Modello senza reggiseno semina scandalo a Buckingham Palace: i passanti indignati “È semplicemente sbagliato”

Buckingham Palace ha visto di tutto, ma nulla paragonabile a ciò che è successo di recente. Turisti e guardie reali sono rimasti a bocca aperta per un evento davvero eclatante. Scopriamo insieme cosa è successo!

Sei appassionato di gossip e moda? Allora questo articolo è pane per i tuoi denti. Ti portiamo direttamente nel cuore di Londra, dove un modello senza reggiseno ha scatenato un vero e proprio putiferio davanti a Buckingham Palace. Turisti sbalorditi e guardie reali che cercavano di mantenere l’indifferenza. Ma cosa è successo di così eclatante?

Una modella dai capelli corvini, ingaggiata dal brand londinese Poster Girl, ha deciso di attirare su di sé tutti gli sguardi, indossando un abito audace per promuovere la vendita di metà stagione del marchio. E chi meglio di Dua Lipa per rappresentare lo stile di questo brand? Sì, avete capito bene, anche la popstar è tra le affezionate del marchio. La nostra modella, in tacchi vertiginosi e con un abito che lasciava poco all’immaginazione, ha attraversato la folla di turisti davanti al palazzo reale.

Una sfilata improvvisata che ha fatto girare la testa

La modella ha attraversato la folla con la grazia di una ballerina, mantenendo l’equilibrio su dei tacchi bianchi stravaganti, adornati con un fiocco. Il mini abito, con scollo profondo e due legacci che si incrociavano sul décolleté, non ha lasciato molto spazio all’immaginazione. E mentre la nostra eroina della passerella improvvisata accelerava il passo, non ha esitato a fare una giravolta che… ops! Ha rivelato un po’ troppo, scatenando sospiri e qualche imbarazzo tra i presenti.

Il brand Poster Girl ha colto l’attimo per lanciare la propria vendita con un post su Instagram che ha fatto il giro del web: “Corri, non camminare, verso la vendita di metà stagione #POSTERGIRL”. I commenti non si sono fatti attendere, tra chi rideva per l’audace performance e chi esaltava la scena definendola “fantastica”. Ma, come in ogni storia che si rispetti, c’è sempre qualcuno pronto a storcere il naso. Così, tra chi sottolineava la “scandalosità” dell’atto e chi si dichiarava confuso, il dibattito online si è infiammato.

Quando la moda incontra la monarchia: opinioni divise

Carissimi lettori, sappiamo bene che quando si tratta di moda e provocazioni, le opinioni sono sempre molto divise. E in questo caso, non è stato diverso. Alcuni hanno applaudito la scelta coraggiosa e fuori dagli schemi del brand e della modella, altri invece hanno espresso il proprio disappunto, ritenendo l’episodio poco rispettoso nei confronti di un luogo simbolo come Buckingham Palace. “Cara, si vede il tuo lato B”, ha commentato qualcuno, mentre altri si sono limitati a dire che la folla non sembrava particolarmente impressionata. Ma, come sempre, vi invito a prendere tutto con un pizzico di sale e a ricordare che, in fondo, si tratta di moda, di arte, di espressione personale.

Ricordatevi sempre di verificare le fonti prima di trarre conclusioni affrettate, e considerate che, a volte, ciò che viene percepito come uno scandalo potrebbe essere semplicemente una trovata pubblicitaria ben orchestrata. E voi, cari lettori, da che parte state? La moda deve sempre rispettare le convenzioni o può permettersi di infrangerle?

In un mondo in cui l’attenzione è sempre più difficile da catturare, alcune strategie di marketing possono

“La moda passa, lo stile resta”, affermava Coco Chanel, e mai come in questo caso si può riflettere su quanto l’essenza di queste parole risuoni nella società contemporanea. L’audace performance di una modella senza reggiseno davanti a Buckingham Palace, nel cuore di Londra, ha sollevato un polverone di opinioni contrastanti. Da un lato, l’ammirazione per il coraggio e la sicurezza di una donna che, in nome della moda, ha osato sfidare convenzioni e tabù. Dall’altro, il disappunto di chi ha visto in tale gesto una mancanza di rispetto verso un luogo simbolo della monarchia britannica e dei suoi visitatori.

La scelta di Poster Girl di lanciare la propria vendita stagionale con una simile esibizione è un chiaro segnale di come il marketing sia sempre più orientato a rompere gli schemi per emergere nel rumore mediatico. Ma è giusto che ogni forma di espressione venga accettata in nome dell’arte e del commercio? La linea tra lo stile personale e la provocazione gratuita è sottile, e la reazione del pubblico “confuso” e “non impressionato” ci ricorda che, forse, ci sono ancora dei confini che non tutti sono pronti ad attraversare.

In un mondo in cui l’immagine è tutto e l’attenzione è una valuta pregiata, la vera domanda che emerge è: fino a che punto siamo disposti a spingerci per rimanere impressi nella memoria collettiva? La risposta, come la moda stessa, è in continua evoluzione.

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Quando l’inquinamento diventò un colore: il fumo di Londra

È un grigio scuro con una punta di blu. Periodicamente torna di moda perché è una tinta sobria ed elegante (sempre che si possa attribuire questa caratteristica a un colore). Sto parlando del cosiddetto ‘fumo di Londra‘, colore noto anche come ‘grigio Londra’.

Se volessimo ottenerlo al computer, ad esempio con Photoshop, dovremmo usare una di queste miscele.

Il risultato è un tono di grigio leggermente ‘freddo’, un colore un po’ metallico.

Ma da dove arriva questa denominazione? Molti fanno risalire la codifica di questo colore al ‘Grande smog‘, un gravissimo episodio di inquinamento avvenuto a Londra tra il 5 e il 9 dicembre del 1952.
A creare quella mortale cappa di smog (che provocò oltre 12.000 vittime) fu una concomitanza di cause diverse: lo spostamento dell’anticiclone delle Azzorre sull’Atlantico che provocò la formazione di uno strato di aria fredda e immobile su Londra; il conseguente addensamento di una fitta nebbia dovuta alla condensa dell’aria umida e l’abbassamento delle temperature che spinse gli abitanti ad aumentare il consumo di carbone per il riscaldamento domestico, provocando un’enorme dispersione di particelle di fuliggine che si sommarono a quelle delle fabbriche e delle centrali elettriche.

Gli effetti furono pesantissimi: la circolazione automobilistica divenne pressoché impossibile, i pedoni si smarrivano tra le strade e vennero persino chiusi teatri e cinema poiché il fumo penetrato al loro interno non rendeva visibile il palco. Ma l’aspetto più drammatico fu l’impennata di malattie respiratorie dovute ai livelli altissimi di acido solforico nell’aria che portarono nell’immediato a circa 4.000 decessi.
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Qualche anno più tardi, quando la classe politica si rese conto della correlazione tra quell’evento e i danni provocati alla salute dei cittadini, il governo inglese emanò il Clean Air Act, uno dei primi provvedimenti legislativi moderni volto a ridurre le emissioni inquinanti. Una legge che sostanzialmente decretò la fine dell’era del carbone e lo spostamento fuori dalle città di tutte le attività produttive.
Quanto al color fumo di Londra, come dicevo sopra, la sua  nascita viene spesso associata a questo episodio per via della tinta grigio scuro assunta dall’aria della città. Eppure, spulciando tra la letteratura legata ai colori, ho trovato una citazione del fumo di Londra (descritto in francese come fumée de Londres) già nel testo di Eugéne Chevreul del 1864 in cui pubblicò il suo famoso cerchio cromatico (quello che ispirò a Seurat la tecnica puntinista), il Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels à l’aide des cercles chromatiques.

Secondo il chimico francese il fumo di Londra è una sfumatura del nero di Ginevra, tinta che qualche pagina dopo viene descritta come una tonalità di blu.Ma più che capire quale fosse il tono esatto del fumo di Londra, quello che è interessante osservare è che già negli anni Sessanta dell’Ottocento, quasi un secolo prima del Grande smog, l’inquinamento londinese aveva già dato il suo nome a un colore!
D’altronde lo smog delle città inglesi era comparso già nel primo Ottocento con gli effetti della Rivoluzione industriale: la combustione del carbone riempiva l’aria di fumo che, mescolandosi con la nebbia, dava luogo a coltri spesse e irrespirabili. Lo stesso termine smog deriva proprio dalla fusione tra smoke (fumo) e fog (nebbia).

Di questo fenomeno ha scritto un testimone d’eccezione, lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870). Nel suo Tempi difficili del 1854, un romanzo ispirato all’immaginaria città industriale di Coketown, racconta:
«Era una città con mattoni rossi o, per meglio dire, di mattoni che sarebbero stati rossi se fumo e cenere lo avessero permesso: così come stavano le cose, era una città di un rosso e di un nero innaturale come la faccia dipinta di un selvaggio; una città piena di macchinari e di alte ciminiere dalle quali uscivano, snodandosi ininterrottamente, senza mai svoltolarsi del tutto, interminabili serpenti di fumo.»

Questa immagine delle città inglesi, costellate da ciminiere e avvolte dal fumo, diventa in poco tempo anche un soggetto artistico come in questa veduta di Manchester del 1852 realizzata da William Wyld per la regina Vittoria.

L’inquinamento è visto curiosamente come un aspetto romantico del paesaggio, tant’è vero che è inserito all’interno di una bucolica visione con contadini e caprette.
Quarant’anni dopo, le atmosfere fumose delle città industriali diventano il soggetto principale del dipinto, come in questa tela di Lionel Walden dedicata al molo di Cardiff, la capitale del Galles che nel giro di un secolo vide un’enorme espansione grazie alle esportazioni di carbone.

L’inquinamento dell’aria non appariva come un problema ma come la manifestazione visibile del progresso. Quasi un’anticipazione dell’estetica del Futurismo, ma dipinta secondo le regole accademiche.
Tuttavia, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, lo smog non avrebbe solo preso il posto dei soggetti della tradizione ma sarebbe stato determinante nella nascita dell’Impressionismo. I ricercatori, infatti, hanno osservato come i dipinti di Turner (considerato per la sua pennellata larga e sfaldata un precursore dell’Impressionismo) e, successivamente, quelli di Monet, diventino anno dopo anno sempre più sfocati, in parallelo con l’aumento di anidride solforosa nel cielo.
Il celebre Pioggia, vapore, velocità del 1844 dipinto da William Turner non sarebbe quindi solo un esperimento di vaghezza, ma un preciso e realistico ritratto del livello di inquinamento presente nell’atmosfera inglese in quel periodo.

Allo stesso modo le vedute di Londra di Claude Monet dipinte alla fine del secolo, specialmente quelle del Parlamento inglese e del ponte di Charing Cross, sono il risultato di una densa coltre di smog, prima che di una tecnica basata sulle pennellate veloci.

Di questo aspetto, del fatto cioè che stesse dipingendo l’aria inquinata, Monet era perfettamente consapevole e in parte anche compiaciuto come rivela una lettera scritta alla moglie nel 1900:
«Sto lavorando molto duramente, anche se stamattina pensavo davvero che il tempo fosse completamente cambiato; quando mi sono alzato ho visto con terrore che non c’era nebbia, nemmeno un filo di nebbia: ero prostrato, e vedevo tutti i miei quadri finiti, ma a poco a poco i fuochi si sono accesi e il fumo e la foschia sono tornati.»

È la stessa foschia che aveva già immortalato Giuseppe De Nittis nel suo periodo londinese del 1878.

Questi pittori, dunque, hanno dipinto (e respirato) il famoso fumo di Londra e in effetti è proprio di quel grigio-azzurro di cui parlava Chevreul. Certo, fa un po’ specie che un fenomeno che oggi, giustamente, combattiamo, sia stato in qualche modo un motore della pittura. Ma tant’è: l’arte è sempre espressione di un’epoca e di una società. E noi dobbiamo osservarla in modo oggettivo, grati di tutte le storie che ci sa raccontare.

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