Gesti nell’arte: spiegare contando sulle dita

Un giovanissimo Gesù al centro della scena, attorniato da numerosi anziani. Questo è tutto ciò che si vede nel dipinto di Cima da Conegliano (1459-1517) del 1504 intitolato Cristo tra i Dottori.

L’episodio, raccontato nel Vangelo di Luca, avvenne quando Maria e Giuseppe andarono a Gerusalemme per la Pasqua col figlio dodicenne. Al ritorno scoprirono però che Gesù non era più con loro: dopo averlo cercato affannosamente per tre giorni lo ritrovarono nel Tempio, intento a dibattere con i Dottori della legge, gli scribi esperti della Torah.

La scena è stata raffigurata nel Rinascimento innumerevoli volte con ampie varianti. Pinturicchio (1454-1513) l’ha affrescata nel 1501 nella Cappella Baglioni, dentro la chiesa di Santa Maria maggiore a Spello, immaginando la scena all’aperto, davanti a un tempio ottagonale che ricorda quello della Consegna delle chiavi dipinta da Perugino nella Cappella Sistina vent’anni prima.

Negli stessi anni il tema è ripreso da Albrecht Dürer (1471-1528) con una tavola davvero straordinaria, dipinta in soli cinque giorni durante il secondo viaggio dell’artista a Venezia, nel 1506.
I Dottori circondano Cristo formando un cerchio. I loro volti sono fortemente caratterizzati, ma la parte più eloquente dei loro corpi sono senz’altro le mani. Il vecchio accanto al piccolo Gesù sembra volerlo interrompere  tenendogli il braccio, quello in basso a destra sorregge il libro aperto, come a voler ribattere con le parole del testo sacro mentre quello sul lato opposto ha posato le mani sul libro chiuso, in un gesto di concentrazione e di ascolto.

Cristo, invece, compie un gesto molto particolare: conta sulla punta delle dita. Sorprendentemente fa la stessa cosa anche nelle opere di Cima da Conegliano e di Pinturicchio. Questo gesto infatti non è una semplice enumerazione ma la rappresentazione fisica della cosiddetta disputatio, una discussione in cui le proprie tesi sono esposte sotto forma di elenco. Cristo dunque sta spiegando, sta dibattendo, non sta contando.

Per Dürer questo gesto era così importante che, nonostante la velocità di esecuzione del dipinto, fece prima un accurato studio delle mani di Cristo…

contare sulle dita

… ma anche di quelle dell’anziano a sinistra.

Il gesto della disputatio di Cristo tra i Dottori ricompare qualche anno dopo con il lombardo Bernardino Luini (1481-1532). La scena ricorda vagamente quella di Cima da Conegliano anche per la posizione delle dita: mentre in Dürer Cristo sta iniziando a contare dal pollice e tiene tutte le altre dita aperte, in Cima e in Luini sono aperte solo tre dita, come nel gesto di benedizione che rimanda alla trinità.

Il gesto dell’enumerazione sulle dita è tipico anche della rappresentazione della disputa di Santa Caterina con i filosofi. Secondo il racconto, la giovane cristiana di Alessandria d’Egitto, vissuta tra il 287 e il 305, fu convocata dai sapienti del governatore per via del suo rifiuto di offrire sacrifici agli dei pagani. Ma grazie alla sua straordinaria eloquenza, Caterina riuscì a convertire i suoi ascoltatori causandone di conseguenza la condanna a morte. Lei invece sarà decapitata dopo aver subito il supplizio della ruota dentata (che però si spezzerà per intercessione divina).
In questo affresco di Masolino del 1428-1431 Caterina conta sulle dita mentre i filosofi la ascoltano con attenzione.

Sta argomentando le sue tesi anche Marta, nel tentativo di convertire la sorella Maria Maddalena, nel celebre dipinto di Caravaggio del 1598. L’altra sta roteando un fiore sul petto mentre si appoggia a un grande specchio convesso, simbolo di vanità. Ma sulla superficie scura si riflette una piccola finestra, segno che la luce divina sta già illuminando la giovane donna, che presto si convertirà.

Caravaggio riprende lo stesso gesto anche in un’opera molto differente e cioè la seconda versione di San Matteo e l’angelo dipinta nel 1602 per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, a Roma. In questo caso è evidente che non si tratta di una disputa: secondo gli studiosi l’enumerazione è collegata all’incipit del Vangelo di Matteo che inizia con l’interminabile elencazione della genealogia di Cristo (Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram… e così via).

Va detto comunque che fin dall’antichità il sapere era spesso ‘elencato’ in forma di liste: dal Catalogo delle donne di Esiodo al De viribus illustribus di Petrarca, fino alle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori di Vasari. Dunque enumerare sulle dita equivaleva a trasmettere conoscenze, spiegare, tenere una lezione. Un po’ quello che fa Aspasia con Socrate e Alcibiade in questo dipinto del 1801 di Nicolas-André Monsiau (1754-1837).

Poco si sa di Aspasia di Mileto. Sembra che fosse una donna di straordinaria intelligenza e sapienza, compagna di Pericle e insegnante di Socrate nelle arti dell’eloquenza e della dialettica.

Questo gesto così particolare e così presente nella storia dell’arte ricorda in modo sorprendente il celebre siparietto di Silvio Berlusconi avvenuto durante le consultazioni del 2018.

Mentre Matteo Salvini spiegava i punti del loro programma, alle sue spalle il capo di Forza Italia li enumerava con la mano destra come ad accertarsi che il suo alleato stesse esponendo correttamente e in ordine le frasi che lui gli aveva affidato.
Insomma, ha fatto, a favore di telecamere, una perfetta rappresentazione visiva della disputatio, rubando la scena al suo sodale solo con l’uso di una mano. Quell’incredibile conteggio è diventato protagonista di quel momento, nonché di un’infinità di meme sui social…
Questo è, ovviamente, il mio preferito.

Potere dei gesti (e potere dell’arte)!

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Per scrivere questo articolo ho consultato:

André Chastel, Il gesto nell’arte, Laterza
Desmond Morris, In posa, l’arte e il linguaggio del corpo, Johan & Levi editore
Chiara Frugoni, La voce delle immagini, pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi
Henri Focillon, Elogio della mano, Castelvecchi

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Una passeggiata a Capo Sunio, in Grecia

Là dove la terra di Atene si immerge nel mare degli dei, si erge possente il tempio di Poseidone.

Su quel promontorio di roccia il sole lo avvolge, il vento lo consuma e le onde gli sussurrano voci antiche.

Ma dove si trova esattamente questa meraviglia? È in Attica, nel punto più a sud della penisola greca, a una sessantina di chilometri dal centro di Atene, su uno sperone roccioso alto circa 60 metri.

La sua storia inizia intorno al 490 a.C., quando viene iniziato un tempio dorico perìptero esàstilo (cioè con un giro di colonne attorno alla cella e sei colonne in facciata) realizzato in poros, una pietra calcarea molto usata in età arcaica.L’edificio, però, non era affatto arcaico. Le colonne, infatti, rispettavano già il rapporto pari al doppio più una tra il numero di quelle dei fronti e il numero di quelle sui lati, che sarà tipico dell’età classica. Dunque le colonne di questo primo tempio erano già 6×13.
Il tempio non era ancora completo quando, nel 480, i Persiani di Serse distruggono tutti i monumenti dell’Attica. Ma la risposta di Pericle non si farà attendere. Dopo aver avviato i lavori del Partenone e degli altri edifici dell’Acropoli di Atene, vuole ricostruire anche il tempio di Capo Sunio, sia per omaggiare quel dio, Poseidone, che aveva perso nella contesa sull’Attica contro Atena, sia per ripristinare quell’avamposto proteso verso il mare Egeo, simbolo della forza militare e politica degli ateniesi.

E così, tra il 444 e il 440 nasce un nuovo tempio leggermente più grande del precedente ma a quello molto simile, di cui ingloba lo stilobate. Stavolta però è tutto in marmo e presenta alcune importanti novità.

Queste riguardano soprattutto la cella e il suo rapporto con la peristasi: le due ante del lato est sono allineate con la terza colonna mentre quelle del lato ovest (il retro del tempio) sono allineate con la mezzeria della terza colonna. Il risultato è che il portico posteriore è più profondo di quello anteriore, un caso unico nell’intero panorama dei templi greci.

Sembra un dettaglio insignificante ma era attraverso questi particolari che ogni tempio si differenziava dagli altri, alla continua ricerca del modello perfetto.

Un’altra novità assoluta era negli elementi decorativi. Il fregio dorico aveva metope lisce, ma all’interno della trabeazione correva un fregio ionico, cioè una fascia continua con scene in bassorilievo. Nel Partenone questa fascia circondava la parete esterna della cella. Qui invece circondava il deambulatorio. Di quelle sculture rimane solo qualche frammento al Museo Archeologico di Lavrio, a nord di Capo Sunio.

Infine sono inedite anche le colonne. Alte 6,10 metri, presentano un rapporto tra altezza e diametro di base pari a 5,78, una misura che corrisponde a uno slancio verticale che non era stato raggiunto neanche dalle colonne del Partenone (in quel caso il rapporto è pari a 5,48).A mitigare la snellezza di questi fusti, che erano anche privi di èntasis (cioè il rigonfiamento a circa un terzo dell’altezza tipico dei templi arcaici), interviene una singolare riduzione del numero di scanalature. Nelle colonne doriche sono in genere 20, ma qui sono 16. Questa scelta potrebbe derivare dal tentativo di offrire spigoli meno affilati all’azione corrosiva dei venti.

Le vicende successive possiamo immaginarle. Con il declino della civiltà greca il tempio cade in abbandono e le sue pietre vengono in gran parte smontate e riutilizzate come materiale da costruzione. Eppure le rovine di Capo Sunio non smisero di affascinare generazioni di viaggiatori, tanto da far ribattezzare il promontorio “Capo Colonne“.

Tra gli autori antichi che hanno descritto il tempio c’è il geografo Pausania, detto il Periegeta. La sua Guida della Grecia, risalente al II secolo d.C., si apre proprio con la descrizione del promontorio (Ma scambia il tempio per quello di Atena, che era invece edificato poco distante e che a quell’epoca era stato già smontato): “Nel continente della Grecia verso le isole Cicladi, e il mare Egèo, sporge fuori dell’Attica il capo Sunio; e v’ha per chi lo costeggia un porto, e sulla sommità è il tempio di Minerva Suniade.” Ma ne parlarono anche Omero, Erodoto, Euripide, Sofocle, Aristofane e Strabone.

Il tempio tornerà a far parlare di sé nei resoconti dei viaggiatori a partire dal Seicento. Ma la sua epoca d’oro sarà l’Ottocento, il secolo del Romanticismo e dell’amore sfrenato per le rovine di un passato splendore.È questo il periodo a cui risalgono le più antiche raffigurazioni del tempio di Poseidone come quelle dell’italiano Simone Pomardi e dell’inglese Edward Dodwell, due artisti che viaggiarono assieme in Grecia tra il 1804 e il 1806 lasciando una preziosa testimonianza delle condizioni in cui si trovavano gli edifici classici all’inizio del XIX secolo.

Cinque anni dopo il tempio sarà visitato da un viaggiatore d’eccezione: George Gordon Byron. Il poeta inglese era lì per il suo Grand Tour, affascinato da quel misto di antichi miti e suggestioni orientali. Di quelle emozioni resta traccia nel poemetto Le isole della Grecia (dentro il Don Giovanni, 1819-1824):
Place me on Sunium’s marbled steep,Where nothing, save the waves and I,May hear our mutual murmurs sweep;There, swan-like, let me sing and die:A land of slaves shall ne’er be mine,Dash down yon cup of Samian wine!
(Mettimi sulla rupe in marmo di Sunio, / Dove niente, salvo le onde e me, / Possa udire spazzare i nostri reciproci mormorii; / Là, come un cigno, lasciami cantare e morire: / Una terra di schiavi non sarà mai mia, / Butta giù quella tazza di vino di Samo!)

L’esaltazione per quel luogo magico, per quell’incanto di marmo, fu tale che lord Byron non potè resistere alla tentazione di incidere la sua firma sul tempio, alla base del pilastro destro del pronao.

Oggi gli daremmo del vandalo, ma all’epoca non esisteva il concetto di beni culturali e apporre la propria firma su un monumento era quasi obbligatorio per ogni viaggiatore. Non faremo l’errore di giudicare un uomo di duecento anni fa con i criteri e la sensibilità dell’epoca attuale…Per altro l’amore di Byron per la Grecia non era quello del ricco intellettuale in vacanza: sentiva fortemente l’aspirazione del popolo Greco alla libertà contro il dominio turco e per questo andrà a combattere nel 1823 nella Guerra d’indipendenza greca morendo l’anno dopo (forse di meningite) a Missolungi, uno dei teatri più drammatici degli scontri.Il dipinto che lo raffigura sul letto di morte, simile a un eroe antico, mostra sullo sfondo proprio un tempio, simbolo di quella culla di civiltà.

Dopo il 1832, con la fine della Guerra d’indipendenza, nuovi artisti si recano a Capo Sunio per disegnare il magnifico tempio mentre altri, pur non essendosi recati personalmente in Grecia, ne hanno lasciato immagini superbe ed evocative. Sto parlando di William Turner, il pittore degli eventi atmosferici estremi, delle nebbie e delle tempeste. Il suo tempio al chiaro di luna, del 1834, è la rovina romantica per eccellenza. Non è gotica, come quelle amate da Friedrich, ma è ugualmente ricca di mistero.

Dai suoi dipinti vennero tratte anche numerose incisioni come quelle di Edward Finden del 1832.

La versione più drammatica arriverà nel 1856 con il russo Ivan Ajvazovskij. Si tratta di Sunio in tempesta, una scena che mescola la vista sublime di un vascello sbattuto dalle onde con la veduta pittoresca del tempio in cima al promontorio, illuminato dalla luce bianca della luna.

Il tempio non è il protagonista del dipinto ma è una scelta comprensibile per un pittore innamorato del mare come Ajvazovskij. E forse rende meglio degli altri la spettacolare collocazione scelta dagli antichi greci per erigere la struttura.
Oggi Capo Sunio con il suo tempio è una rinomata località turistica. Le sedici colonne superstiti (delle trentotto originarie) attirano ogni giorno centinaia di visitatori.

La maggior parte ci va per il panorama e per assistere a quello spettacolo mozzafiato che è l’ora del tramonto. E io non volevo essere da meno…
Questo è il paesaggio che si può ammirare ai piedi del tempio, dove si ammassa la folla prima del crepuscolo.

Ma io non volevo perdermi la vista del tempio contro il cielo del tramonto. Per questo mi sono spostata sulla punta retrostante, in modo da cogliere in controluce quelle millenarie colonne.

Ecco, il sole scompare sotto l’orizzonte. Il cielo si tinge di rosso e quei marmi, come segno fragile ma eterno dell’incontro tra uomo e natura, si disegnano sottili sulla roccia.

È un attimo sospeso. Fugace come la bellezza e come la felicità.
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Emergenza Coronavirus COVID-19: notizie e provvedimenti

Ordinanza del 2 giugno 2021 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. 

Ordinanza 29 maggio 2021 Ai fini del contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2, le attività economiche e sociali devono svolgersi nel rispetto delle “Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali”, elaborate dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome, come definitivamente integrate e approvate dal Comitato tecnico scientifico, che costituiscono parte integrante della presente ordinanza

Ordinanza 21 maggio 2021 Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Ordinanza 21 maggio 2021 Linee guida per la gestione in sicurezza di attivita’ educative non formali e informali, e ricreative, volte al benessere dei minori durante l’emergenza COVID-19.

Ordinanza 21 maggio 2021 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

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