Tra dati e avatar il non profit esplora le intelligenze artificiali

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Nei corridoi delle organizzazioni non profit il dilemma pesa di più che altrove: come conciliare l’intelligenza artificiale con l’etica e con la missione sociale? Come usarla per creare valore? Come possiamo – riecheggiando le parole di Papa Francesco – rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento in atto?

Intanto gli enti iniziano a intravedere i terreni su cui intendono giocarsi la partita dell’intelligenza artificiale e sono essenzialmente tre: analisi dei dati, supporto creativo, assistenza al donatore, come emerge dall’indagine qualitativa condotta da Bva Doxa per Rete del Dono e PayPal (che sarà presentata oggi a Milano). Gli interrogativi sono stati posti a una decina di grandi organizzazioni, da Lilt a Unicef, da Cesvi a Mission Bambini.

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Vitali: «Ai supporto essenziale»

Gli enti si aspettano che l’Ai rappresenti sempre di più un supporto nell’analisi dei dati. Questo permetterà di studiare e prevedere i comportamenti di donazione, adottare strategie di marketing e comunicazione. «L’Ai rappresenta uno strumento potente e abilitante anche per il terzo settore», afferma Valeria Vitali, fondatrice di Rete del Dono. «Il fundraiser gioca un ruolo strategico, e l’Ai funge da supporto essenziale, consentendogli di ottimizzare i risultati attraverso un’analisi rapida ed efficace di vasti volumi di dati. Questo permette di personalizzare le comunicazioni e di adattarle in tempo reale, massimizzando l’efficacia delle interazioni». Alcuni già lo fanno, come Save the Children che lo applica alla propria platea di donatori (che in Italia sono 560mila), uno strumento utile per trasformare un donatore casuale in un donatore regolare. «In futuro si potrebbe arrivare a una comunicazione one-to-one con il donatore, facendolo sentire unico, come ora succede solo con i major donors» spiega Giancarla Pancione, direttrice marketing e fundraising di Save The Children, organizzazione che a livello internazionale sta mettendo a punto una policy dedicata.

«Sull’analisi dei dati e della profilazione dei donatori emerge un’aspettativa di efficienza. Da questo deriva una aspettativa di automazione, a volte letta acriticamente, e una professionalizzazione che richiede peraltro skill specifici- spiega Laura Sartori, docente di Società, politica e innovazione all’Università di Bologna – Insomma si chiede alla tecnologia di efficientare, scalare, ma come si tiene assieme questo aspetto con le aspettative dei donatori che chiedono una presenza attiva locale sul territorio? (si veda l’articolo a fianco ndr.)».

Inoltre secondo le non profit sarà un trend l’utilizzo dei chatbot alimentati dall’Ai, che possano fornire assistenza ai donatori e dare input al Crm, migliorando l’esperienza del donatore e facilitando la comunicazione con l’organizzazione. «Quando si dona entra in gioco un elemento simbolico, di ricompensa che difficilmente può essere affidato a un chatbot con le sue fredde risposte» commenta Sartori secondo cui l’Ai può servire nel backoffice, per l’organizzazione interna ma non come interfaccia verso il donatore con un chatbot.

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