Confrontare le risposte di ChatGPT 4 Turbo, Gemini Pro e Claude

Vi fornisco un utile strumento con il quale potrete inserire un prompt e confrontare le risposte fornite da Gemini Plus, ChatGPT 4 Turbo e Claude 3 Opus.

SI tratta di 3 soluzioni normalmente in abbonamento che, grazie a questa applicazione, potete testare gratuitamente.

Ci sono dei limiti che fissano a 3 il numero massimo di richieste giornaliere e a 500 il massimo dei caratteri inseribili nel prompt

Ho provato a chiedere “Forniscimi la traccia per una lezione sulla fotosintesi clorofilliana per studenti di 12 anni. Aggiungi approcci metodologici, competenze da raggiungere, Livello di adattamento degli obiettivi didattici, strumenti e materiali, i prerequisiti necessari, valutazione in itinere, valutazione del prodotto finale, valutazione individuale, autovalutazione“. Qui la risposta: https://geminivsgpt.com/share/FEDo0gIG

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Il paesaggio pittoresco e lo specchio Claude

Ho incontrato per la prima volta questo curioso strumento da pittura descrivendo un dipinto di Matisse in uno dei capitoli de Il mondo alla finestra. In particolare si trattava di una delle sue opere più astratte e cioè La finestra blu del 1913.

La scena raffigura la camera da letto di Henri e della moglie Amélie al secondo piano della loro abitazione a Issy-les-Moulineux, alla periferia di Parigi. Il tetto sullo sfondo, tra alberi tondeggianti, è quello del suo studio, una costruzione voluta dallo stesso pittore. Tutto il resto è un insieme di elementi stilizzati che emergono dal fondo attraverso il vibrante contrasto tra colori quasi complementari: i toni d’azzurro e turchese e il giallo ocra.
La distinzione tra interno ed esterno è totalmente annullata, così come la verosimiglianza di ogni oggetto. Eppure ce n’è uno molto caratteristico, che Matisse inserisce forse per spiegare il modo con cui crea immagini così essenziali: è il cosiddetto “specchio Claude” o specchio nero, quel quadrato scuro con cornice rossa sul lato destro della tela.

Si tratta di un piccolo specchio brunito e leggermente convesso, generalmente grande come una scatola di cipria, che i pittori usavano per ritrarre la natura volgendosi di spalle e osservandola sulla superficie riflettente. L’effetto ottenuto era simile ai dipinti di Claude Lorrain, il paesaggista del Seicento da cui prende il nome.

Lo specchio nero, oltre a includere in un piccolo spazio un vasto paesaggio per via della sua convessità e a fornire un’immagine già bidimensionale e facile da copiare, aveva la capacità di confondere i dettagli e limitare la gamma cromatica, due aspetti utili a Matisse nella creazione di immagini sempre più semplificate come La finestra blu. 
Ma quando è nato quest’oggetto? L’ha inventato proprio Lorrain? In realtà le origini di questo dispositivo non sono chiare né si può affermare che il buon Claude lo utilizzasse. Ma quel che è certo è che nel Settecento era straordinariamente diffuso non solo tra i pittori ma anche tra i nobili e i turisti che lo usavano per guardare i paesaggi in una versione più suggestiva, come testimonia questo ventaglio del Settecento.

In pratica era come guardare il mondo con gli occhiali da sole, capaci di rendere ogni tinta più intensa e di far vedere tramonti spettacolari senza abbagliamento. Grazie allo specchio Claude ogni paesaggio si trasformava magicamente in un dipinto di Lorrain.
Seguace di Claude Lorrain, Il pastore, XVII-XVIII secolo
Tra i più entusiasti utilizzatori di questo strumento ci fu l’inglese William Gilpin (1724-1804). Secondo lui lo specchio nero conferiva «all’oggetto della natura una sfumatura morbida come la colorazione di quel Maestro».
Thomas Gaisborough, Studio di uomo che tiene uno specchio Claude, 1750-1755
Gilpin era talmente innamorato di questo “filtro” che ne fece montare uno sul fianco della sua carrozza, da cui poter ammirare «una successione di immagini dai colori intensi che scivolavano continuamente davanti all’occhio».
Le incisioni derivate dai suoi schizzi sembrano proprio paesaggi visti con lo specchio Claude. Alcuni ne conservano persino la forma ovale!

Non è un caso che Gilpin sia anche l’ideatore del concetto di pittoresco, da lui definito nel suo Essay on Prints del 1768 come «quel tipo di bellezza che è gradevole in un dipinto». Un po’ quello che ci scappa da dire quando, davanti a un luogo incantevole, esclamiamo «sembra un quadro!».
Si tratta di un’idea nuova, sintomo di un cambiamento culturale in positivo nei confronti del paesaggio. Non dobbiamo pensare, infatti, che la natura sia sempre stata considerata bella e buona. Al contrario! Per secoli boschi e montagne erano percepiti come luoghi spaventosi e simbolo del male (la selva oscura…). La diffusione della pittura di paesaggio coincide dunque con questa rivalutazione dei luoghi naturali.
Jules Coignet, Veduta di Bolzano con un pittore, 1837
Un’altra testimonianza dell’uso dello specchio Claude si trova nel diario del viaggio nel Distretto dei laghi, nel nord ovest dell’Inghilterra, scritto dal poeta Thomas Gray e pubblicato nel 1775. Così scrive Gray: «Da qui sono arrivato alla canonica poco prima del tramonto e ho visto nel mio specchio un quadro che, se potessi trasmettervi e fissarlo in tutta la dolcezza dei suoi colori vivaci, si venderebbe tranquillamente per mille sterline. Questa è la scena più dolce che io possa ancora scoprire in fatto di bellezza pastorale, il resto in uno stile sublime».
George Barret, Vista del Lago Windermere, mattina presto, 1781
La diffusione del suo diario rese lo specchio talmente popolare che per un breve periodo fu chiamato addirittura “specchio Gray“… Pare che il poeta fosse così preso dalla visione attraverso il suo specchietto che durante una gita cadde all’indietro in «una stradina sporca» e si ruppe le nocche.
Thomas Rowlandson, Il dottor Syntax cade in acqua, da Il viaggio del dottr Syntax in cerca del pittoresco, 1813
Ma non avrebbe mai rinunciato a tenerlo aperto in mano e a vedere «il tramonto del sole in tutto il suo splendore».
Anton Zwengauer, Paesaggio con cervi al tramonto, 1847
Una descrizione meno poetica è fornita invece in un catalogo statunitense del 1857, nel quale il costruttore di strumenti ottici Benjamin Pike Junior spiega che «gli specchi di vetro nero di Claude per il disegno prospettico sono molto utili per il giovane artista, poiché condensano o diminuiscono la vista nella dimensione desiderata per il quadro previsto, e tutti gli oggetti mantengono le loro proporzioni relative».
Certo, è piuttosto curioso pensare che viaggiatori e artisti, invece di guardare uno spazio naturale gli volgessero le spalle preferendogli una miniatura alterata nella forma e nei colori. Ma la concezione estetizzante del paesaggio pittoresco rendeva molto più attraente quella piccola scena simile a un dipinto.
Edward Alcock (attr.), Sophia Anne Delaval tiene uno specchio Claude verso il paesaggio, 1775-1778
D’altra parte non è molto diverso da quello che fanno oggi in tanti quando danno le spalle a una veduta per farsi un selfie. Non c’è più neanche l’idea di rendere il paesaggio pittoresco, ma solo quella di farne una quinta per un’autorappresentazione.
Nonostante si tratti di un dispositivo legato a una concezione sorpassata della visione del paesaggio, il dipinto di Matisse all’inizio dell’articolo dimostra che lo specchio Claude non fu spazzato via neanche dalla Avanguardie. Incredibilmente sopravvive ancora oggi come installazione di grandi dimensioni per riproporre l’esperienza del paesaggio riflesso. Ne è un esempio quello dell’architetto Sarosh Mulla collocato nel 2017 a Waikereru, in Nuova Zelanda.

Un altro specchio, di forma ovale, è stato installato presso Tintern Abbey, un’antica abbazia cistercense in rovina nel Galles sud orientale.

In alcuni corsi di pittura viene usato per impratichirsi nel disegno dal vero e controllare meglio la gamma dei toni di grigio.

Ma, senza rendercene conto, continuiamo a usarlo pure noi, quando prima di pubblicare la foto di un paesaggio su Instagram, applichiamo filtri, modifichiamo la saturazione dei colori, giochiamo coi contrasti, inseriamo la vignettatura. È una tentazione troppo forte, quella di rendere un paesaggio un po’ più “wow” o forse dovremmo dire “pittoresco”…

Questo significa una sola cosa: che Lorrain con il “suo” specchio è vivo e vegeto e fa le foto insieme a noi!

Vibe coding con Gemini: come creare un interprete vocale bilingue

Il vibe coding è un approccio che sta rivoluzionando il mondo della programmazione, grazie all’integrazione dell’intelligenza artificiale generativa. Questo paradigma consente di partire da un’intuizione o da un’idea generale, trasformandola in codice attraverso un processo iterativo e collaborativo con l’AI.Un esempio pratico di questa metodologia è la creazione di un interprete vocale bilingue, che sfrutta tecnologie come la Web Speech API e la Gemini API di Google per tradurre in tempo reale.Indice degli argomenti
Cos’è il vibe codingIl concetto di vibe coding emerge in un contesto in cui l’intelligenza artificiale è sempre più vista come un’estensione dell’ingegno umano. Lungi dall’essere un sostituto, l’AI rappresenta un potenziatore delle capacità cognitive e progettuali, offrendo nuovi strumenti e modalità per esprimere idee e realizzare progetti complessi in tempi rapidi.In questo modello, lo sviluppatore parte da un’idea generale, una sensazione, un intento o un obiettivo finale, piuttosto che da specifiche dettagliate. L’AI, in questo contesto, funge da collaboratore attivo: interpreta, propone, scrive codice e si adatta ai feedback dell’utente. Il processo è per sua natura iterativo: si parte da un prompt iniziale, si valuta l’output, si danno indicazioni, si corregge, si prova, si ripete. È una danza continua tra intuito umano e potenza computazionale, che porta a soluzioni sorprendenti e spesso più rapide rispetto ai metodi tradizionali.Questo approccio cambia il modo di concepire il rapporto con il codice: non più una relazione verticale dove il programmatore impartisce comandi, ma una collaborazione orizzontale tra creatività umana e capacità computazionale. La flessibilità del vibe coding lo rende adatto anche a contesti educativi e sperimentali, dove la comprensione del codice può avvenire progressivamente durante il processo stesso.Il vibe coding ha anche una forte dimensione culturale e creativa: mette al centro l’esperienza dell’utente, la sua visione, i suoi obiettivi, e consente di esplorare soluzioni multiple partendo da suggestioni anche vaghe. È una forma di prototipazione dialogica, in cui il prompt agisce come innesco e l’AI risponde come interlocutore.Caso studio: lo sviluppo di un interprete vocale bilingueL’obiettivo del progetto è ambizioso e ricco di implicazioni pratiche: sviluppare un’applicazione web (basata su HTML, CSS e JavaScript) in grado di:Ricevere input vocale continuo tramite Web Speech API;Riconoscere automaticamente se la lingua parlata è italiano o inglese;Tradurre il testo nella lingua opposta, utilizzando la Gemini API di Google;Emettere la traduzione tramite sintesi vocale, sempre in tempo reale;Salvare ogni scambio in file di log, con gestione automatica della dimensione;Offrire un’interfaccia intuitiva, responsiva e facilmente accessibile da browser moderni.Un sistema simile può essere utile in contesti formativi, conferenze, viaggi, interazioni mediche internazionali o ambienti multilingue, dove la comunicazione simultanea diventa cruciale. Inoltre, può rappresentare un potente strumento di accessibilità, facilitando la comprensione tra persone con background linguistici differenti. La possibilità di interagire con un’applicazione vocale che si adatta dinamicamente al contesto linguistico rappresenta un’innovazione strategica, anche per aziende che operano su mercati globali.Fase 1: il vibe iniziale e il promptTutto ha inizio da una visione chiara delle funzionalità desiderate. Quella visione si traduce in un prompt dettagliato per Gemini, contenente:Specifiche tecniche (linguaggi, API, dimensioni file);Comportamenti attesi (interazione, lingua, logging);UI desiderata (bottoni, titoli, area conversazione);Requisiti di compatibilità e performance.Esempio di prompt: “Crea un’applicazione web in HTML e JavaScript che funzioni come interprete vocale bilingue in tempo reale tra italiano e inglese. Deve includere:🎙️ Funzionalità principali:Input vocale continuo tramite Web Speech API.Riconoscimento automatico della lingua parlata (italiano o inglese).Traduzione automatica tramite Gemini API (Google AI) nella lingua opposta.Sintesi vocale (Text-to-Speech) della traduzione.📝 Logging:Prima di iniziare, l’utente deve inserire un titolo della sessione.Il titolo sarà usato come prefisso per i file di log (TitoloSessione_1.txt, TitoloSessione_2.txt, ecc.).Ogni frase parlata e la rispettiva traduzione devono essere salvate in un file di testo.Quando il file raggiunge 1 MB, ne viene creato uno nuovo automaticamente.Alla fine, l’utente può scaricare tutti i file di log.💬 Interfaccia utente:Campo per inserire il titolo della sessionePulsante “Avvia interprete”Pulsante “Ferma interprete”Area per visualizzare la conversazione (input + traduzione)Quando il testo supera una soglia (es. 2000 caratteri), viene automaticamente ripulitoPulsante “Scarica conversazione”⚙️ Tecnologie richieste:Web Speech API per input vocale continuo e sintesi vocaleGemini API di Google per la traduzione automaticaTutto deve funzionare in browser moderni (es. Chrome)Se necessario, implementa autenticazione per usare l’API Gemini”Il prompt funziona come un vero e proprio contratto semantico tra sviluppatore e AI: più è preciso e ben costruito, maggiore risulta la coerenza dell’output iniziale generato da Gemini. La capacità di definire prompt efficaci rappresenta una competenza sempre più centrale nel vibe coding e costituisce una nuova forma di alfabetizzazione digitale.Definire il prompt è un’arte: occorre equilibrio tra chiarezza e apertura, precisione e possibilità. Un prompt troppo chiuso vincola l’AI, uno troppo generico la disorienta. Trovare il giusto tono è il primo passo verso una collaborazione efficace.Fase 2: prima bozza del codiceGemini elabora il prompt e, in pochi istanti, restituisce una prima versione del codice sorgente. L’applicazione risultante include una struttura HTML con layout flessibile, uno stile CSS moderno tramite Tailwind e logica JavaScript per orchestrare input, traduzione e output audio.Fase 3: iterazione e debuggingQui inizia la parte realmente creativa del processo: l’interazione continua tra AI e sviluppatore.Primo test – Il codice viene copiato in un file locale e avviato su browser. Risultato: “non funziona”. Nessun output visibile, nessuna interazione.Feedback umano – L’utente fornisce un commento generico, poi via via più preciso, fino a identificare problemi con la logica del riconoscimento vocale.Secondo test – Emergono alcuni bug: i pulsanti “Avvia” e “Ferma” non producono alcun effetto. Gemini corregge gli event handler.Problemi con il microfono – L’app richiede il permesso ad ogni input.Gemini aggiorna il codice, migliorando la gestione dei permessi secondo le best practice di Chrome.Questa fase è durata diverse iterazioni, ciascuna delle quali ha migliorato il codice, fino a ottenere un’applicazione stabile e reattiva, pronta all’uso. Ogni passaggio è stato anche un’occasione di apprendimento, confermando che il debugging guidato da AI non elimina l’intervento umano, ma lo orienta meglio. L’AI diventa così anche uno strumento pedagogico, utile per comprendere meccanismi complessi attraverso esempi concreti.Fase 4: il risultato finaleIl progetto raggiunge pienamente il suo obiettivo. L’interprete bilingue funziona correttamente: riconosce la voce in tempo reale, traduce in modo fluido, riproduce l’audio e salva automaticamente i file in locale.L’app viene testata come applicazione autonoma: tutto il codice viene salvato in un file .html, eseguito da browser, dimostrando piena indipendenza dall’ambiente AI. Questa indipendenza è fondamentale per verificare che la soluzione sia portabile e riproducibile. Il file generato può essere distribuito, adattato o integrato in contesti più complessi, come applicazioni mobili o sistemi multilingua.Guida pratica al Vibe Coding con GeminiEcco una serie di buone pratiche per adottare il vibe coding con successo:Definisci un vibe solido – Parti da un obiettivo chiaro. Anche se non dettagliato, deve essere concettualmente robusto.Prompt dettagliato ma flessibile – Includi linguaggi, funzionalità, comportamenti. Lascia spazio all’AI per proporre.Itera consapevolmente – Fornisci feedback puntuali, specifici e costruttivi.Sfrutta gli strumenti – Canvas, anteprima, debugging sono essenziali.Accetta suggerimenti creativi dell’AI – Spesso Gemini propone soluzioni alternative valide.Debug umano tradizionale – Console, test localizzati, log, tutto resta utile.Test finale indipendente – Isola il codice, verifica che sia davvero autonomo.Documenta ogni passaggio – Annotare problemi, iterazioni e soluzioni aiuta a migliorare il prompt e la gestione futura del codice.Verifica la compatibilità cross-browser – Un’applicazione efficace deve essere testata su più ambienti.Sperimenta e sbaglia – Il vibe coding è anche un processo creativo che ammette l’errore come fase del progresso.Analizza le soluzioni AI – Impara dai suggerimenti dell’AI, anche quando non li adotti.Integra risorse esterne – Librerie, fonti dati, API possono arricchire il progetto.ConclusioniIl vibe coding, facilitato da strumenti evoluti come Gemini, non sostituisce le competenze dello sviluppatore: le amplia, le integra e le esalta. La figura del programmatore si evolve in quella di un direttore creativo, capace di orchestrare le capacità dell’intelligenza artificiale per costruire soluzioni complesse, funzionali ed eleganti in tempi estremamente ridotti.Il caso dell’interprete vocale bilingue dimostra come un’idea iniziale possa trasformarsi, in modo collaborativo e iterativo, in un’applicazione web pienamente funzionante. È un assaggio concreto di un futuro in cui la creazione del software sarà sempre più intuitiva, accessibile e allineata alla visione creativa dello sviluppatore.Un percorso che segna una nuova fase della programmazione: non più solo tecnica, ma profondamente ispirata, conversazionale e aperta all’imprevisto generativo dell’intelligenza artificiale. In questo scenario, l’AI non è più solo uno strumento di supporto, ma un vero e proprio partner di progetto, con cui costruire, sperimentare e innovare. Il vibe coding rappresenta una sintesi tra visione e tecnica, tra intuizione e calcolo, tra umanità e algoritmo.

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