Talete, piccolo e grande
A scuola, chi studia la geometria razionale incontra, generalmente, due teoremi di Talete: il piccolo e il grande.
Il teorema di Talete: a molti dei docenti di matematica in servizio nelle scuole del secondo grado ricorda certamente la prova scritta del loro concorso a cattedra. Ad altri ancora ricorda la Galleria dei risultati matematici del primo biennio.
Piccoli indizi rivelatori dell’importanza di un teorema che ha un posto e un peso notevoli nell’insegnamento.
E ci si potrebbe anche interrogare sulle ragioni che sono alla base di tale importanza: «che specie di teorema è»? Oppure: «cosa ne pensano i docenti»? È vero, queste non sono domande alle quali i docenti sono abituati a rispondere. È innegabile però quanto dovrebbero essere proprio i docenti i più pronti a dare risposte significative, condotti come sono nella quotidiana azione didattica, che è di spiegazione e di comprensione, ad entrare in tale intimità con le cose che trattano da poterle vedere in essenza e natura. Ed è indubbio che la natura del teorema è più greca che egizia. I caratteri che mostra sono chiaramente quelli di una cultura che è essenzialmente aristocratica, contemplativa, naturalistica. Nulla ha a che fare con misure, calcoli e strumenti operativi come ad esempio fa il teorema di Pitagora.
Quello di Talete è un teorema nobile, etereo, spaziale, legato al logos, al rapporto, che fluisce puro, identico, invariante.
Caratterizza una geometria in cui non ci sono metriche, né vi è ammesso l’uso del compasso; dove non c’è il teorema di Pitagora;