B. Bove Angeretti, Il Sonno dei Bambini

“Il Sonno dei Bambini”, il libro della psicologa Barbara Bove Angeretti da mettere in valigia: perché i genitori non vanno (realmente) mai in vacanza

Non esistono metodi miracolosi o scorciatoie per gestire il sonno dei bambini. Ecco alcuni suggerimenti, frutto della ricerca della psicologa, perfetti da portare sotto l’ombrellone, basati sui concetti di abitudine ed empatia

“Il sonno dei bambini è un momento significativo in cui la genitorialità ha un ruolo fondamentale. A maggior ragione in vacanza, quando saltano le abitudini e vengono meno i riti rassicuranti della quotidianità. E allora la soluzione è una e una soltanto: “aumentare il tempo che si trascorre insieme, i genitori non vanno “realmente” mai in vacanza”.

Ad affermarlo è Barbara Bove Angeretti, ricercatrice, laureata in Psicologia dello Sviluppo, Consulente per il sonno infantile e per l’educazione empatica. Autrice del libro “Il Sonno dei Bambini” che spiega come i genitori possano rispondere in modo positivo ai bisogni dei bambini anche di notte, momento critico che ogni genitore ha dovuto affrontare perché i bambini si svegliano di notte e spesso chiedono il contatto con i genitori.

Con le vacanze alle porte molte famiglie si preparano a gestire i cambiamenti nelle abitudini e nel sonno dei propri bambini. Bove Angeretti spiega come sia molto diffusa la tendenza a credere che esistano metodi efficaci e senza controindicazioni, dispositivi o oggetti specifici per gestire facilmente il sonno dei nostri figli ma nulla come delle corrette abitudini, unite alla rassicurazione e alla vicinanza dei genitori, può essere più efficace per gestire  il sonno dei piccoli e anche quello degli adulti perché, diciamolo, se addormentamento e risveglio del piccolo vengono gestiti con serenità, anche la qualità del sonno dei genitori migliora indicibilmente!

Durante l’estate poi, in particolare quando iniziano le ferie, semplici consuetudini (che consentono di scandire a gestire meglio i piccoli come mangiare e dormire sempre alla stessa ora) risultano utili a regolarizzare e rendere più semplice l’organizzazione della vita della famiglia.

Durante le vacanze, aggiunge la psicologa, è più che mai importante passare la maggior parte del tempo con i piccoli, anche senza fare niente di speciale, solo dedicandosi alla relazione familiare.

I consigli di Barbara Bove Angeretti da portare in spiaggia:

  • Da 0 a 6 mesi. E’ importante identificare e soddisfare il bisogno del bambino, bisogno di contatto e di dormire (finestre di veglia) e mangiare (allattamento al seno o artificiale) quando lo richiede.
  • Dopo i 6 mesi. E’ possibile iniziare a introdurre buone abitudini che consentano agli adulti di organizzare la giornata conoscendo gli orari in cui il bimbo dorma, mangia, ecc…
  • Il tempo di qualità non esiste: Il concetto di “tempo di qualità” è definito dagli adulti senza considerare la prospettiva dei bambini. Questo può creare un’illusione soprattutto nei primi anni di vita di un bambino, da 0 a 3 anni, quando è di cruciale importanza la presenza costante di un adulto per sviluppare un legame di attaccamento sicuro come lo definisce lo psicologo John Bowlby.
  • Meno metodi, più abitudini sane: Sia per l’educazione, sia per il sonno i metodi hanno poco valore. Molti genitori vorrebbero avere un bel manuale sul comodino ma le relazioni non si basano su procedure e vanno costruite da persone sulla base dei propri valori. Parlare di metodi educativi può essere fuorviante, come per esempio quando si tratta di sleep training, una serie di pratiche che mirano a rendere il bambino autonomo dal supporto del genitore per l’addormentamento e per i risvegli. Viceversa le abitudini sono fondamentali: fare le stesse cose ogni giorno alla stessa ora crea una stabilità necessaria per i bambini.
  • L’eccezione solo in vacanza:. Per garantire il benessere dei bambini, è utile cercare di mantenere comunque una certa continuità in abitudini e comportamenti. Quando si devia da questo sentiero, è importante sottolineare il fatto che si tratta di un’eccezione: allontanarsi troppo dai bisogni dei bambini rischia di compromettere la qualità delle giornate, con conseguenze come disturbi del sonno o comportamenti problematici, rendendo la situazione difficile da gestire anche a vacanze finite.
  • L’empatia, la competenza essenziale dell’educazione: In linea generale l’empatia dovrebbe essere la chiave di ogni processo educativo ed è proprio durante l’infanzia che si apprende e si tramanda: essere trattati con empatia crea futuri genitori empatici. La presenza di questa capacità nei primi anni di vita permette al bambino di crescere in maniera equilibrata e imparare a gestire, in età adulta, le proprie emozioni. Al contrario l’assenza di empatia durante lo sviluppo apre la strada a comportamenti problematici.

Il bagaglio ideale per andare in vacanza con i figli è la conoscenza

Marsupi, fasce, doudou sono sicuramente importanti se il bambino li gradisce ma se, come sottolineato dalla psicologa Bove Angeretti, “l’essenziale è invisibile agli occhi”, il bagaglio principale da portare in vacanza è la conoscenza. Nei suoi libri, la dottoressa offre una guida completa comprendente vari aspetti cruciali per lo sviluppo, come il legame di attaccamento, l’empatia come strumento educativo e bisogni primari ed universali di ogni bambino.

  • Rivolto a genitori di bambini tra 0 e 3 anni, educatori e caregiver, il libro “Il Sonno dei Bambini” combina esperienza professionale e ricerche scientifiche per fornire consigli pratici su risvegli, addormentamenti difficili e gestione dell’allattamento notturno. Lo scopo è quello di essere una guida per affrontare le sfide del sonno infantile e favorire una crescita sana.
  • Nell’altra opera “Il Circolo Virtuoso dell’Attaccamento” si sottolinea l’unicità di ogni bambino, rifiutando così qualsiasi metodo universalistico per crescere i propri figli, vista l’impossibilità di replicare esattamente le esperienze altrui. Si invita a riflettere sulla centralità della famiglia, rivalutare le aspettative sociali e sviluppare competenze personali. Si critica l’anticipazione dell’autonomia nei bambini, sostenendo che la dipendenza dal caregiver durante l’infanzia è naturale e benefica. Si analizzano i bisogni primari e il legame di attaccamento, trattando temi come empatia, allattamento, sonno e comunicazione, con lo scopo di dimostrare che rispondere ai bisogni affettivi non vizia i bambini, ma è fondamentale per il loro sviluppo.

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Genitorialità, oralità della vita

Genitorialità, oralità della vita

di Margherita Marzario

 

Nell’antica Roma il Genio (Genius, con la stessa radice di “gens” e del verbo “gignere”, generare) era una divinità relativa al culto domestico, cioè la divinità tutelare della forza generativa di ogni uomo e quindi anche di ogni famiglia (mentre ogni donna pare aver avuto la propria Giunone, Iuno) cui si dedicavano dei riti. Genio, perciò, è da intendersi in senso lato come l’identità e intimità della famiglia, nel bene e nel male. Come potrebbe (o dovrebbe) essere intesa la genitorialità (che deriva da “genio”) tenendo conto della forza creativa delle parole. 

“Genitorialità” contiene la parola “arte”, perché è un’arte. Può essere assimilata all’arte pasticcera, perché bisogna rispettare la miscela degli ingredienti, le dosi, i tempi di lievitazione, di infornatura, avere passione, pazienza, dedizione, saper inventare, guarnire, decorare, e ogni regione geografica ha le sue varianti e peculiarità come ogni famiglia. 

Dalla parola “genitorialità” si possono ricavare altre parole e creare dei giochi di parole, per cui genitorialità è dare: “origine” alla vita; “alito” di vita; “altare” all’amore; “torte” da preparare; forza come “tori”; “giornate” da condividere; “ali” per librarsi; “orti” da coltivare; “ori” da conservare e “altro” di più; “arti” da esercitare; “originale”, perché ogni genitore lo è a suo modo come l’unicità di ogni figlio. 

Le R della genitorialità: relazione, responsabilità; responsività; rituali educativi da costruire; ricatti affettivi da evitare; riconoscimento; ristrutturazione della rete familiare e parentale, ricordi (tra l’altro i genitori devono tenere a mente che i bambini acquisiscono competenze linguistiche sin dalla nascita o dal grembo materno); rispetto; ruoli; rischio. 

Genitorialità: è accudire, custodire la vita dei figli. Entrambi i verbi contengono “dire” perché la genitorialità è un dire di sé, mediante l’esempio, l’essenza, l’esserci. 

Ogni persona è un essere omeostatico e la genitorialità è una delle esperienze di vita che richiede ancor di più questa ricerca di equilibrio. Anche ogni processo cellulare è un equilibrio tanto che, quando qualcosa non va, si manifestano alterazioni o patologie. In questa ricerca di equilibrio della genitorialità il legislatore fornisce varie indicazioni, tra cui quelle dell’art. 147 cod. civ.. In particolare, sono significative le locuzione “assistere moralmente” e “nel rispetto delle loro […] inclinazioni naturali”, ovvero i genitori non devono far mancare la loro presenza, il loro sguardo educativo lungimirante, non assecondare ma rispettare le inclinazioni naturali dei figli (che, altrimenti, potrebbero pure non voler far nulla) senza forzarli a fare quello che loro avrebbero voluto fare o vorrebbero farne (per esempio far studiare pianoforte anziché batteria) e non essere amici dei figli. 

Anche l’art. 315 bis del codice civile offre una guida ai genitori. Nei primi commi si parla dei diritti del figlio e nell’ultimo si parla dei doveri del figlio non perché il senso del dovere sia ultimo, ma perché il figlio deve prima vivere e crescere nel rispetto per poi contraccambiarlo. Come si legge pure nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, articolo relativo all’educazione, dove alla lettera a prima si parla dello sviluppo della personalità del fanciullo e, poi, alla lettera c si parla di rispetto dei genitori. La relazione e il rispetto sono circolari e reciproci come si ricava altresì dall’etimologia delle due parole. La genitorialità non è né possesso né potere sul figlio ma ponte verso il figlio e ponte di vita, forse un ponte tibetano perché frammezzato da difficoltà e, al tempo stesso, da forti emozioni.

Il pedagogista Daniele Novara scrive: “I bambini manifestano tante paure, più o meno razionali, semplicemente perché sono piccoli e avvertono un senso di impotenza legata alla loro condizione. Il genitore ansioso e iperemotivo alimenta questi timori oltre misura con le classiche esortazioni: «Dai su, perché fai così?», «Forza, sei grande, smettila di fare il bambino spaventato» o frasi analoghe che finiscono per segnalare l’apprensione del papà o della mamma”. Essere genitori non è solo dare la vita ma fornire anche l’alfabeto della vita, gli strumenti per codificare e decodificare situazioni ed emozioni. Per fare ciò è necessario che la genitorialità sia espressione di adultità, maturità, idoneità ad approntare e/o affrontare le varie circostanze della vita e le conseguenti reazioni ed emozioni (come nei tempi del coronavirus). “La salute è creata e vissuta dalle persone all’interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita, garantendo che la società in cui uno vive sia in grado di creare le condizioni che permettono a tutti i suoi membri di raggiungere la salute” (dal paragrafo “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986).

Per gli insegnanti c’è un minimo di criterio di selezione mentre per i genitori no. Per la genitorialità non ci sono regole da dettare perché la genitorialità è quotidianità, singolarità, originalità. Si possono fornire, però, “con-sigli” per il percorso, quali accorgimenti e accortezza, conforto e confronto, rispetto e reciprocità (tra i genitori e tra genitori e figli), che sono tra gli elementi che più spesso mancano. In passato si chiedevano e si ascoltavano i consigli delle proprie mamme, delle vicine, degli insegnanti. Oggi, invece, sembra che ci si armi dello slogan: “Il figlio è mio, tutto mio e me lo gestisco a modo mio!”. La genitorialità è una capacità che cresce (o dovrebbe crescere) con l’età dei figli facendosi “com-petenza” e “com-potenza” (anche per prevenire “crisi di impotenza” o “deliri di onnipotenza”, propri o dei figli). Queste indicazioni si possono ricavare pure dalle fonti normative tra cui la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e in particolare dall’art. 18 che si riferisce direttamente ai genitori.

Nel 2019 è stata pubblicata la “Child-Focused Parenting Time Guide” (“Guida ad un Piano dei tempi genitoriali centrato sul minore”), a cura del Minnesota State Court Administrator’s Advisory Committee on Child-Focused Parenting Time(amministratore del tribunale statale del Minnesota Comitato consultivo sul tempo dei genitori incentrato sui minori). Questa preziosa e analitica guida (che ha aggiornato e approfondito un precedente documento, frutto di uno studio concluso nel 1997) contiene informazioni mirate a favorire l’esercizio della genitorialità di entrambi i genitori a seguito della separazione, nel tentativo di limitare al massimo gli effetti negativi sui figli delle eventuali conflittualità tra i partner. Di particolare interesse l’individuazione di linee operative analiticamente suddivise secondo le età dei figli, a conferma della centralità del “best interest of the child”, e nella realistica consapevolezza che i bisogni dei bambini e le modalità di interazione con i due genitori non possono non cambiare – a volte anche radicalmente – nel corso del tempo, dalla prima infanzia fino all’adolescenza. Perché i bambini hanno diritto al tempo, al loro tempo, alla loro età e anche alla distinzione tra infanzia e adolescenza, a maggior ragione nelle situazioni di separazione e divorzio che sono scelte dai loro genitori (tutto ciò è espresso nella Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, 2018).

Alla luce dell’aumento di genitori incompetenti, di matrimoni falliti, di rapporti conflittuali e di bambini contesi, ragazzi devianti, sarebbe necessario istituire o costituire “scuole” sulla genitorialità. Vari sono gli indici normativi che supportano questa necessità, a partire dall’art. 31 della Costituzione da cui si ricava la tutela della formazione della famiglia e della protezione della maternità e dell’infanzia. E già prima dell’art. 31, l’art. 2 sulla solidarietà e l’art. 3 sulla rimozione degli ostacoli. Ai principi costituzionali si aggiungono alcuni atti internazionali, tra cui le summenzionate Carta di Ottawa per la promozione della salute e Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. 

Negli USA, soprattutto dopo l’emergenza sanitaria del coronavirus, sono stati attivati percorsi formativi online sulla genitorialità, dai temi più generali fino alle situazioni più specifiche e complesse. I corsi sono a pagamento, e molti di loro sono accreditati presso numerosi tribunali dei vari Stati, dal momento che molti giudici prescrivono ai genitori percorsi formativi obbligatori. Per quanto apprezzabile c’è da chiedersi se la genitorialità possa essere una competenza da acquisire o maturare online e se si possa sostituire/costituire ogni relazione con la modalità digitale. Occorre, piuttosto, risalire all’etimo di “digitale” che deriva dal latino “digitalis”, a sua volta da “digĭtus”, “dito”: la genitorialità dovrebbe riacquisire la capacità di usare le “dita” con i figli, riappropriandosi delle attività manuali di una volta, dal contadino al tornitore.

Genitorialità: maternità e paternità, latte e miele, dolcezza e tenerezza. “Ogni fanciullo ha il diritto di avere dei genitori o, in loro mancanza, di avere a sua disposizione persone o istituzioni che li sostituiscano” (art. 8.11 Carta europea dei diritti del fanciullo): una delle poche disposizioni in cui si afferma il “diritto ai genitori”, in cui si ribadisce la soggettività piena del bambino guardando le cose dalla sua posizione e non da quella dei genitori. 

La genitorialità è una scelta e i figli non sono impegnativi ma sono un impegno. “Ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita” (art. 6 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Il pediatra spagnolo Carlos Gonzalez sostiene: “Se volete portare vostro figlio in braccio, fatelo. Se volete smettere di lavorare per mesi o per anni per crescerlo, o rifiutare una magnifica opportunità di lavoro all’estero per stare con la vostra famiglia, fatelo. Ma solo se volete. Se non volete, non fatelo. Dire: ”Ho sacrificato la mia carriera per stare con mio figlio” è assurdo tanto quanto: “Ho sacrificato la relazione con mio figlio per la carriera”. Non sono sacrifici, sono scelte. Vivere è scegliere, le giornate hanno solo ventiquattro ore e chi fa una cosa non può farne un’altra contemporaneamente. Scegliete quello che in ogni momento vi sembra opportuno, e basta. Chi fa quel che vuole non sta rinunciando, sta riuscendo, non si sacrifica, ma trionfa” (in “Un dono per tutta la vita”, 2018).

“Coraggio” etimologicamente deriva da “cuore”: entrambe le parole rappresentano (o dovrebbero rappresentare) la famiglia perché la genitorialità è atto di coraggio e di cuore. 

Consapevolezza, altra parola chiave: addirittura si organizzano percorsi di consapevolezza perché mancano la maturità, l’adultità, la responsabilità. Quello che dovrebbe essere la genitorialità, percorso di consapevolezza sull’essere genitori e sull’avere figli. 

“Tutti i bambini adottati portano con sé l’esperienza dell’abbandono e della perdita. Sono bambini che si sentono privi di valore affettivo e che pensano di non meritare l’amore dei genitori. Ma sono anche bambini con grandi risorse, aperti alle esperienze positive che l’adozione può regalare loro e desiderosi di credere in un mondo migliore di quello che hanno conosciuto” (cit.). La genitorialità adottiva parte da una maggiore consapevolezza che i figli non sono “propri” e che hanno un loro bagaglio di vita che può presentare ogni sorta di imprevisto. La genitorialità adottiva dovrebbe “fare scuola” ad ogni forma di genitorialità.  

La genitorialità adottiva insegna e conferma che la genitorialità non è geneticità (trasmettere il proprio patrimonio genetico) ma oralità, ovvero trasmettere, diffondere, comunicare amore, vita. 

 

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