro Urìa la aiutò nell’ardua impresa di essere considerata una professionista, fino all’impensabile traguardo di ottenere la licenza per curare: un unicum nella storia di Catania – e forse del mondo intero – in pieno Medioevo.
In questo romanzo così piacevole e interessante che si legge in pochi giorni, la Lo Iacono non si limita a raccontare la storia professionale della sua beniamina attraverso lo stratagemma di partire dalla fine – quando cioè Virdimura si ritrova davanti alla commissione dei giudici in attesa che venga deciso il suo futuro, ovvero la concessione o meno di quella licenza a cui tanto tiene –, ma ne segue anche le vicende personali: dall’infanzia felice accanto al padre al legame particolare che da sempre la avvicinò alla medicina, al punto tale da farla innamorare proprio di un medico, l’amico d’infanzia Pasquale, di cui poi divenne l’orgogliosa moglie. Ancora, l’autrice ci porta nell’intimo della donna, della curatrice, della magistra, ma anche di colei che da alcuni per un certo periodo venne definita semplicemente come «Virdimura, non vedova, non ammogliata, non figlia, non sacerdotessa, non santa», il che equivaleva a dire, tra le righe, prostituta, se non persino strega. Dunque un romanzo che, narrato in prima persona e con lo stile particolare di amalgamare i discorsi diretti all’interno del racconto eliminando le virgolette, fa luce sulla vita e sulla storia di una donna da cui di certo abbiamo molto da imparare.
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