Esperto lancia l’allarme: ecco perché dormire meno di sette ore è un pericolo serio

Meno di sette ore di sonno a notte potrebbero nascondere insidie per la nostra salute. Scopriamo insieme come un riposo insufficiente possa influenzare il nostro benessere.

Cari lettori notturni, avete mai riflettuto su come il vostro stile di vita da nottambuli possa comportare rischi per la vostra salute? Una recente ricerca evidenzia i pericoli di concedersi troppo spesso a notti in bianco. Ma non preoccupatevi, vi sveleremo tutti i misteri di un buon riposo!

Prima di procedere, facciamo un po’ di chiarezza: non stiamo parlando di una singola notte insonne, ma di un ritmo di vita che prevede meno di sette ore di sonno. Gli esperti ci avvertono: non sottovalutate l’importanza di un buon riposo! E se pensate che cinque ore bastino, i rischi potrebbero essere ancora maggiori. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa ci dice la ricerca in proposito.

Il sonno e i suoi misteri: meno ore, più rischi?

Uno studio recente, presentato durante la sessione scientifica annuale dell’American College of Cardiology, ha rivelato un dato interessante: sembra che le donne possano essere più a rischio rispetto agli uomini se non dormono a sufficienza. Un rischio del 7% più alto di sviluppare problemi di pressione alta, per la precisione. Ma attenzione, queste informazioni vanno prese con cautela: gli stessi ricercatori suggeriscono ulteriori studi per confermare questi dati.

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato oltre un milione di persone provenienti da sei diversi paesi, monitorandoli in media per cinque anni. E, anche se il collegamento tra sonno insufficiente e pressione alta sembra piuttosto evidente, il professor Kaveh Hosseini, che ha discusso i risultati dello studio, invita a non trarre conclusioni affrettate e a indagare ancora su questo argomento.

Consigli per un sonno da favola: quanto dormire?

Allora, cosa possiamo fare per evitare questi potenziali rischi? La soluzione potrebbe essere più semplice di quanto pensiate: cercate di dormire tra le sette e le otto ore per notte, come suggerisce il professor Hosseini. Ma non dimenticate, ognuno di noi è unico e il nostro bisogno di sonno può variare. Gli adulti, ad esempio, necessitano in media di sette a nove ore di sonno, mentre i bambini ne richiedono di più.

Se avete problemi di sonno, non esitate a discuterne con un professionista. E ricordate, un po’ di insonnia occasionale non deve preoccuparvi, ma se inizia a influenzare la vostra vita quotidiana, potrebbe essere il momento di agire. Non trascurate il vostro riposo: potrebbe essere la chiave per una vita più sana e felice!

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“La vita è troppo breve per dormire male”, sosteneva il celebre designer italiano Ettore Sottsass. E mai come oggi questa affermazione sembra trovare riscontro nella scienza. Uno studio recente ci mette di fronte a un bivio cruciale: dormire meno di sette ore per notte non è solo una questione di stanchezza o di concentrazione, ma può diventare un fattore di rischio per la nostra salute cardiaca. La ricerca, presentata alla sessione scientifica annuale dell’American College of Cardiology, non si limita a lanciare l’allarme, ma apre una finestra sulla differenza di genere nel rischio associato alla mancanza di sonno, con le donne che sembrano essere più vulnerabili.

In Italia, patria del buon vivere, dove l’arte del “dolce far niente” si intreccia con il frenetico ritmo della vita moderna, dobbiamo chiederci: siamo disposti a sacrificare il nostro benessere per qualche ora in più di veglia? La cultura del “sempre attivi” potrebbe avere un prezzo più alto di quanto immaginiamo.

In un mondo che non dorme mai, dove le notizie ci raggiungono 24 ore su 24 e la pressione di essere sempre performanti ci assale senza tregua, forse è arrivato il momento di riconsiderare i nostri ritmi biologici. Non si tratta solo di adottare una buona igiene del sonno, ma di riconoscere l’importanza vitale di un riposo adeguato come pilastro della nostra salute. La scienza ci invita a riflettere: non è mai troppo tardi per cambiare rotta e dare al sonno il posto che merita nella nostra vita.

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Muoversi a ritmo

ARTICOLO SCRITTO DA: FRANCESCA DA RE FORMATRICE SCUOLA OLTREMUOVERSI A RITMO“Forza bimbi, a ritmo con la musica!” “E un, due, tre…e un, due, tre” “Guarda, ha il ritmo nel sangue!” “Mettiamo la musica e cerchiamo di andare a ritmo”… Ritmo… Ritmo… Ritmo… una parola semplice a dirsi quanto difficile da realizzare e trasmettere al prossimo. Solitamente le persone si dividono in due gruppi: chi il ritmo lo sente a pelle, chi il ritmo non lo sente per niente; ma è davvero così marcata e invalicabile la linea tra questi due gruppi di persone? Assolutamente, no!Secondo la definizione della Treccani[1], la parola “ritmo” significa «il succedersi ordinato nel tempo di forme di movimento, e la frequenza con cui le varie fasi del movimento si succedono». Il termine ha una bellissima origine che ci riporta al greco ῥυϑμός, affine al verbo ῥέω che significa “scorrere”: il ritmo è qualcosa che scorre, che fluisce con costanza, come lo scorrere naturale dell’acqua di un ruscello. Con riferimento ai movimenti, viene definito con «passi, mosse studiati in modo che ne risulti un movimento armonico, come di danza». Ed ecco un’altra parola del mondo della musica, armonia, che insieme al ritmo sono due dei tre elementi costitutivi della musica, insieme alla melodia.Tradurre il ritmo in azioni e movimenti non è scontato e semplice, ma è un processo che va insegnato e accompagnato nella sua evoluzione. Il ritmo in fondo ce lo abbiamo dentro di noi fin dalla nascita, anzi ancor prima, dalla vita intrauterina in cui un ritmo incessante e forte si fa sentire dentro il nostro corpo: il battito cardiaco! Tu Tum…Tu Tum…Tu Tum… Fa parte di noi, anche se non sempre lo ascoltiamo, spesso nemmeno lo sentiamo, eppure questo ritmo innato ci accompagna da sempre ed è il punto di partenza per tutti noi per sviluppare il senso del ritmo.Il primo passo è quindi quello di iniziare ad ascoltarsi e poi ad ascoltare ciò che c’è attorno a noi, i suoni della natura, le melodie, le musiche e farle nostre, trovando quella regolarità di suoni che lo rende meraviglioso, così ipnotico, e che lo fa distinguere dal resto di rumori e suoni senza definizione. Solo allora potremo fare il passaggio successivo, ovvero replicare il ritmo con movimenti del nostro corpo. Sentire, ascoltare, interiorizzare ed esprimere.Sono passaggi obbligatori per lo sviluppo di questa capacità, sia per noi adulti, ancor di più nei bambini, ma che con costanza, lungimiranza nel tempo e attività specifiche possono far germogliare quel piccolo semino che è il ritmo che è già dentro di noi e di loro.Il ritmo e la sua espressione con il movimento rientrano nelle sette Capacità Coordinative identificate dal Blume nel 1981[2]: tali capacità sono «i presupposti della prestazione motoria di un soggetto, in parte sviluppabili e in parte predeterminate geneticamente, determinate prevalentemente dai processi di controllo del movimento, che rendono un soggetto più o meno capace di esercitare con successo determinate attività motorie». Da questa definizione si capisce la loro importanza per i bambini di oggi (e adulti di domani) in quanto sono alla base del controllo del movimento: per essere acquisite sviluppano analizzatori sensoriali, cinestetici e percettivi, dislocati in tutto il corpo, e sono collegate allo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale.Nello specifico, il Blume definisce la capacità di ritmizzazione come «la capacità di intuire un ritmo imposto dall’esterno e di riprodurlo nei propri movimenti o la capacità di riprodurre un ritmo frutto della propria immaginazione o memoria». Anche in questo caso, l’acquisizione e lo sviluppo di questa capacità andrà per gradi, iniziando prima dal tradurre in movimento un ritmo esterno e solo successivamente riproducendo in maniera autonoma un proprio ritmo inventato o ricordato.Seppur tale capacità ha come fase sensibile i 7 e 11 anni circa (per fase sensibile intendiamo l’età in cui il bambino è maggiormente predisposto a sviluppare e apprendere tali capacità), il seme del ritmo va stimolato già in tenera età, in modo da preparare il terreno fertile per la futura evoluzione.Piccoli accorgimenti durante le lezioni di motricità e attività specifiche proposte con costanza nel tempo durante l’anno scolastico e, in maniera continuativa, da un anno all’altro, bastano per stimolare l’ascolto e l’interiorizzazione del ritmo esterno: muoversi o camminare seguendo il battito di mani, muoversi a turno battendo mani e piedi seguendo le indicazioni date dall’esterno, percuotere il proprio corpo come uno strumento a percussione insieme ai compagni e/o seguendo strutture ritmiche semplici, muoversi in maniera differente a seconda della melodia della musica di sottofondo.Queste sono solo alcune delle proposte a corpo libero che possono essere portate alla Scuola dell’Infanzia e del Primo Ciclo di Scuola Primaria: altrettante possono essere fatte con l’utilizzo di piccoli strumenti e materiali che ci possono essere di supporto per il ritmo, ma anche per il gioco. Se al ritmo e alla musica abbiniamo anche testi di storie e poesie, il lavoro sulla ritmizzazione diventa molto più ampio e trasversale, e soprattutto magico per i bambini! Il suono e il ritmo che pervade tutto, noi e la stanza, il movimento del corpo che ci fa sentire parte di queste note, le parole che accompagnano questa espressione in un viaggio attraverso storie e mondi paralleli.Se vuoi approfondire quanto letto in questo articolo, il corso “Parole, Movimento e Musica: un incontro stupefacente!” è quello che fa per te!

Relax: 10 cose che (forse) non conosci

Sei capace di concederti un po’ di relax? Rilassarsi sembra semplice, ma farlo per davvero e senza sensi di colpa è un’arte, e tutt’altro che scontata. Eppure, imparare a ritagliarsi momenti di “sciopero” dal dover essere produttivi a tutti i costi può regalare benefici sorprendenti per la salute, la capacità decisionale, la creatività. E può rendere ancora più brillante il ritorno al lavoro. Lo dice la scienza, che ha soltanto da poco iniziato a considerare il riposo nelle ore di veglia un tema degno di interesse. Ecco 10 cose da sapere sul relax. 

1. Relax: no ai pregiudizi radicati. «Uno dei motivi per cui è difficile rilassarsi è che la nostra cultura non valorizza il riposo, spesso ritenuto una perdita di tempo o un segno di pigrizia», spiega Claudia Hammond, psicologa e autrice di L’arte di riposare (Saggiatore, 2020). «La maggior parte delle società occidentali è costruita attorno a una forte etica del lavoro, in cui la fatica è più considerata rispetto al tempo libero nel definirci esseri umani di successo. Ciò si estende anche ai ricchi e famosi di oggi, che amano presentarsi come sempre indaffarati anziché come i “ricchi fannulloni” dei secoli precedenti. Essere sempre impegnati è quasi un distintivo d’onore. In effetti, studi psicologici hanno dimostrato che consideriamo le persone più occupate come individui più realizzati e più degni di rispetto».

Questo tipo di aspettative sociali ci pungola anche al di fuori dell’orario di lavoro. «Siamo sottoposti a pressioni non solo per sforzarci di migliorare nella nostra vita professionale, ma anche in quella personale», precisa Hammond. «Quindi, oltre ad avere un lavoro impegnativo, siamo incoraggiati a riempire il nostro “tempo libero” andando in palestra, cucinando piatti fantastici o imparando una lingua». E magari a condividere ogni progresso sui social.

2. il Riposo e il sonno. Già, ma che cos’è, esattamente, il riposo? «Non è la stessa cosa del sonno. Certo, dobbiamo dare valore anche al sonno e assicurarci di averne in abbondanza. Ma dormire bene non basta. Abbiamo anche bisogno di riposarci e rilassarci durante le ore di veglia. Ciò non significa per forza sdraiarsi sul divano o essere sedentari (anche se possiamo farlo, se è questo che ci rilassa). Piuttosto, dovremmo tutti scegliere un’attività che ci permetta di calmare i pensieri molesti, di trovare un po’ di pace mentale e di sentirci rigenerati, fosse anche solo per un breve periodo», fa notare la psicologa.

Il riposo è quindi un concetto più ampio del sonno, perché coinvolge aspetti fisici, psicologici e spirituali, ma è anche più difficile da studiare visto che ha una forte componente soggettiva. Hammond fa parte del team interdisciplinare coordinato dall’Università di Durham (Regno Unito) che ha ideato The Rest Test, il più grande studio al mondo sul riposo. La ricerca, che è stata lanciata con l’aiuto di un programma radiofonico della Bbc, ha coinvolto 18.000 persone di 135 Paesi che si sono prestate a descrivere le loro abitudini di relax.

3. le attività più rilassanti. Sorprendentemente, tra i partecipanti alla ricerca, anche gli individui dalla personalità più estroversa hanno trovato più riposanti i passatempi solitari: al primo posto c’è la lettura (58%), seguita dal trovarsi in un ambiente naturale (53,1%) e addirittura stare per conto proprio (52,1%). «A quanto sembra, quando ci riposiamo, molto spesso vogliamo fuggire dagli altri», commenta Hammond, notando che attività come passare del tempo con gli amici e in famiglia non sono entrate nella top ten (sono rimaste al numero 12). «Ma bisogna tenere presente che la nostra ricerca non riguardava le attività che le persone trovano più piacevoli, quelle che le rendono più felici, ma proprio quelle che trovano più riposanti». E c’è chi si rilassa compiendo uno sforzo fisico faticoso. «Il 15% degli intervistati ci ha detto che l’esercizio fisico era la cosa che trovavano più riposante; e l’8% ha scelto come attività rilassante “correre”». Forse, ipotizza Hammond, perché nella corsa si può raggiungere un’assenza di pensieri intrusivi simile a quella perseguita nella meditazione. Un’altra possibilità è che il senso di riposo derivi dal benessere che si prova dopo, e non durante, uno sforzo fisico intenso.

4. il relax dà salute. Due terzi degli intervistati hanno comunque affermato di non riposare abbastanza, e coloro che sentivano di aver bisogno di più riposo avevano punteggi più bassi in benessere individuale. In effetti, imparare a riposare e in generale ad avere un migliore equilibrio vita-lavoro avrebbe ricadute positive sulla salute fisica e mentale. Uno studio dell’Università California, a Irvine, ha trovato che le persone che si concedono più tempo trascorso in attività piacevoli hanno meno problemi di ipertensione, livelli più bassi di ormoni dello stress in circolazione, un girovita più sottile e un indice di massa corporea più basso, oltre a percepire una migliore funzionalità fisica (significa che ritengono il proprio corpo efficiente e non soffrono granché di piccoli disturbi).

Durante il riposo, inoltre, possiamo ricaricare il nostro sistema immunitario: la necessità di pianificare momenti di pausa tra le normali attività quotidiane è tornata alla ribalta durante la pandemia, suggerita dai medici per riprendersi del tutto dalla covid. Riposare, in particolare, è necessario per affrontare alcuni sintomi del long covid, come la fatigue, ossia il senso di spossatezza estrema, e il cosiddetto malessere post-sforzo che è un peggioramento della sindrome da stanchezza cronica.

5. Un aiuto per la memoria. Da tempo sappiamo che il sonno è fondamentale per il consolidamento di nuovi ricordi, ma alcuni studi suggeriscono che anche il riposo vigile aiuti a rafforzare la memoria di quel che si è da poco imparato. Nel 2021, una ricerca del National Institutes of Health statunitense ha trovato che nei momenti di riposo vigile il cervello comprime e consolida i ricordi delle abilità appena apprese, riproponendo come in un nastro riavvolto una versione accelerata dell’attività neurale prodotta nel compito imparato. Maggiore è il numero di “replay” che scorrono durante il riposo, più quel ricordo risulterà “solido”.

Erin J. Wamsley, neuroscienziata cognitiva della Furman University (Carolina del Sud, Usa), ha osservato che un quarto d’ora di riposo vigile a occhi chiusi potenzia la codifica di nuovi ricordi in vari tipi di memoria, incluse quella procedurale e verbale, rispetto a trascorrere 15 minuti impegnati in un altro compito. L’effetto persiste per una settimana o più dopo il riposo. Secondo Wamsley, il consolidamento avviene mentre il cervello è nella cosiddetta “modalità di base”, uno schema di attività cerebrale che si verifica anche (ma non solo) quando non siamo impegnati in attività che richiedono grande concentrazione o quando appunto riposiamo. Questo stato sembrerebbe contribuire, inoltre, al pensiero creativo e alla generazione di nuove idee.

6. Più ti riposi, più sei deciso. Imparare a riposare sembra anche migliorare le capacità decisionali. Prendere decisioni razionali richiede una buona dose di controllo cognitivo, ossia l’abilità di dirigere in modo flessibile pensieri e azioni orientandoli verso uno scopo, ma quando siamo affaticati anche decisioni semplici come che cosa mettere in tavola a cena possono sembrare inaffrontabili. Perché? Gli studi in neuroimaging mostrano che il ridotto controllo cognitivo è legato a una diminuzione dell’attività della corteccia prefrontale laterale: si pensava che dipendesse da una progressiva riduzione di una qualche riserva energetica del cervello, ma Antonius Wiehler, neuroscienziato cognitivo dell’Institut du Cerveau et de la Moelle épinière, a Parigi, ha un’ipotesi alternativa.

7. il ruolo del glutammato. La colpa potrebbe essere, piuttosto, di un accumulo di glutammato, un amminoacido che svolge il ruolo di neurotrasmettitore eccitatorio. Spiega il neuroscienziato. «Esercitare controllo cognitivo per un periodo di tempo prolungato porta a un accumulo di glutammato nella corteccia prefrontale laterale. Alte concentrazioni di glutammato sono potenzialmente tossiche, così l’attività della corteccia prefrontale laterale risulta ridotta», spiega Wiehler, che ha rilevato questo aumento in chi è reduce da compiti impegnativi dal punto di vista mentale, come restare per sei ore e mezza davanti al pc per un test di attenzione. Anche se i suoi studi non lo provano direttamente, il glutammato potrebbe accumularsi all’esterno dei neuroni e disturbare la loro normale funzionalità. In effetti, i soggetti cui era stato assegnato il compito più difficile si mostravano con il passare delle ore in difficoltà nel prendere decisioni razionali. Se l’ipotesi di Wiehler è esatta, è probabile che durante il riposo il glutammato venga eliminato.

8. stacca ALmeno Tre ore al giorno. Quanto riposo sia necessario per ripristinare gli equilibri chimici ottimali e farci tornare… lucidi è tutto da scoprire. Uno studio del 2021 dell’Università della Pennsylvania e dell’Università della California di Los Angeles ha trovato che, se è vero che poco tempo libero è legato a un minore benessere soggettivo, averne troppo non si traduce automaticamente in un maggiore benessere percepito perché interviene un senso di scarsa produttività. L’equilibrio ideale immaginato dai partecipanti, che avevano riportato in che modo trascorressero le 24 ore di una loro giornata tipo, è avere a disposizione una quantità moderata (3 ore e mezza) di ore libere dal lavoro da trascorrere in attività non produttive, oppure un’elevata quantità di ore libere (7 ore) da impiegare però in attività produttive e non solitarie, in relazione con gli altri. Anche i risultati del Rest Test confermano che il riposo è maggiormente apprezzato se alternato comunque a qualche ora di lavoro. Se è forzato, perché legato a fattori che lo impongono come una malattia, o alla disoccupazione, non è sempre visto come un’attività piacevole.

9. dai Valore al riposo. La ricetta del riposo perfetto. Come essere sicuri, quindi, di riposare come si deve? «Comincerei col dire che ognuno di noi dovrebbe trovare quella cosa che per me equivale al giardinaggio: quella che mette fine alle chiacchiere incessanti nella testa, che allontana dalle pressioni e dalle preoccupazioni della vita e che ci rende calmi e centrati.

Bisogna individuare quell’attività (o più di una) e poi “auto-prescriversi” spazi orari nell’arco della giornata in cui dedicarle del tempo», dice Hammond. Avete presente tutte le volte che invece di concedersi una pausa si continua a lavorare per non “perdere tempo”? Ecco, si può cominciare da qui. «Non bisogna commettere l’errore di saltare l’attività riposante quando le vicende della vita si fanno impegnative. Va considerata una priorità come qualsiasi altra cosa». Occorre insomma imparare a dire dei no decisi per non ipotecare il tempo libero futuro. E quando finalmente si dedica un po’ di spazio al relax bisogna notarlo: secondo Hammond, gli studi sul tempo dimostrano che riposiamo più spesso di quanto non si creda e che per apprezzare realmente una pausa, bisogna valorizzarla come tale.

10. Sfrutta i tempi morti per rilassarti. «Suggerisco la “riformulazione” di cose come aspettare i treni o essere in coda all’ufficio postale come opportunità inaspettate ma gradite di riposare, anziché come fastidi o frustrazioni», continua Hammond. Potrebbe anche aiutare accettare il fatto che la lista delle cose che abbiamo da fare non si esaurirà mai, e che per quanto possiamo pensare di essere ben organizzati, gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. E dunque possiamo lasciarli da parte e permetterci di segnare in agenda anche voci come “riposo” o “pausa”. «Dovremmo fare di più di ciò che ci è sempre stato detto di non fare quando eravamo bambini a scuola, vale a dire isolarci, spegnere il cervello e guardare fuori dalla finestra», conclude Hammond. Ma senza prenderci troppo sul serio: per non cadere nella trappola di trasformare anche il riposo in una delle tante cose da spuntare dalla lista.

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