Lo studio questo sconosciuto. Saggio di Perretti sullo studiare e i suoi risvolti

Studiare, a cosa serve dopo la morte? È meglio non studiare e godere la vita. Un vecchio adagio goliardico che vorrebbe dribblare gli studi accademici per darsi alla pazza gioia. “Oh Fortuna, imperatrice del mondo”, diremmo con Carl Orff dei “Carmina Burana”, se oggidì una frase simile nelle scuole italiane avesse ancora un senso, lasciando per i fatti suoi volontà e impegno, visto fra l’altro il tracollo di tante certezze e soprattutto il fiorire di una politica scolastica tesa a stringere rapporti sempre più intimi e familiari con le industrie e le aziende. Perché fra loro si capiscono, in uno scambio di manodopera specializzata, contro qualche prebenda, cosicché l’istruzione diventi l’ancella del capitalismo trionfante. 

Questo per lo più il senso del libro di Pierpaolo Perretti, “Lo Studio. Senso, sconcerto e bellezza”, Rubbetino editore, 16,00 Euro, che fra l’altro viene sintetizzato meglio sulla quarta di copertina, scrivendo: “Studiare non serve tanto

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