Il Pnrr doveva essere il simbolo della “ripartenza”. Il piano per rilanciare il Paese dopo la pandemia, in cui milioni di cittadini avevano riposto le proprie aspettative.
Tra questi c’erano anche gli insegnanti, più di 200mila precari della scuola, e gli aspiranti, che nel Pnrr avevano intravisto l’occasione di mettere ordine nel caos che da anni regola l’accesso alla cattedra.
Ma non è andata così. Come racconta Lucia Donat Cattin, insegnante e componente dell’esecutivo nazionale scuola dell’Usb, «si stanno accelerando al massimo le procedure per il reclutamento del personale scolastico per raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Pnrr.
Ma questo a scapito della qualità e di una pianificazione efficace che avrebbe potuto essere cruciale sia per diminuire il numero dei precari su cui ogni anno si basa la scuola, sia dall’altro lato, per prevenire la mancanza di docenti in alcune discipline».
Il Piano prevede 70 mila nuovi docenti da assumere entro il 2024, ma il ministro Valditara ne promette 100 mila, nonostante i ritardi ereditati dal governo precedente. Per velocizzare i concorsi, le prove scritte saranno a risposta multipla fino alla fine del Pnrr, come stabilito dal decreto Pa n°75 del 22 giugno 2023.
Dopo, si tornerà alle risposte aperte. «I test a crocette servono a sostituire le commissioni di docenti con i computer, perché le commissioni sono scoraggiate dai bassi compensi per la correzione delle prove. Ma questo non è l’unico problema. L’articolo 20 del decreto Pa riduce la formazione dei docenti a un mercato di Cfu», dice Donat Cattin (Usb).
Si riferisce al fatto che i crediti formativi richiesti per insegnare passeranno da 24 a 60 per i neolaureati, e varieranno per chi ha già dei titoli. Si potranno conseguire con percorsi online al 50 per cento fino al 2025, pagando circa 2.500 euro l’anno. «Un sistema che favorisce le università e gli altri enti accreditati, ma non migliora le condizioni di lavoro dei docenti». Che resteranno precari, perché l’abilitazione non garantisce il ruolo.
E che non avranno nemmeno un limite al numero di abilitati per materia, che invece sarebbe utile per evitare la mancanza di professori in alcune discipline. «Questo provvedimento rende ancora più difficile insegnare per chi lo desiderava», commenta Antonio Corlianò, studente di Filosofia a Bologna e membro di Cambiare Rotta: «60 cfu e 2. 500 euro equivalgono a un altro anno di università.
Di fronte alla necessità di insegnanti qualificati, la scuola pubblica diventa accessibile solo ai pochi che possono sostenere i costi di ingresso». Le attività formative per i docenti dovrebbero partire il prossimo autunno: è in arrivo il Dpcm con i criteri definitivi. Il bando per il concorso straordinario ter per le assunzioni dovrebbe uscire già quest’estate.