La rappresentazione insiemistica per caratteristica

La rappresentazione insiemistica per caratteristica è un metodo di descrizione degli insiemi che utilizza una condizione logica o una proprietà per definire i suoi elementi. Questo approccio è ampiamente utilizzato in matematica per la sua chiarezza e la sua capacità di esprimere insiemi complessi in modo compatto e preciso.

Definizione

Nella rappresentazione per caratteristica, si definisce l’insieme attraverso una proprietà che tutti i suoi elementi condividono. Questa forma è utile per insiemi infiniti o troppo grandi per essere elencati.

La notazione generale per questo tipo di rappresentazione è: A = {x X | P(x) } dove:

  • A è l’insieme infinito;
  • x è una variabile rappresentante un elemento grafico;
  • X è l’insieme di riferimento dal quale gli elementi sono selezionati;
  • P(x) è una proposizione logica o una condizione che deve essere vera per gli elementi di A.

Ecco alcuni esempi che semplificano quanto detto:

  • numeri pari tra 1 e 10:
    P = {x N | 1 ≤ x ≤ 10, x ∈ P}: questa scrittura si legge: “un numero x appartiene all’insieme dei numeri naturali tale che x sia compreso tra 1 e 10 ed esso sia un numero pari”;
  • l’insieme A delle cifre che compongono il numero 321:
    A = {x N | x è cifra di 321}: ossia: “un numero x appartiene all’insieme dei numeri naturali tale che x sia una cifra di 321;
  • l’insieme dei numeri compresi tra -6 e 7:
    C = {x Z |-6 ≤ x ≤ 7}: quindi “un numero x appartenente all’insieme dei numeri interi relativi tale che x sia compreso tra -6 e -7.

Vantaggi della rappresentazione insiemistica per caratteristica

  1. Chiarezza e precisione: la rappresentazione per caratteristica consente di definire insiemi con precisione utilizzando proprietà specifiche. Questo è particolarmente utile quando si tratta di insiemi infiniti o difficili da elencare esplicitamente;
  2. compattezza: invece di elencare tutti gli elementi di un insieme, che potrebbe essere lungo o addirittura infinito, questa rappresentazione descrive l’insieme in modo compatto attraverso una condizione o una proprietà;
  3. flessibilità: questo metodo è molto flessibile e può essere adattato per descrivere insiemi complessi con condizioni multiple, includendo anche la logica booleana (and, or, not) nelle condizioni.

Svantaggi della rappresentazione insiemistica per caratteristica

  1. Complessità delle condizioni: se la proprietà P(x) è complessa, la definizione dell’insieme può diventare difficile da comprendere e manipolare;
  2. interpretazione: in alcuni contesti, la definizione per caratteristica potrebbe non essere intuitiva, specialmente per insiemi con condizioni molto specifiche o astratte.

Applicazioni quotidiane

  1. Matematica e teoria degli insiemi: la rappresentazione per caratteristica è fondamentale nella teoria degli insiemi, dove gli insiemi sono spesso definiti in termini di proprietà specifiche degli elementi;
  2. programmazione ed informatica: in informatica, questa tecnica è utilizzata per definire domini di variabili, vincoli e condizioni di validità per insiemi di dati o strutture complesse;
  3. logica e filosofia: viene anche impiegata in logica e filosofia per descrivere classi di oggetti o concetti basati su proprietà comuni.


Potrebbero interessarti anche…

Continua la lettura su: https://www.blogdidattico.it/blog/2024/07/09/la-rappresentazione-insiemistica-per-caratteristica/ Autore del post: Blog Fonte: https://www.blogdidattico.it

Articoli Correlati

Paradossi, antinomie, dilemmi e aporie

Mentitori e barbieri, coccodrilli e sofisti, guerrieri e tartarughe protagonisti di paradossi, antinomie, dilemmi e aporie.
 “Questi sono vecchi paradossi, buoni a far ridere i gonzi nelle osterie”.
Desdemona, Otello, Atto 2°, Scena
Paradossi 
Il “paradòsso” [dal greco “parádokson”, composto di “pará”, contro e “dóksa”, opinione] è una proposizione tanto contraria al senso comune e all’intuizione da suscitare un immediato moto di sorpresa.
I paradossi sono di quattro tipi fondamentali:

Un’affermazione che sembra falsa, ma che in realtà è vera.
Un’affermazione che sembra vera, ma che in realtà è falsa.
Un ragionamento che sembra impeccabile, ma che porta a una contraddizione logica. Questo tipo di paradosso è detto più comunemente “fallàcia” [dal latino “fallacĭa”, derivato di “fallěre”, ingannare].
Un’affermazione di cui non si può decidere la verità o la falsità. Questo tipo di paradosso è detto più comunemente “antinomìa” [dal greco “antinomía”, contraddizione di una legge con un’altra].

Porterò due esempi di paradossi del 1° tipo: uno tratto dalla fisica ed uno dalla matematica.
In fisica troviamo il “paradosso idrostatico”: consideriamo tre recipienti di forma diversa ma con la stessa area di base A (uno cilindrico, uno che si allarga verso l’alto ed uno che si restringe verso l’alto) e versiamo in essi un liquido che raggiunga in tutti la medesima altezza h; la forza F che agisce sul fondo dei recipienti ha la stessa intensità, cioè è sempre il peso mg del liquido contenuto nel recipiente cilindrico.
Il “paradosso idrostatico” illustra una legge, scoperta dal matematico e fisico fiammingo Simone Stevino (1548 – 1620), che dice:
“La pressione p = F/A dovuta alla gravità che un liquido esercita sul fondo di un recipiente dipende dall’accelerazione di gravità del luogo g, dalla densità ρ e dall’altezza h del liquido, ma “non” dalla forma del recipiente: p = ρ g h ”.
La forza che agisce sul fondo dei tre succitati recipienti è pertanto:
F = pA = pgh·A = pgV = mg
In matematica abbiamo i “paradossi dell’infinito”.
Si comincia con la ormai celebre definizione di Richard Dedekind (1831 – 1916):
“Un insieme è infinito se e solo se può essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio”.
Dunque il principio che “il tutto è maggiore della parte” non è più valido per gli insiemi infiniti.
Tenendo presente la definizione di insiemi equipotenti: “Due insiemi si dicono equipotenti se fra essi è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca”, si arriva alle seguenti proposizioni, dimostrate da Georg Cantor (1845 – 1918):

“Il segmento 0−1 sull’asse delle x è equipotente all’intero asse delle x”.
“L’insieme dei punti di un quadrato è equipotente all’insieme dei punti di un suo lato” (“Je le vois, mais je ne le crois pas!”, scriveva Cantor a Dedekind nel 1877, in seguito a questo risultato paradossale).
“L’insieme dei punti di un cubo è equipotente all’insieme dei punti di un suo spigolo”.

Un esempio di paradosso del 2° tipo è il cosiddetto “errore del giocatore”.
C’è chi è convinto che dopo cinque figlie, tutte femmine, il prossimo figlio non può che essere un maschio; molti giocatori pensano di poter vincere alla roulette aspettando una lunga serie di numeri rossi e poi scommettendo sul nero.
Nel poscritto del suo racconto Il Mistero di Marie Rogêt, Edgar Allan Poe (Boston 1809 – Baltimora 1849) sostiene che “… avendo un giocatore di dadi fatto doppio sei per due volte consecutive, vi è una ragione sufficiente per scommettere che gli stessi sei non usciranno ad un terzo tentativo”.
Ma tutti costoro hanno preso un abbaglio, commettendo un errore nella interpretazione della “legge empirica del caso”: “In una serie di prove ripetute un gran numero di volte nelle stesse condizioni, ciascuno degli eventi possibili si manifesta con una frequenza (relativa) che è pressappoco uguale alla sua probabilità. L’approssimazione cresce ordinariamente col crescere del numero delle prove”.
Il risultato di ciascuna prova (se le prove sono indipendenti) non può in alcun modo essere influenzato dai risultati delle prove precedenti: come si dice, “il caso non ha memoria”.
La probabilità di avere una sesta figlia è ancora ½; la probabilità che il successivo numero alla roulette sia rosso è ancora 18/37 (≅48,65%); la probabilità di ottenere un doppio sei al successivo lancio dei dadi è ancora 1/36 (≅2,78%).
Ed ecco ora un bell’esempio di “fallàcia” (paradosso del 3° tipo).
Consideriamo la serie logaritmica(∗):che converge per -1 < x ≤ 1Poniamo x = 1 e otteniamoraddoppiamo: Raccogliamo le coppie di termini con lo stesso denominatore. Otteniamo: Perciò  2log2 = log2, vale a dire 2 = 1. Bello, vero? Si tratta però di una “fallàcia”. La serie (*) non è “assolutamente convergente”, in quanto non converge la serie dei valori assoluti dei suoi termini (che è la serie armonica), e dunque la sua somma non è indipendente dall’ordine dei termini. Gli esempi più famosi di “antinomie” (paradossi del 4° tipo) sono l’antinomia “del mentitore” e quella “del barbiere”. L’antinomia del mentitore (pseudómenos) Si dice che Epimenide (leggendario poeta greco, vissuto a Creta nel VI secolo a.C., al quale era attribuita una “Teogonia” di 5000 esametri) abbia affermato che “Tutti i Cretesi sono mentitori”. Dato che Epimenide era cretese, ha detto la verità? L’enunciato che gli viene attribuito è logicamente contraddittorio, ammesso che i mentitori mentano “sempre” e che i sinceri dicano “sempre” la verità. In base a questo assunto, l’enunciato “Tutti i Cretesi sono mentitori” non può essere vero, perché in tal caso Epimenide sarebbe mentitore e quindi ciò che dice sarebbe falso; e non può neppure essere falso perché ne deriverebbe che i Cretesi sono sinceri e, di conseguenza, ciò che dice Epimenide sarebbe vero. Gli antichi Greci si sforzarono di capire come potesse succedere che un enunciato all’apparenza perfettamente sensato, non potesse essere né vero né falso senza contraddirsi. Crisippo di Soli, in Cilicia, un filosofo stoico vissuto nel III sec. a.C., scrisse sei trattati sull’”antinomia del mentitore”, nessuno dei quali è giunto fino a noi. Si racconta che il poeta elegiaco Filita di Coo (maestro di Teocrito) sia rimasto ucciso dai vari tentativi di risolvere l’antinomia. San Paolo, mandando Tito a predicare il Vangelo ai Cretesi, lo avverte (“Tito”, 1, 12-13): “Uno di loro, anzi un loro profeta [Epimenide], disse che i Cretesi sono sempre mentitori, cattive bestie, ventri pigri”, e non subodorando alcun’antinomia, Paolo aggiunge: “Questa testimonianza è vera”. Delle antiche formulazioni di quest’antinomia giunte fino a noi, ricordiamo Cicerone (106-43 a.C.), “Academica”, II, 29: “Si te mentiri dicis idque verum dicis, mentiris an verum dicis?”. La forma più semplice dell’”antinomia del mentitore” è la proposizione: “Quest’affermazione (l’affermazione che ora sto facendo) è falsa”. Tale versione elimina ogni ambiguità legata al fatto che un mentitore menta sempre e un sincero dica sempre la verità. L’antinomia del barbiere L’”antinomia del barbiere” fu proposta da Bertrand Russell (1872 – 1970) nel 1919. Se il barbiere di un certo villaggio espone in vetrina un cartello con su scritto: “Rado tutti e soli gli uomini del villaggio che non radono se stessi”, chi rade il barbiere? Se egli rade se stesso, allora appartiene all’insieme degli uomini che radono se stessi. Ma il cartello dice che egli non rade “mai” uno che appartenga a questo insieme, quindi “non può” radere se stesso. Se qualcun altro rade il barbiere, allora questi è uno che non rade se stesso. Ma il suo cartello dice che egli rade “tutti” gli uomini che non radono se stessi, quindi nessun altro può radere il barbiere. Si direbbe che nessuno possa radere il barbiere! Bertrand Russell inventò l’antinomia del barbiere per rappresentare una famosa antinomia da lui scoperta a proposito degli insiemi (1902). Esistono insiemi che non contengono se stessi come elementi: per esempio, l’insieme degli uomini non è un uomo, quindi non contiene se stesso come elemento. Questi insiemi vengono detti “insiemi normali”. Esistono poi insiemi che contengono se stessi come elementi: per esempio, l’insieme dei concetti astratti è esso stesso un concetto astratto e quindi contiene se stesso come elemento. Questi insiemi vengono detti “insiemi non normali”. Si studi ora l’espressione: “l’insieme T di “tutti e soli” gli insiemi normali”. Si tratta di vedere se T è normale o non normale. Se T è normale, esso è un elemento di se stesso (in quanto per definizione, T contiene tutti gli insiemi normali); ma, in questo caso, T è non normale, perché, per definizione, un insieme che contiene se stesso come elemento è non normale. D’altra parte, se T è non normale, esso è un elemento di se stesso (per definizione di non normale); ma, in questo caso, T è normale, perché, per definizione gli elementi di T sono gli insiemi normali. In breve, T è normale se, e solo se, T è non normale. Ne segue che l’affermazione “T è normale” è contemporaneamente vera e falsa. Una via per uscire dall’antinomia consiste nel decidere che la descrizione “l’insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi” non definisce un insieme. Una soluzione decisamente più radicale sarebbe sostenere che nella teoria degli insiemi non è ammesso alcun insieme che sia elemento di se stesso. Resta da dire che esistono delle varianti dell’antinomia del barbiere: L’astrologo che fa l’oroscopo a tutti gli astrologi, ma solo a quelli che non fanno l’oroscopo a se stessi. Chi fa l’oroscopo all’astrologo? Il robot che ripara tutti i robot che non riparano se stessi. Chi ripara il robot? Un catalogo che elenca tutti i cataloghi che non elencano se stessi. Quale catalogo elenca questo catalogo? Dilemmi Il “dilèmma” [dal greco “dílēmma”] è un’argomentazione, con cui l’avversario è preso da due parti (“corna del dilemma”), in modo che o dall’una o dall’altra deve necessariamente dichiararsi vinto. I dilemmi più famosi sono il dilemma “del coccodrillo” e quello di Protagora-Euatlo. Il dilemma del coccodrillo Un coccodrillo ha rapito un bambino e promette al padre di restituirgli il figlio se e soltanto se il padre riesce a indovinare se il coccodrillo gli restituirà il bambino o no. Se il padre dichiara che il coccodrillo non gli restituirà il bambino, nasce per il coccodrillo il dilemma: difatti, se non lo restituisse, renderebbe vera la risposta del padre e sarebbe tenuto, in base al patto, a restituirgli il bambino; ma se lo restituisse, renderebbe falsa la risposta del padre e cesserebbe il diritto di costui alla restituzione. Supponiamo invece che il padre dichiari: “Stai per restituirmi il mio bambino”. Il coccodrillo potrebbe allora restituire il bambino o mangiarlo, in entrambi i casi senza contraddizioni. Se lo restituisse, il padre avrebbe detto la verità e il coccodrillo manterrebbe la parola. D’altra parte, se fosse sufficientemente spregevole, potrebbe mangiare il bambino; ciò renderebbe falsa l’affermazione del padre e quindi non sarebbe obbligato a restituirgli il bambino. Il dilemma di Protagora – Euatlo Un dilemma simile è quello che si racconta di Protagora di Abdera (485 – 411 a.C.), il quale è, con Gorgia da Lentini (V – IV sec. a.C), il maggior esponente del movimento sofistico. Protagora citò in giudizio il suo discepolo Euatlo, dal quale avrebbe dovuto ricevere l’onorario quando questi avesse vinto la prima causa. Egli pensava che Euatlo avrebbe dovuto pagarlo in ogni caso: se avesse vinto la causa, in base al patto, e, se avesse perso, in base alla sentenza. Ma Euatlo gli rispose: “Non ti pagherò in nessun caso: se perderò, in base al patto: se vincerò, in base alla sentenza”. Il dilemma in questo caso era per il giudice. Le aporie di Zenone di Elea Zenone di Elea, filosofo greco, nato ad Elea (l’attuale Velia), colonia focese sulla costa della Campania (precisamente nel Cilento), e vissuto nel V secolo a.C., elaborò contro il movimento quattro argomenti famosi, detti “aporìe” [dal greco “aporía”, difficoltà, punto scientificamente o altrimenti controverso, dubbio, problema], che sono contraddizioni, irrisolvibili, senza via di uscita. La più famosa “aporia” è quella di Achille e della tartaruga: se Achille “piè-veloce” (pódas ōkýs”) dà un vantaggio alla lenta tartaruga, non riuscirà mai a raggiungerla. Ammesso che A (Achille) dia un vantaggio di uno “stadio” [olimpico = 184,85m; attico = 177,60m] a T (tartaruga) e che la velocità di A sia dieci volte quella di T, quando A avrà percorso uno stadio, T avrà percorso 1/10 di stadio; quando A avrà percorso 1/10 di stadio, T ne avrà percorso 1/100, e così via: quindi A non raggiungerà mai T. Zenone sapeva, naturalmente, che Achille “poteva” raggiungere la tartaruga. Stava semplicemente mostrando a quali conseguenze paradossali si arriva considerando il tempo e lo spazio come formati da un infinito numero di punti discreti che si susseguono l’uno all’altro come grani di una collana. In termini moderni, supposto che A e T si muovano di moto rettilineo uniforme con velocità νA = 10νT A raggiungerà T dopo un tempo t dato da: 10νTt = νTt + 1,       t = 1/9νT         cioè quando A avrà percorso uno spazio  sA = 10νTt = 10/9 di stadio. Quest’ultimo risultato si può anche ottenere come somma di una serie geometrica di ragione q = 1/10:   di stadio. Bertrand Russell, nel suo libro La conoscenza del mondo esterno, sostiene che non ci fu risposta alle aporie di Zenone, finchè Georg Cantor non sviluppò la sua teoria degli insiemi infiniti, che consente di trattare insiemi infiniti di punti nello spazio, o di eventi nel tempo, come interi completi invece che come semplici collezioni di singoli punti ed eventi isolati. E chiudo con la famosa storia dell’”Hotel Infinito” di David Hilbert (1862 – 1943). Supponiamo di avere un hotel di tipo normale con un numero finito di camere: diciamo cento. Supponiamo che tutte le camere siano occupate e che in ciascuna camera vi sia un solo occupante. Arriva una nuova persona e vuole una camera per la notte, ma né lui né alcuno dei cento ospiti è disposto a condividere una camera. È allora impossibile offrire una sistemazione al nuovo arrivato: non si possono mettere centouno persone in corrispondenza biunivoca con cento camere. Ma con hotel infiniti la soluzione è diversa. L’Hotel di Hilbert ha un numero infinito di camere: una per ogni numero naturale. Le camere sono numerate consecutivamente camera 1, camera 2, camera 3, …, camera n, …, e così via. Possiamo immaginare che le camere dell’Hotel siano disposte linearmente: cominciano in un luogo determinato e continuano a susseguirsi l’una all’altra infinitamente verso destra. Assumiamo di nuovo che tutte le camere siano occupate: ogni camera ha uno e un solo ospite. Arriva sul posto una nuova persona e vuole una camera. Il direttore dell’albergo sposta tutti i clienti dalla loro camera a quella con il numero immediatamente successivo, liberando così per il nuovo arrivato la camera 1. Il giorno dopo, si presentano cinque coppie in luna di miele. Per poterle ospitare, il direttore non fa altro che spostare tutti dalla loro camera a quella cinque numeri più avanti. Così rimangono libere per le cinque coppie le camere da 1 a 5. A fine settimana arriva all’albergo, per un congresso, un numero infinito di matematici. Il direttore non si scompone: non fa altro che spostare tutti in una camera con un numero doppio di quello precedente. Questo fa si che tutti occupino una camera con un numero pari, lasciando libere per i matematici tutte le infinite camere di numero dispari! L’”Hotel Infinito” è solo uno dei molti paradossi sui “cardinali transfiniti”, estensione agli insiemi infiniti del concetto di “numero cardinale, o potenza”, caratteristico degli insiemi finiti. Il più piccolo numero cardinale transfinito è la “potenza del numerabile” ℵ0 (“aleph-zero”), che è il cardinale dell’insieme N dei numeri naturali e di ogni insieme ad esso equipotente, come l’insieme P dei naturali pari, l’insieme D dei naturali dispari, l’insieme S dei quadrati dei numeri naturali, ecc. “Aleph-zero” gode delle seguenti proprietà: Per ogni n cardinale finito è : ℵ0 + n = ℵ0 ℵ0 + ℵ0 = ℵ0 ,        n·ℵ0 = ℵ0  (n ≠ 0) ℵ0· ℵ0 = ℵ0,            ℵ0n = ℵ0 ℵ0 – n = ℵ0  , se n è finito. Quando sottraiamo  da se stesso, possiamo ottenere qualunque risultato da 0 a . Lo si constata facilmente togliendo da N i seguenti insiemi di  termini: Tutto N: resto, zero. Tutto N da n+1 in poi: resto, i numeri da uno a n, cioè in tutto n termini. Tutti i numeri dispari: resto, tutti i numeri pari, cioè ℵ0 termini Nota L’osservazione di Desdemona (moglie di Otello): “Questi sono vecchi paradossi, buoni a far ridere i gonzi nelle osterie”, tratta dalla Scena prima dell’Atto secondo dell’Otello di William Shakespeare (Stratford – upon – Avon, 1564 – 1616), viene da lei formulata in risposta ad alcune affermazioni di Iago (alfiere di Otello)sulle donne. Mi limiterò a citarne una: “Su, su, fuori di casa siete quadri dipinti, nei vostri salotti campane, in cucina gatti selvatici, sante quando offendete, diavoli se venite offese, perditempo nei lavori di casa e indaffarate a letto”. BIBLIOGRAFIA ABBAGNANO, Dizionario di Filosofia. UTET, Torino, 1971 BERNARDINI, Fisica sperimentale. Parte I. Veschi, Roma, 1962 GARDNER, Ah! Ci sono! Paradossi stimolanti e divertenti. RBA Italia, Milano 2008 LECCESE, Elementi della teoria ingenua degli insiemi. Sansoni Scuola aperta, Firenze, 1973 LESKY, Storia della letteratura greca. I, II e III. Il Saggiatore, Milano, 2005 LOMBARDO – RADICE, Istituzioni di algebra astratta. Feltrinelli, Milano, 1965 NAGEL e J.R. NEWMAN, La prova di Gödel. Boringhieri, Torino, 1961 RICCI, Analisi matematica. Vol I. Libreria Editrice, Milano, 1960 RUSSELL, Introduzione alla filosofia matematica. Longanesi & C. , Milano, 1962 SHAKESPEARE, Otello, UE Feltrinelli, Milano, 2016 M. SMULLYAN, Satana, Cantor e l’infinito e altri inquietanti rompicapi. RBA Italia, Milano, 2008 STEWART, Giochi Matematici. Enigmi e rompicapi. RBA Italia, Milano, 2008 WEYL, Filosofia della matematica e delle scienze naturali. Boringhieri, Torino, 1967. Domenico Bruno (Catania 1941). Laureato in Fisica. Già Docente di Matematica e Fisica nei Licei. Dal 1983 Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione. Visualizza tutti gli articoli

Infinito completivo nella lingua greca

Tra le molteplici funzioni dell’infinito nella lingua greca, una delle più importanti e frequenti è quella completiva.

Il greco, lingua dalla straordinaria ricchezza sintattica, utilizza l’infinito non solo come forma verbale nominale, ma anche come strumento di connessione logica fra proposizioni.

L’infinito completivo, infatti, non indica un’azione autonoma, ma completa il significato di un verbo, un aggettivo o un sostantivo, fungendo da elemento necessario perché il pensiero espresso dalla proposizione principale risulti pienamente intelligibile

Si tratta di una costruzione fondamentale nella lingua greca, molto più diffusa che in italiano, poiché il greco preferisce affidare all’infinito — piuttosto che a una frase subordinata esplicita — il compito di esprimere ciò che si pensa, si dice, si vuole o si sa.

Attraverso l’infinito completivo, il greco riesce a condensare un’intera proposizione in una forma sintetica, fluida e logica, rendendo il discorso più armonioso e conciso.

Definizione

L’infinito completivo è un infinito che dipende da un verbo (o, più raramente, da un aggettivo o da un sostantivo) e ne completa il significato, esprimendo ciò che il soggetto pensa, dice, desidera, sa, crede, comanda, teme, spera, ecc.

In sostanza, corrisponde a una proposizione oggettiva o soggettiva dell’italiano, come:

“Penso di andare”

“So che è giusto”

“Mi sembra di vedere”

Nel greco, tuttavia, questa costruzione si esprime attraverso una proposizione infinitiva, che può avere o meno un soggetto proprio in accusativo, dando origine alla celebre costruzione dell’accusativo con infinito (ἀπαρέμφατον μετὰ αἰτιατικῆς).

Struttura dell’infinito completivo

La costruzione di base prevede due elementi:

Verbo reggente, che richiede di essere completato da un’informazione (ad esempio: λέγω “dire”, οἶδα “sapere”, νομίζω “credere”, ἐλπίζω “sperare”, φοβοῦμαι “temere”).

Infinito che esprime l’azione o il pensiero oggetto di quel verbo.

A seconda del tipo di verbo, l’infinito può avere valore oggettivo o soggettivo.

L’infinito completivo oggettivo

L’infinito completivo è oggettivo quando completa il significato di un verbo di pensiero, parola, percezione, volontà o sentimento, esprimendo ciò che si pensa, si dice, si vuole, si teme, si spera, ecc.

In questo caso, il soggetto dell’infinito può:

coincidere con quello del verbo reggente → infinito senza soggetto espresso;

oppure essere diverso → infinito con soggetto espresso in accusativo.

a) Soggetto coincidente

Esempi:

ἐλπίζω νικᾶν. — “Spero di vincere.”βουλοῦμαι μαθεῖν. — “Desidero imparare.”νομίζω καλὸν εἶναι. — “Ritengo che sia bello.”

Qui il soggetto dell’infinito è lo stesso del verbo principale (io spero, io desidero, io ritengo), perciò non è espresso.

b) Soggetto diverso

Esempi:

λέγουσιν Σωκράτη σοφὸν εἶναι. — “Dicono che Socrate sia saggio.”νομίζω τοὺς θεοὺς ἀθανάτους εἶναι. — “Ritengo che gli dèi siano immortali.”ἀκούω τὸν ἄνδρα λέγειν. — “Sento l’uomo parlare.”

In questi casi, il soggetto dell’infinito (Σωκράτη, τοὺς θεούς, τὸν ἄνδρα) è espresso in accusativo, poiché è diverso da quello del verbo reggente.

Questa è la costruzione dell’accusativo con infinito, tipicissima del greco.

L’infinito completivo soggettivo

L’infinito completivo è soggettivo quando costituisce il soggetto logico di una proposizione, in genere con verbi impersonali o espressioni come:

δεῖ (“bisogna”)

χρή (“è necessario”)

ἔξεστι(ν) (“è lecito, è possibile”)

δοκεῖ (“sembra”)

ἀνάγκη ἐστι (“è inevitabile”)

In questi casi, l’infinito esprime ciò che è necessario, giusto, possibile o opportuno fare, e la proposizione non ha un soggetto espresso (oppure lo introduce in accusativo).

Esempi:

δεῖ φιλοσοφεῖν. — “Bisogna filosofare.”χρή λέγειν τἀληθῆ. — “È necessario dire la verità.”ἔξεστιν ἀνθρώπῳ ἀδικεῖν; — “È lecito all’uomo commettere ingiustizia?”δοκεῖ σοφὸν εἶναι. — “Sembra essere saggio.”

In alcuni casi, il soggetto dell’infinito è espresso in accusativo:

δεῖ με ἰέναι. — “Bisogna che io vada.”ἔξεστι τοῖς πολίταις λέγειν. — “È lecito ai cittadini parlare.”

L’infinito completivo oggettivo

L’infinito completivo è oggettivo (in greco si parla di ἀπαρέμφατος ἀντικειμενική, cioè “infinito con funzione oggettiva”) è una costruzione subordinata che dipende da un verbo di significato incompleto, proprio come accade per il nostro infinito completivo.

La costruzione più semplice è:

[Verbo di dire, pensare, credere, volere, ecc.] + infinito

L’infinito greco regge di solito un soggetto in accusativo (se diverso da quello del verbo principale), oppure sottintende il soggetto (se è lo stesso del verbo reggente).

Esempi:

Φημὶ σοφὸς εἶναι. — “Dico di essere saggio.”Φημὶ Σωκράτην σοφὸν εἶναι. — “Dico che Socrate sia saggio.”Βούλομαι φύγειν. — “Voglio fuggire.”

Modi e tempi dell’infinito completivo

Il tempo dell’infinito non indica necessariamente un tempo cronologico, ma piuttosto l’aspetto dell’azione:

Presente → azione durativa o abituale(es. λέγουσιν Σωκράτη φιλοσοφεῖν — “Dicono che Socrate filosofeggi sempre”)

Aoristo → azione puntuale, conclusa(es. λέγουσιν Σωκράτη πεπραχέναι ἀδίκως — “Dicono che Socrate abbia agito ingiustamente”)

Futuro → azione successiva o intenzionale(es. ἐλπίζω νικήσειν — “Spero di vincere (in futuro)”)

La scelta dell’aspetto è dunque semantica e logica, non temporale: ciò che conta è come si considera l’azione, non quando essa avviene.

Valore semantico

I verbi che più comunemente reggono l’infinito completivo si possono suddividere in categorie:

a) Verbi di volontà o desiderio

βούλομαι, ἐθέλω, προαιροῦμαι → “volere, desiderare”es. βούλομαι μαθεῖν — “Voglio imparare.”

b) Verbi di pensiero e opinione

νομίζω, οἴομαι, δοκῶ → “ritenere, pensare, sembrare”es. νομίζω τοὺς θεοὺς ἀθανάτους εἶναι — “Ritengo che gli dèi siano immortali.”

c) Verbi di percezione

ἀκούω, ὁρῶ, αἰσθάνομαι → “udire, vedere, percepire”es. ἀκούω τὸν ἄνδρα λέγειν — “Sento l’uomo parlare.”

d) Verbi di parola o dichiarazione

λέγω, φημί, ἀγγέλλω → “dire, affermare, annunciare”es. φησὶ Σωκράτην σοφὸν εἶναι — “Dice che Socrate è saggio.”

e) Verbi di speranza, timore, attesa

ἐλπίζω, φοβοῦμαι, προσδοκῶ → “sperare, temere, attendere”es. ἐλπίζω ἐπιτύχειν — “Spero di riuscire.”φοβοῦμαι ἀδικεῖν — “Temo di commettere ingiustizia.”

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000