GUERRA E LUTTODal 24 Febbraio 2022 stiamo assistendo a una guerra che ci coinvolge da vicino, come non accadeva da molti anni. La guerra in Ucraina sta minacciando la vita di milioni di civili, i quali improvvisamente si sono visti bombardare le proprie case, scuole, ospedali, luoghi di culto e di divertimento… l’intero Paese. A oggi (15 Maggio 2022), a distanza di circa due mesi, le stime pubblicate dall’Unicef (2022) riportano dati allarmanti: 20,2 milioni di persone necessitano di assistenza, di cui 7,5 sono bambini in grave pericolo. Proprio questi ultimi sono “spettatori” diretti, e molto spesso vittime, delle stragi e degli atti violenti che stanno caratterizzando questa guerra. Infatti, da un giorno all’altro bambini e adolescenti insieme alle loro famiglie si sono ritrovati a dover abbandonare le proprie case, città e a interrompere qualunque abitudine di vita quotidiana; alcuni sono stati costretti a rinchiudersi in bunker o in nascondigli improvvisati, spesso in condizioni critiche, mentre altri hanno tentato di scappare verso i Paesi limitrofi in cerca di salvezza (4,5 milioni di persone, in maggioranza madri e bambini). Oltre all’impossibilità di poter continuare a frequentare le proprie scuole (si stima che più di venti scuole al giorno sono state attaccate), i contesti sociali e le attività quotidiane, i bambini vivono da mesi in condizioni critiche: coloro che sono feriti stentano a ottenere cure a causa delle criticità in cui versano gli ospedali, altri soffrono a causa della carenza di beni di prima necessità (acqua, cibo e medicinali) e altri ancora sono costretti ad allontanarsi dal proprio nucleo familiare. Ma questa purtroppo è solo una tra le numerose guerre presenti ancora oggi sul nostro pianeta. In tutto il mondo si stimano essere 452 milioni i bambini e le bambine che vivono in territori colpiti dai conflitti e tra queste, 200 milioni sono in zone ad alta intensità di violenze e sotto il fuoco di armi pesanti (Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia, Myanma…) (ACLED, 2022). Questi ultimi non vedono negato soltanto il loro diritto all’istruzione ma vivono anche nella paura, nel terrore e nel rischio di danni fisici ed emotivi.La guerra e la tragedia che ne consegue porta dunque alcuni bambini a doversi confrontare con il lutto, in seguito alla morte di una persona cara. Tale perdita può avvenire sia a causa di un evento improvviso sia dopo un lungo periodo di sofferenza; ciò ha importanti ricadute sulla possibilità da parte del soggetto, in questo caso il bambino o la bambina che ne fa esperienza, di acquisire consapevolezza circa tale condizione. Nello specifico, più tale esperienza di perdita avviene in maniera improvvisa, traumatica e violenta, tanto più l’adattamento che viene richiesto in seguito, ovvero la gestione e l’elaborazione del lutto da parte del bambino/a, risulta complesso, faticoso e fonte di forti emozioni, spesso tra loro contraddittorie. È impossibile delineare un profilo unico di reazioni in quanto il lutto per i bambini può assumere varie connotazioni (per esempio disperazione, euforia nei confronti del nuovo, dolore, volontà di dimenticare); tuttavia, vi è la possibilità di descrivere quelle che compaiono con maggior frequenza nel corso delle fasi successive alla perdita e che possono avere una durata più o meno variabile nel tempo. I bambini che sperimentano il lutto possono infatti manifestare sentimenti ed emozioni, spesso contrastanti, come ad esempio shock, incredulità e rifiuto (negazione della morte o le sue cause), dolore, senso di impotenza, rabbia (verso la persona defunta per averlo/a “abbandonata”, chi ne ha causato o non ne ha impedito la morte), senso di abbandono, depressione, paura e ansia della morte, sollievo, ambivalenza di sentimenti positivi e negativi, senso di colpa.Oltre a questi sentimenti, spesso i bambini possono presentare anche sintomi fisiologici, alcuni caratterizzati da una forte dicotomia, come per esempio eccessiva stanchezza o energia, senso di oppressione, dolori o disturbi somatici vari, insonnia o eccessivo sonno, mancanza o eccessivo appetito. Secondo Bowlby (1982) generalmente il soggetto, sia esso adulto o bambino, attraversa quattro fasi evolutive riguardanti il lutto: una prima fase del torpore e dell’incredulità che può durare da poche ore fino a un’intera settimana, durante la quale la persona cerca di resistere all’idea e alla consapevolezza della perdita (sorta di anestesia emotiva) con lo scopo di placare tale trauma e il conseguente shock che ne deriva. Tale fase si caratterizza anche per una dissociazione tra l’aspetto cognitivo ed emotivo, ovvero tra l’esperienza vissuta e le emozioni che quest’ultima genera, le quali vengono congelate e sospese dal soggetto per poi essere manifestate in maniera dirompente in una seconda fase (Erickson, 2017). Quest’ultima infatti è caratterizzata dallo struggimento e dalla ricerca della persona amata che può durare da alcuni mesi fino a diversi anni, durante la quale vi è la comparsa di un forte dolore accompagnato spesso da agitazione, preoccupazione e dalla ricerca e dal bisogno di recuperare la persona scomparsa attraverso varie manifestazioni (per esempio muovendosi ed esplorando l’ambiente circostante, sviluppando sensibilità percettiva, pensando intensamente al soggetto perduto, il pianto e la collera). La terza fase della disorganizzazione e disperazione è caratterizzata invece da una lotta con il passato, ovvero dalla tendenza del soggetto a rimproverare chiunque venga ritenuto responsabile della propria perdita. La quarta e ultima fase si caratterizza invece per diversi gradi di riorganizzazione da parte del bambino, il quale ha in sé un innato bisogno di riorganizzare la propria vita al fine di sperimentare un nuovo stato di benessere (Erickson, 2017). La scoperta della morte e il vissuto del lutto caratterizzano dunque un passaggio evolutivo fondamentale, naturale e inevitabile, che può turbare fortemente il bambino. Proprio per questo motivo, è importante poterlo affiancare e accompagnare nel proprio percorso evolutivo, monitorando i suoi atteggiamenti, comportamenti e pensieri e favorendo adeguate strategie adattive, capacità di gestione delle emozioni e potenziando i suoi fattori di protezione (Erickson, 2017).In particolare, durante questo momento storico caratterizzato da una guerra che sta coinvolgendo parte dell’Europa, sono all’attenzione di tutti le notizie riportate sui canali d’informazione che mostrano le brutalità, le violenze e la morte suscitando in tutti noi forti emozioni, con un impatto ancora più grande per i bambini. Per tale motivo, in queste settimane ci si è interrogati sulle modalità attraverso le quali è possibile parlare della morte e far fronte a tali eventi di guerra. Probabilmente alcuni bambini possono aver esposto domande del tipo «Cosa è la guerra?», «Perché queste persone scappano?», «Le bombe arriveranno fino a qui?». Innanzitutto è importante chiarire che non si può evitare l’argomento con i bambini e neanche pensare di affrontarlo con una lezione teorica ma piuttosto risulta importante tornarci sopra ogni qualvolta lui/lei ne percepisca il bisogno. In questo momento, oltre al contesto familiare anche la classe può rappresentare per molti di loro un luogo sicuro nel quale poter ottenere maggiori informazioni ed esprimere e condividere queste sensazioni. Per fare ciò, può essere utile svolgere nelle scuole percorsi di sensibilizzazione volti a raccontare ai bambini il significato della guerra e riflettere insieme su tutto ciò che ne concerne attraverso modalità differenti quali per esempio una serie di attività ludiche, narrative (storie, poesie), brainstorming, la visione di film di animazione (per esempio, La marcia dei Pinguini, 2005, Il misterioso mondo dei fenicotteri rosa, 2008), laboratori e uscite scolastiche (visite presso musei, monumenti e ambienti storici).Inoltre, di fronte ai recenti eventi di guerra, bambini e adolescenti sono esposti a immagini e informazioni drammatiche attraverso varie fonti di informazione (tv, social, conversazioni…) che possono aumentare il loro stress, l’ansia, la paura e dunque avere un impatto sul loro benessere psicologico, emotivo e rendimento scolastico. Per contrastare tutto ciò, si possono adottare varie strategie in classe come quella di far esprimere ai bambini le proprie emozioni e preoccupazioni connesse a quanto sta accadendo al fine di creare uno spazio emozionale condiviso. Dunque, è fondamentale innanzitutto essere consapevoli del reale impatto emotivo che tali eventi hanno o che possono avere sui bambini, come anche le attività e le pratiche consigliate e proposte loro per far sì che vengano accolte in maniera funzionale e adattiva. Tra queste vi è sicuramente l’importanza dell’ascolto attivo da parte dell’insegnante come anche il rispondere alle domande e saper riconoscere le emozioni e le preoccupazioni dei bambini con il fine di rafforzare la loro consapevolezza; essere onesti e riferire ai bambini la verità adottando un linguaggio adeguato all’età e allo sviluppo di quest’ultimi; soffermarsi e individuare insieme ai bambini le cose buone e positive che accadono anche in situazioni drammatiche, come per esempio tutti quei gesti di umanità quali la vicinanza, l’aiuto e l’ospitalità che le persone manifestano e offrono a coloro che si trovano coinvolti in situazioni drammatiche come queste. È inoltre fondamentale trasmettere l’importanza di ciò che accade, anche se lontano geograficamente da noi, al fine di aumentare l’empatia e la comprensione nei riguardi di persone intorno a loro che possono avere esperienze di vita passate e presenti diverse. Inoltre, di fronte a tali eventi i bambini possono presentare comportamenti aggressivi e ostili dovuti a una maggiore esposizione a contenuti drammatici e di forte impatto; risulta quindi fondamentale promuovere e conservare il benessere psicologico in contesti socio-educativi attraverso il rafforzamento dei legami e delle relazioni positive in classe tra insegnante e alunni/e come anche tra gli stessi compagni, la gestione dei conflitti in modo pacifico, il potenziamento dei livelli di autostima e autoefficacia percepita, il senso di appartenenza e i legami prosociali al fine di sviluppare maggiori capacità individuali, sociali e relazionali nonché potenziare i fattori di protezione utili per far fronte a eventi improvvisi e drammatici come quelli di cui siamo “spettatori” oggi.