A Venezia la Biennale più “politica” di sempre. “Stranieri ovunque“
Il gesto artistico è sempre ed inevitabilmente un gesto politico. Si tratta di un fatto (a cui, purtroppo non corrisponde quasi mai il contrario) che in tempi di grandi tensioni geopolitiche come quelli attuali diventa ancora più evidente. La Biennale Arte di Venezia quest’anno è un tuffo nella geopolitica contemporanea.
Opere, installazioni, dipinti, slogan, parole che passano da quel concettuale (a tratti incomprensibile) tipico dell’arte contemporanea ad un universo di rimandi e citazioni che parlano di conflitti e tensioni, di popoli costretti alla migrazione e di sofferenze.
Ne è un esempio il padiglione israeliano, scortato da militari dell’esercito e chiuso in segno di protesta, come spiegato da un cartellone affisso dagli stessi artisti, fino a quando non si arriverà ad un reale cessate il fuoco o ad un accordo per il rilascio degli ostaggi. Ma lo è anche il padiglione Russo, ceduto agli artisti boliviani, come segno di protesta per l’invasione subita dall’Ucraina. Senza dimenticare poi l’allestimento di un improbabile Consolato di tutti i popoli africani, con tanto di bandiera ed affaccio sul Canal Grande.
E infine (ma in realtà cominciando proprio da quello) senza dimenticare il tema stesso della 60esima edizione della Biennale Arte: “Stranieri ovunque“. Un titolo-manifesto nella duplice accezione del “trovare stranieri ovunque” ma anche del “trovarsi stranieri ovunque”.
“La città che ben 129 anni fa ideò la prima Biennale Internazionale d’Arte, rinnova le sue promesse di curiosità e amore di conoscenza – ha spiegato il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco – le stesse che spinsero Marco Polo, di cui proprio nel 2024 si celebrano i settecento anni dalla scomparsa, a visitare e incontrare culture percepite come lontane e minacciose. Integrandosi, lui straniero in quelle terre, in virtù di uno scambio sinceramente umano e alla pari. Erano i tempi in cui il mercato di Rialto risuonava di lingue, etnie, fogge e vitalità. E tanti paesi avevano a Venezia i Fondeghi (dei Turchi, dei Siriani, dei Tedeschi) depositi della loro manifattura e del loro ingegno. La Biennale con i suoi Padiglioni Nazionali, le opere, i visitatori e gli artisti da ogni parte del mondo era già lì, nel destino della città. Di fatto, per Venezia la diversità si è posta sin dall’inizio come condizione imprescindibile di normalità. In un processo specchiante e di confronto con l’altro da sé, mai percepito in termini di negazione.ù
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