In Giacomo Leopardi adolescente l’eco delle principali questioni fisiche e matematiche dibattute dai grandi della scienza a lui contemporanei.
Giacomo Leopardi (1798- 1837)
L’articolo di Matmedia “Leopardi fisico e matematico” propone una riflessione sulla formazione scientifica di Giacomo Leopardi, formazione che avrà un ruolo fondamentale nel suo pensiero filosofico e influenzerà la sua poetica.
Le prime opere adolescenziali denotano grande erudizione ma anche capacità di sintesi e senso critico nelle argomentazioni. Ricordiamo, in proposito, le Dissertazioni filosofiche, comprendenti anche dieci argomenti di fisica, scritte tra il 1811 e il 1812 ossia all’età di 13 e 14 anni e la Storia dell’astronomia, scritta un anno più tardi.
Il suo talento precoce era favorito e stimolato culturalmente dal padre Monaldo, molto esigente riguardo all’istruzione dei figli e, nonostante le sue idee conservatrici, sempre pronto ad aggiornare la sua biblioteca accogliendo le novità in campo scientifico e filosofico
Giacomo e i suoi fratelli potevano disporre, inoltre, di un piccolo laboratorio per gli esperimenti scientifici. “Studio matto e disperatissimo” da parte dell’adolescente, ma anche interesse per la conoscenza del mondo fisico, della Natura, del Cosmo e grande fascino esercitato su di lui dai grandi scienziati quali Copernico, Keplero, Galileo e, soprattutto, Newton.
L’attenzione ai contributi scientifici negli scritti di Leopardi, da parte dei critici o interpreti, risale alla seconda metà del secolo scorso.
Alcune intuizioni da parte di Italo Calvino nelle “Lezioni americane” e i continui riferimenti alle “Operette morali” nelle sue “Cosmicomiche”, mettono in luce la consapevolezza scientifica che sta alla base di alcune immagini o riflessioni leopardiane, solitamente analizzate dal punto di vista stilistico o nel loro significato filosofico,
Walter Binni, uno dei maggiori studiosi della poetica e del pensiero di Giacomo Leopardi, ne suggerisce un “habitus mentale” di derivazione scientifica affermando che: «L’illuminismo fu non solo fornitore a Leopardi di materiali e stimoli filosofici e morali, ma scuola di coraggio della verità, di bisogno di estrema chiarificazione, di lucidità ad ogni costo sulla via del suo attivo pessimismo».
In occasione della celebrazione del bicentenario della nascita del poeta (nel 1998) e, qualche decennio più tardi, nel bicentenario dell’infinito (nel 2019) si assiste sia a una riscoperta e una valorizzazione dei saggi di carattere scientifico del giovane Leopardi, sia a una rilettura in chiave moderna delle opere della sua maturità.
Secondo Pietro Greco, giornalista e divulgatore scientifico scomparso due anni fa,
«…L’evoluzione del rapporto tra Leopardi e la scienza si muove con velocità differenziali e direzioni diverse lungo almeno quattro direttrici, certo interconnesse, ma abbastanza autonome da poter essere individuate con una certa precisione…» (Città della scienza /centro studi/Leopardi-e-la-scienza-16 agosto 2016)
Le quattro direttrici di cui parla Greco possono essere ricondotte facilmente ad alcune tematiche di indubbia attualità:
Valore sociale della scienza
Esaltazione della ragione e del rigore scientifico per spiegare i fenomeni
Ricerca del “ senso del mondo”, percezione della complessità del reale
Sfiducia nel meccanicismo e rifiuto del riduzionismo intrinseco nella scienza
Nel saggio “L’infinita scienza di Leopardi”( 2019), gli autori (Giuseppe Mussardo , professore ordinario di Fisica Teorica alla SISSA di Trieste e Gaspare Polizzi, storico della filosofia e della scienza del Centro nazionale studi leopardiani) concentrano le loro riflessioni su tre temi fondamentali :
Leopardi e il cielo
Leopardi e la materia
Leopardi e l’infinito
ricollegabili facilmente agli studi di astronomia, chimica e fisica.
A questo punto è opportuno osservare che, se è decisamente interessante affrontare la poetica e il pensiero di Leopardi alla luce della sua formazione scientifica, altrettanto stimolante potrebbe essere cogliere nelle opere di Giacomo adolescente l’eco dei principali dibattiti degli scienziati a lui contemporanei e pensare a un approccio originale alla storia della fisica e della chimica.
A partire dalle curiosità e dai commenti di un giovane studente meticoloso e tenace, brillante e desideroso di apprendere, possiamo riflettere sul panorama scientifico degli anni di passaggio dal XVIII a XIX secolo e su come venissero affrontati alcuni temi significativi.
Senza aver la pretesa di una trattazione esaustiva, proponiamo due tematiche abbastanza ampie che saranno in seguito approfondite, con spirito specialistico, dagli scienziati XIX secolo:
la struttura della materia e le sue proprietà
la questione copernicana
La struttura della materia e le sue proprietà
Da: Casa Leopardi, Giacomo e la Scienza, 1996
Dalla lettura delle 10 disertazioni di argomento scientifico
Dissertazione sopra l’attrazione
Dissertazione sopra la gravità
Dissertazione sopra l’urto dei corpi
Dissertazione sopra l’estensione
Dissertazione sopra l’idrodinamica
Dissertazione sopra i fluidi elastici
Dissertazione sopra la luce
Dissertazione sopra l’astronomia
Dissertazione sopra l’elettricismo
emerge il modello di realtà che Giacomo si era costruito e il quadro concettuale unitario entro cui articola le spiegazioni dei fenomeni naturali.
Si tratta di esercitazioni scolastiche preparate per il saggio annuale con cui Monaldo Leopardi era solito far concludere gli studi dei tre figli, Giacomo, Carlo e Paolina.
Il tono è esplicativo, le argomentazioni puntano sulla citazione di fonti autorevoli o sull’evidenza sperimentale.
La fiducia nella forza della Ragione, la fedeltà al modello meccanicistico della realtà, il “culto” della figura di Newton, contrastano, agli occhi del lettore moderno, con alcune convinzioni che sarebbero state a breve superate dalle nuove scoperte e dai mutamenti di carattere metodologico e filosofico che avrebbero caratterizzano il secolo XIX . Eppure ci sentiamo trascinati dall’entusiasmo del giovane conferenziere e seguiamo le sue dissertazioni e i suoi ragionamenti, riscontrando con piacere alcuni sprazzi di modernità.
Del resto, anche tra gli scienziati dell’inizio del secolo si poteva riscontrare un certo disorientamento di fronte alla molteplicità e alla complessità dei risultati ottenuti, in particolare, in elettrochimica, in elettromagnetismo e in ottica . Spesso si cercava una spiegazione riconducibile ai vecchi modelli e, anche se venivano enunciate nuove leggi, non si arrivava a ideare una teoria ampia e dal potere unificante . Solo nella seconda metà del secolo si avrà la sistemazione della termodinamica e l’elaborazione della teoria dei campi. Per una teoria atomica, nell’ambito della fisica classica, si dovrà aspettare il XX secolo.
Nella Dissertazione sull’estensione si legge:
«…Viene altresì annoverata tra le proprietà dei corpi appartenenti alla loro estensione la Divisibilità. Ciascun corpo è formato di particelle, e di molecole unite insieme per mezzo dell’affinità d’aggregazione, di cui sono dotate. Essi sono dunque divisibili, cioè le particelle possono essere slegate, e scomposte, le quali particelle essendo formate di altre molecole ancor più sottili possono anch’esse per conseguenza esser divise. Infatti, noi non possiamo immaginarci un corpo sebben minimo, nel quale non supponiamo due metà, e per conseguenza può senza dubbio affermarsi esser la materia divisibile in infinito numero di parti infinitamente picciole. Deve avvertirsi, che noi non intendiamo di dire che un corpo sia divisibile in infinito fisicamente, ma soltanto geometricamente, e per mezzo de’ voli astratti dell’umana immaginazione».
«Moltissimi sono quegli esperimenti, con i quali vollero i Fisici dimostrare la Divisibilità dei corpi in modo evidentissimo. Tra questi ell’è utilissima l’osservazione riportata dal celebre Poli circa i raggi della luce, poiché “quantunque, com’egli si esprime, siffatti lumi non decidano se il campo assegnato alla rapportata Divisione si estenda all’infinito, nulladimeno ci mostrano ad evidenza, che la materia è capace di esser divisa in un numero di parti così immenso, che giugne fino a stancare la più vivace immaginazione….
Se in una notte serena, segue il mentovato Scrittore, pongasi a cielo aperto una candela accesa, diffonderà questa tanta luce, che si potrà agevolmente scorgere fino alla distanza di due miglia ossìa di 10 mila piedi tutt’all’intorno. È noto presso de’ Matematici, che uno spazio sferico, che abbia il semidiametro di 10 mila piedi in se contiene 4. bilioni 190 mila 40 e più milioni di piedi cubici. … »
Compare poi in una nota la seguente precisazione
(1) I principj della moderna Chimica dimostrano che la luce, e la fiamma non si sviluppano dal corpo che brucia ma bensì dall’aria vitale allorché l’ossigeno passa nel combustibile insieme con il calorico, e con la luce, con cui era unito, e che abbandonando l’aria vitale, si svolgono, e formano il fuoco.
L’esempio è tratto da un testo famoso e apprezzato, gli Elementi di fisica sperimentale (1798) di Giuseppe Saverio Poli e Vincenzo Dandolo, aggiornato sugli ultimi risultati di Lavoisier ma legato inevitabilmente ai modelli settecenteschi del fluido calorico e dei corpuscoli che stanno a fondamento dei fenomeni luminosi.
Il concetto di affinità tra le molecole è affrontato in modo generico, come si evince anche dalle dissertazioni sull’attrazione e sulla gravità.
In particolare, vogliamo soffermarci su alcune affermazioni del giovane saggista riguardo l’interazione gravitazionale, accomunata disinvoltamente ad altre forze di natura attrattiva, come le forze di adesione o di coesione molecolare.
Affermazioni quali:«…non ha solamente luogo tra i corpi celesti, considerati l’uno relativamente all’altro. Questa forza agisce altresì in tutte le parti della materia. I liquori si alzano nei tubi capillari al di sopra del loro livello a causa dell’attrazione del tubo….» non sono, come potrebbe sembrare, frutto di un ingenuo fraintendimento da parte del giovane studioso, bensì rispecchiano la convinzione, in quel tempo abbastanza diffusa negli ambienti scientifici, che l’attrazione fosse una proprietà della materia e che si manifestasse, oltre che nella gravitazione, in molti altri fenomeni di interazione fra corpi solidi o fluidi o anche tra corpuscoli dotati di massa.
Interessante è il confronto tra le dissertazioni di Giacomo e alcuni brani tratti dalla Storia dell’astronomia dell’astronomo Jean-Silvain Bailly ridotta in compendio da Francesco Milizia ( 1791), uno dei testi su cui Giacomo aveva studiato.
L’autore sembra abbastanza deciso nell’identificare le forze di attrazione tra molecole e l’attrazione gravitazionale
«Le affinità chimiche, le dissoluzioni, le precipitazioni, le coagulazioni non sono che attrazioni. Queste molecole esercitano a piccole distanze proporzionalmente alle loro masse un’attrazione simile a quella che i globi celesti esercitano negli spazi dell’Universo a distanze enormi…».
«La causa della coesione è l’attrazione o sia la gravità; e siccome la coesione è più o meno in tutti i corpi, Newton con ragione ha conchiuso che la gravità è universale in tutte le parti della materia»
Ribadisce la spiegazione «gravitazionale» che Newton fornisce per il fenomeno della rifrazione della luce:
«La luce s’inflette passando presso i corpi per l’attrazione che prova e la devia. Passando da un mezzo ad un altro più denso si refrange, va più veloce poiché vi è più attratta»
L’autorità del paradigma newtoniano è ancora molto solido negli ambienti scientifici del primo ‘800.
Sviluppatosi principalmente come empirismo in Inghilterra e come razionalismo in Francia. aveva alimentato la convinzione che il modello meccanicistico fosse in grado di descrivere e studiare tutti i fenomeni naturali.
La legge di gravitazione universale, in particolare, con il suo potere unificante, resta il modello da seguire, almeno per analogia, nell’interpretare fenomeni in cui intervengono mutue forze attrattive tra corpi, dipendenti dalla loro distanza.
Come si può osservare nelle affermazioni di Bailly, l’indiscussa autorità degli scritti newtoniani poteva arrivare a far interpretare in modo acritico, e in parte errato, il suo pensiero.
Newton è molto più cauto nell’estendere la legge di gravitazione universale al di fuori della meccanica, anche se, in effetti, per quanto riguarda l’ottica, pensava che la rifrazione potesse essere ricondotta ad un fenomeno di attrazione tra masse, avvalorando la sua ipotesi corpuscolare sulla natura della luce.
Se avesse avuto l’opportunità di anticipare i risultati ottenuti nel 1850 da Fizeau e Foucault relativamente alla velocità della luce, avrebbe osservato che questa è maggiore nel vuoto che non in un mezzo materiale e sarebbe giunto ad altre conclusioni.
Il pensiero di Laplace (Exposition du système du monde-1823) appare invece molto più lucido e più vicino alla posizione newtoniana ( Hypotheses non fingo)
«L’attrazione sparisce tra i corpi di una grandezza poco considerevole: essa riappare nei loro elementi sotto un’infinità di forme. La solidità, la cristallizzazione, la rifrazione della luce, il sollevamento e l’abbassamento dei liquidi negli spazi capillari, e in generale tutte le combinazioni chimiche sono il risultato di forze la cui conoscenza è uno dei principali obiettivi dello studio della natura. Così la materia è soggetta all’impero di diverse forze attrattive: una di esse, estendendosi indefinitamente nello spazio, regge i movimenti della terra e dei corpi celesti; tutto ciò che riguarda la costituzione intima delle sostanze che li compongono dipende principalmente dalle altre forze la cui azione è sensibile solo a distanze impercettibili. E’ quasi impossibile, per questa ragione, conoscere le leggi della loro variazione con la distanza; fortunatamente, la proprietà di essere sensibili soltanto assai vicino al contatto basta per sottomettere all’Analisi un gran numero di fenomeni interessanti che ne dipendono».
L’opera di Laplace è del 1823.
L’invenzione della pila di Volta aveva indicato nuove vie di ricerca sull’elettricità. Nel 1808 il chimico inglese sir Humpry Davy aveva ottenuto i primi risultati di dissociazione elettrolitica .
La comunità scientifica francese era fortemente influenzata dal programma laplaciano, tendente a spiegare i fenomeni fisici a partire dalle proprietà di fluidi imponderabili (fluido elettrico vetroso o resinoso, fluido magnetico australe o boreale, calorico ecc. ecc.) le cui particelle ultime interagivano a distanza, tramite forze di tipo newtoniano.
La formalizzazione poteva avvenire nell’ambito dell’apparato matematico che già aveva segnato l’indiscusso progresso della meccanica e dell’astronomia.
Le esperienze di Cavendish e di Coulomb, mediante la bilancia di torsione, avevano dimostrato, già alla fine del ‘700, l’analogia tra le leggi che descrivono le interazioni gravitazionali, elettrostatiche e magnetiche.
L’interazione corrente-magnete scoperta da Oersted nel 1820 sembrava invece difficilmente riconducibile allo schema newtoniano e questo aveva costituito una vera e propria sfida tra gli scienziati francesi, di cui sono noti gli importanti risultati, sia sperimentali sia nella formalizzazione matematica ( esperienza di Arago, leggi di Ampère, di Biot-Savart e dello stesso Laplace).
Ormai è ben nota la differenza tra le varie forze di interazione conosciute, sia per quanto riguarda la natura delle particelle interagenti, sia dal punto di vista dell’intensità delle forze.
Qualsiasi studente liceale sa, per esempio , che l’attrazione gravitazionale tra un protone e un elettrone è molto più debole , di circa 40 ordini di grandezza, dell’interazione elettrostatica, la quale svolge , pertanto, un ruolo essenziale nella struttura microscopica della materia.
Agli inizi del secolo XIX, invece , in assenza di opportune valutazioni quantitative e di conoscenze adeguate sulla struttura della materia, le interazioni tra particelle dotate di massa venivano assimilate alle interazioni gravitazionali.
Va precisato, in proposito, che, sebbene comunemente si attribuisca a Cavendish la determinazione della costante di gravitazione universale, la formulazione moderna della legge di Newton è entrata nella letteratura scientifica solo nelle seconda metà secolo.
I risultati del noto esperimento di Cavendish furono formulati, invece, in funzione del valore della densità media della Terra, ovvero del valore della sua massa, dedotto dal rapporto delle forze esercitate, rispettivamente, dalla Terra e dalla massa “grande” utilizzata nell’esperimento, su una stessa massa, la massa “piccola” posta a distanza da essa.
Ricordiamo, infine l’approccio innovativo da parte di Faraday, che, rifiutando il modello delle particelle di fluido interagenti a distanza, spostò l’attenzione sulle proprietà dello spazio, sede dei fenomeni elettromagnetici, il quale diventa «campo di forze». Le sue proprietà sono descritte dalle linee di forza o linee di campo, secondo un modello che sarà poi formalizzato, dal punto di vista matematico, nella sintesi maxwelliana.
Ovviamente non possiamo aspettarci che, nella dissertazione sull’elettricismo, il giovane Giacomo possa conoscere o immaginare l’importanza che i fenomeni elettrici avrebbero acquistato in campo scientifico, tecnologico e industriale.
La dissertazione spazia pertanto nel campo meteorologico ( pioggia, fulmine, terremoto, tromba d’aria ecc. ecc.) .
Le spiegazioni dei fenomeni mostrano i limiti del modello del fluido elettrico che non riesce a suggerirne in modo esauriente l’origine e la natura, anche se fornisce alcune indicazioni per difendersi da eventuali effetti dannosi.
La conclusione sembra un tentativo di dare maggiore dignità all’argomento:
«Tutto ciò, che abbiam detto contiene in brevi parole l’intera Teoria dell’elettricità. Non possiamo al certo bastantemente encomiare quei Fisici, i quali impiegar seppero i loro lumi nel discuoprire la cagione, e l’origine di sì spaventosi fenomeni per poi dar campo alle ricerche intorno al modo di preservarsi da loro terribili effetti. Non si scorgerebbe certamente nelle Fisiche dottrine un sì gran numero d’inutili questioni se tutti i Filosofi impiegar sapessero la loro scienza nella ricerca soltanto di quelle cose, che ridondar possono in qualche modo a pro del genere umano. > >
La consapevolezza della rilevanza del progresso degli studi sui fenomeni elettrici traspare invece in una delle ultime poesie di Leopardi: la “ Palinodia al Marchese Gino Capponi” (1835).
Le moderne applicazioni dell’’elettricità, citata attraverso gli epigoni Volta e Davy , non riescono a vincere le forze inevitabili dell’egoismo umano.
L’entusiasmo e la fiducia nel valore sociale della Scienza ha lasciato il posto alla delusione e al pessimismo di fronte a una società che insegue il mito del progresso dimenticando però gli ideali di verità e di giustizia.
…………..Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante; E co’ fulmini suoi Volta nè DavyLei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo. Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti Il debole, cultor de’ ricchi e servo Il digiuno mendico, in ogni forma Di comun reggimento, o presso o lungi Sien l’eclittica o i poli, eternamente Sarà, se al gener nostro il proprio albergo E la face del dì non vengon meno…… > >
La questione copernicana
Ha senso parlare ancora, ai tempi di Leopardi , di una questione copernicana?
Quando il giovanissimo Giacomo affrontava gli studi di astronomia, la teoria eliocentrica era già consolidata in ambito scientifico, accettata anche da scienziati cattolici o luterani . La Chiesa cattolica però, non aveva ancora abrogato il Decreto della Congregazione dell’Indice del 1616, cosa che avvenne qualche decennio più avanti con la riabilitazione di tutte le opere di ispirazione copernicana.
In alcuni ambienti cattolici particolarmente intransigenti c’era , pertanto, una certa cautela nell’insegnare o propagandare il sistema copernicano come modello della realtà fisica, in accordo con la prefazione del De revolutionibus orbium coelestium ( rivelatasi in seguito apocrifa e attribuita al teologo luterano Andrea Oslander ) che parlava di “ipotesi matematica”.
Lo stesso Monaldo Leopardi continuò a dichiararsi anticopernicano convinto, fino a sfidare la Chiesa dalle pagine del periodico “La voce della ragione “ , da lui diretto, difendendo, da un lato, le decisioni dell’Inquisizione romana e , dall’altro, cercando di demolire con argomentazioni di carattere scientifico le prove sperimentali addotte dai sostenitori del sistema eliocentrico.
Si comprende pertanto perchè nella Dissertazione sull’Astronomia, uno dei componimenti scolastici presentati nei saggio annuale di casa Leopardi nel 1812, il giovane Giacomo tesse le lodi del sistema copernicano “il più ammissibile fra tutti i sistemi celesti” ma aggiunge nel finale la seguente riflessione:
L’ambiguità della posizione della Chiesa Cattolica fece scalpore, anche in campo internazionale, quando, nel 1818 il Maestro del Sacro Palazzo negava al canonico Settele ,docente alla Sapienza di Roma, l’imprimatur per il secondo volume del trattato “Elementi di ottica e astronomia” in quanto fondato sul sistema copernicano.
Il Santo Uffizio fu costretto a intervenire con un apposito decreto ( nel 1822) e avviare un processo di riabilitazione di tutte le opere di ispirazione copernicana che si concluse nel 1835, sotto il papato di Gregorio XVI.
Appena un anno dopo la Dissertazione , Giacomo completa la sua “Storia dell’astronomia” nella quale l’adesione al copernicanesimo è più decisa , tra l’entusiasmo di spirito illuminista per la forza della Ragione e il riconoscimento dell’esistenza di un Dio «autore e regolatore dell’ammirevol macchina dell’Universo».
Il progresso dell’astronomia si trasforma nello strumento che libera l’uomo dalle superstizioni e dalle credenze errate e lo conduce alla civiltà e alla vera Sapienza, mentre le implicazioni di carattere filosofico sembrano restare in secondo piano.
I riferimenti alle dispute intorno alla pluralità dei mondi e all’abitabilità dei corpi extraterrestri dimostrano, comunque, che Giacomo aveva ben recepito i punti salienti e anche i nodi di questo secondo aspetto della nuova questione copernicana. Con molta franchezza, infatti, conclude che sono tutte discussioni inutili e oziose, dalle quali non è possibile «ritrarre il minimo frutto». La controversia infatti non potrà «mai venire alla conclusione», essendo questa «la più insolubile di tutte le questioni».
Il rifiuto dell’antropocentrismo, un tempo tacciato di eresia, ben si conciliava invece con lo spirito egualitario degli Illuministi.
Le intuizioni di Giordano Bruno sulla pluralità e infinità dei mondi, giudicate a suo tempo inverosimili e diaboliche, avevano acquistato una base di credibilità, almeno a livello di possibilità.
Pur riconoscendone l’infondatezza sia al livello sperimentale, sia dal punto di vista speculativo, queste idee erano patrocinate dai più eminenti astronomi del XVIII secolo, incontrati da Giacomo nei libri della biblioteca paterna (Lalande, Bailly, William Herschel) . La forza dell’analogia, l’inconsistenza di una situazione privilegiata da assegnare alla terra ( unita alla mancanza di nozioni sulla genesi della materia vivente) sembrano punti a favore dell’esistenza di altre forme di vita o di altri sistemi solari simili al nostro .
Non mancavano poi alcune opere di fantasia come l’ironico Micromega di Voltaire o di divulgazione scientifica, come I Colloqui sulla pluralità dei mondi ( 1686 ) di Bernard le Bovier de Fontenelle e il poema dai toni preromantici “ Complaint or night thoughts on life , death and immortality” (1742-45),del poeta ecclesiastico inglese Edward Young.
Quest’ultimo, di cui Leopardi conosceva probabilmente la traduzione italiana di L.A. Loschi, vede nella pluralità dei mondi e nell’infinità dell’universo la testimonianza dell’infinita onnipotenza di Dio Creatore che non può rimanere limitata nell’angusto spazio del nostro pianeta.
Copernico continua poi ad essere presente in più punti della produzione leopardiana, a prova del fatto che le letture giovanili avevano avviato un processo di interiorizzazione, sfociata poi nel pensiero filosofico e nella sublime arte poetica.
«Una prova di quanto influiscano i sistemi puramente fisici sugl’intellettuali e metafisici, è quello di Copernico che al pensatore rinnova interamente l’idea della natura e dell’uomo concepita e naturale per l’antico sistema detto Tolemaico; rivela una pluralità di mondi, mostra l’uomo un essere non unico, come non è unica la collocazione, il moto e il destino della terra, ed apre un immenso campo di riflessioni, sopra l’infinità delle creature che secondo tutte le leggi d’analogia debbono abitare gli altri globi in tutto analoghi al nostro, e quelli anche che saranno, benchè non ci appariscano, intorno agli altri soli cioè le stelle, abbassa l’idea dell’uomo, e la sublima; scuopre nuovi misteri della creazione, del destino della natura, della essenza delle cose, dell’esser nostro, dell’onnipotenza del creatore, dei fini del creato ec. ec. »(Zibaldone, 84, 18209)
«Il sistema di Copernico insegnò ai filosofi l’uguaglianza dei globi checompongono il sistema solare (uguaglianza non insegnata dalla natura,anzi all’opposto), nel modo che la ragione e la natura insegnavano agliuomini ed a qualunque vivente l’uguaglianza naturale degl’individui diuna medisima specie». (Zibaldone, 975, 22 aprile 1821) (28).E’ noto il divertente dialogo “Copernico” delle Operette morali in cui la rivoluzione copernicana nasce da una esigenza del Sole che chiede a Copernico di concedergli il meritato riposo e di costringere l’oziosa Terra a mettersi in movimento.
Forse è meno noto questo brano della storia dell’astronomia di cui il “Copernico” sembra essere lo sviluppo e l’ approfondimento:
«Quell’ardimentoso Prussiano che fe’ man bassa sopra gli epicicli degli antichi e spirato da un nobile estro astronomico, dato di piglio alla terra, cacciolla lungi dal centro dell’Universo ingiustamente usurpato, e a punirla del suo ozio, nel quale avea marcito, le addossò una gran parte di quei moti, che venivano attribuiti ai corpi celesti, che ci sono d’intorno».
I notissimi versi del “Canto notturno di un pastore errante” composto tra il 1829 e il 1830 , ci hanno tante volte coinvolto nelle domande senza risposta sul destino e sull’identità dell’uomo
E quando miro in cielo arder le stelle;Dico fra me pensando:A che tante facelle ?Che fa l’aria infinita, e quel profondoInfinito seren ? che vuol dir questaSolitudine immensa ? ed io che sono ?
Quanti di noi le hanno confrontate con le parole di sir John Herschel (1792 –1871) (matematico e astronomo figlio di William)?
«A quale scopo, scrive dobbiamo supporre che le stelle siano state disperse nell’immensità dello spazio? Non sarà stato senza dubbio per illuminare le nostre notti, oggetto che potrebbe meglio svolgere una luna piu di quanto non farebbe la millesima parte della nostra, né per brillare come uno spettacolo vuoto di senso e di realtà e ci perdiamo in vane congetture. Questi astri sono, è vero, utili all’uomo come punti permanenti ai quali può rapportare tutto con esattezza; ma bisognerebbe aver ricevuto ben poco frutto dallo studio dell’astronomia per poter supporre che l’uomo sia il solo oggetto delle cure del suo Creatore e per non vedere, nel vasto e sorprendente apparato che ci circonda, luoghi destinati ad altre razze di esseri viventi».
Un secolo dopo Hubble enunciava la legge che confermava il modello di un universo in espansione, popolato da innumerevoli galassie distinte dalla nostra Via Lattea.
La Terra non è il centro dell’universo, non lo è il Sole, non lo è la Via Lattea.
Nel XX secolo la cosmologia, studio dell’Universo nella sua totalità su grandi scale, ormai separata dall’astronomia, è una scienza osservativa che non ha abbandonato i suoi aspetti speculativi. I tre principi che ne stanno alla base richiamano le antiche dispute dei filosofi ma hanno un chiaro significato di ipotesi di lavoro.
Primo assunto è l’isotropia dell’Universo (principio cosmologico) complementare all’omogeneità di tutti i punti di osservazione (principio copernicano).
Si sente la necessità di un terzo principio, il principio antropico:
“I valori osservati delle quantità fisiche o cosmologiche non sono equiprobabili ma sono limitati dal prerequisito che l’universo cui danno luogo, a un certo punto della sua storia, permetta l’esistenza di una forma di vita come la nostra, basata sul carbonio” (principio antropico debole di Barrow-Tipler) .
Nuovi interrogativi attendono una risposta: il nostro universo è il risultato di un’eccezionale coincidenza cosmica o esistano infiniti universi fisici e noi abitiamo in uno di quelli che sono adatti alla vita?
Laureata in matematica, all’Università “La Sapienza” di Roma . Vincitrice di concorso a cattedra per la classe matematica e fisica, ha insegnato a Roma nel liceo scientifico “Cavour” e ha collaborato con la S.S.I.S del Lazio in qualità di insegnante accogliente per i tirocinanti. In pensione dal 2009, ha partecipato al progetto del MIUR “La prova scritta di Matematica degli esami di Stato nei Licei Scientifici: contenuti e valutazione” . Collabora alle attività di formazione della Mathesis.
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