Educare all’attenzione verso sé stessi e gli altri: antidoto alla noncuranza e alla violenza a scuola
I crescenti episodi di violenza nelle scuole verso i professori, non possono lasciarci indifferenti. Ne parliamo con il prof. Massimo di Roberto, docente di pedagogia presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, psicoterapeuta, con una lunga esperienza sul campo come insegnante e educatore.
Il Ministero registra un aumento esorbitante delle aggressioni verso gli insegnanti; non mancano episodi di violenza verso i dirigenti scolastici e il personale della scuola. Talvolta gli stessi genitori tendono a sminuire e giustificare i propri figli e nei casi peggiori reagiscono con ulteriore aggressività.
Prof. Di Roberto, come spiega questa crescente violenza contro gli insegnanti?
È un problema complesso che va letto con un approccio sistemico che consideri tutti gli attori coinvolti: docenti, alunni, genitori, sistema scuola e cambiamenti sociali.
Cominciamo da noi insegnanti. Come docenti, pur non generalizzando né stigmatizzando nessuno, si avverte negli ultimi anni la “fatica dell’educare”. In realtà, questa fatica riguarda tutte le figure adulte di riferimento e quindi anche i genitori stessi.
Stiamo diventando “adulti poco significativi” ovverosia tendiamo a metterci in un angolo, a lasciar fare, lasciar correre, per quieto vivere. Zagrebelsky, parla per l’appunto, di una società “senza adulti”[1]. Da un lato adulti che vogliono rimanere giovani evitando ad ogni costo l’età della maturità e diventando di fatto eterni adolescenti; dall’altro lato, ragazzi che giocano a fare gli adulti pur rimanendo infantili e impauriti dall’affrontare il naturale e sano conflitto generazionale come tensione per la crescita e il cambiamento.
Dobbiamo sporcarci le mani, come un buon contadino che vanga e semina la sua terra, pur sapendo dei numerosi ostacoli che possono compromettere il raccolto. Così un educatore, genitore e insegnante che sia, deve svolgere il suo ruolo e non mettersi né farsi mettere nell’angolo, essendo disposti a mettere in discussione, quando occorre, il proprio operato e rischiare in prima persona anche il mancato raccolto. Tuttavia, è indispensabile seminare ed entrare in relazione autentica con i nostri ragazzi.
Secondo lei, come mai i genitori rincasano la dose o tendono a giustificare i propri figli?
Anche per i genitori è faticoso mettere in discussione il proprio operato, accettare le difficoltà del proprio figlio. La famiglia, appesantita dalle sfide degli ultimi anni, è più frammentata. I genitori sentono la difficoltà di svolgere questo ruolo, tenere testa ai propri figli, essere un modello educativo. Si tende a delegare e a trattare i nostri figli come eterni bambini da accontentare ad ogni costo, quasi timorosi a dire quei famosi NO che in realtà sono proprio ciò che i ragazzi cercano, i famosi confini che aiutano a ritrovare la bussola nelle tempeste e nella confusione presente nella nostra società.
È più facile mettere gli insegnanti sul banco degli imputati, piuttosto che affrontare le proprie responsabilità e mancanze. Poi, come evidenziava lo psicanalista Winnicot[2], l’adolescente ha bisogno di diventare adulto attraverso la vittoria contro un altro adulto. I genitori si troveranno in ogni caso ad essere attaccati dai figli, e il loro ruolo è quello di resistere e di sopravvivere a questi attacchi. È il gioco della vita, dei ruoli, la fase dello scontro e della differenziazione deve esserci affinché ci sia uno sviluppo sano.
Oggi tutto sembra dovuto, scontato, si è generato un senso di onnipotenza nei giovani e la frustrazione del limite. È necessario che gli adulti rimangano sulle loro posizioni, delimitando così lo spazio concettuale degli adolescenti. Se invece gli adulti rinunciano a loro ruolo, se nascondono e dissimulano il conflitto, tolgono all’adolescente il punto di riferimento contro cui lottare per affermare sé stessi, e conseguentemente trasferiscono la responsabilità agli adolescenti che non sono in grado di assumerla. Il ruolo della responsabilità deve necessariamente essere esercitato dagli adulti.
La sua lunga esperienza nella scuola e con i giovani, da varie angolazioni, le fa intravedere scenari risolutivi?
La scuola, come agenzia educativa, ha senz’altro le sue lacune e criticità da migliorare. Una scuola innovativa non significa un limbo dantesco privo di regole e di confini; faremmo del male ai nostri ragazzi, al loro futuro.
La scuola deve accogliere senz’altro ma al contempo supportare gli insegnanti, riconoscendo l’autorevolezza del ruolo. La scuola ha la responsabilità di mettere i limiti, le famose regole tanto criticate e tanto necessarie. Mettere dei limiti, dei confini, ai ragazzi è un atto di responsabilità verso la loro crescita.
Involontariamente, la scuola fa da specchio alle mancanze dei genitori che, se privi di consapevolezza, si sentono giudicati e agiscono con reattività. Lo stesso vale per gli insegnanti che spesso si sentono giudicati e incompresi. Si arriva così spesso allo scontro o quanto meno all’incomunicabilità tre le parti.
Si deve puntare all’alleanza educativa tra genitori, docenti e scuola.
La scuola deve fare da tramite e scegliere le parole e i modi più adatti per comunicare con i genitori e con i ragazzi.
Siamo esseri interdipendenti e relazionali, abbiamo bisogno dell’altro.
Dobbiamo tornare a costruire il futuro con le nostre mani, costruire il tempo dell’ascolto e del dialogo con pazienza e gentilezza
I ragazzi hanno un disperato bisogno di approvazione e di essere visti. Sono fragili poiché non si può crescere senza punti di riferimento, senza ideali, senza sogni. Devono ritrovare il senso della vita e il coraggio di viverla. Accettare i limiti, imparare a tollerare le frustrazioni e saper attendere. Sapere sbagliare è legittimo e il rischio è l’essenza stessa della vita.
Quindi più che di affettività e di medicalizzazione, parlerei di bisogno di dialogo e comunicazione, più che di empatia parlerei di attenzione. Educare all’attenzione a sé stessi e agli altri, attenzione verso i propri bisogni, le proprie emozioni, e al rispetto di quelle altrui, questo a mio parere, è l’antidoto alla noncuranza e all’indifferenza che sta attraversando la scuola e la società nel suo complesso.
Ciò consentirà di liberare energie e creatività personali e collettive per rigenerare i sistemi scolastici, fucine di risanamento della società tutta.
Teresa La Marca
[1] “Senza adulti”, Gustavo Zagrebelsky, 2016
[2] “Gioco e Realtà” di Donald Winnicott, 1971
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