Il mio personale alfabeto

La scheda “Il mio personale alfabeto” è un’attività ludica e creativa. Ogni lettera dell’alfabeto offre ai bambini l’opportunità di esprimere la propria individualità, cercando nomi che li rappresentino. In questo modo, passando da una lettera all’altra, ripeteranno l’alfabeto in forma originale e personale, riflettendo su ciò che è significativo per loro. 🙂

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Schede Didattiche di Italiano: Nomi singolari e plurali

Nella fase di apprendimento della lingua italiana nella scuola primaria, uno degli aspetti fondamentali è capire la differenza tra nomi singolari e plurali. Questo concetto non solo aiuta i bambini a comunicare in modo chiaro e preciso, ma svolge un ruolo cruciale nello sviluppo delle competenze linguistiche di base.
Le schede didattiche rappresentano uno strumento educativo essenziale per insegnare ai bambini come i nomi italiani possono cambiare dalla forma singolare a quella plurale, applicando regole specifiche e migliorando così la loro capacità di scrittura e comprensione della lingua.
A fine articolo potrete scaricare gratuitamente in formato PDF le “Schede Didattiche di Italiano: Nomi singolari e plurali, Per la Scuola Primaria“.
Indice

Importanza dell’Apprendimento dei Nomi Singolari e Plurali
Nel Potenziare il Vocabolario
Comprendere la formazione dei nomi singolari e plurali aiuta i bambini a espandere il loro vocabolario. Questo è cruciale non solo per arricchire la loro conoscenza linguistica, ma anche per migliorare la loro capacità di esprimersi in modo efficace sia nella scrittura che nella conversazione.
Nella Chiarezza della Comunicazione
Imparare a distinguere tra nomi singolari e plurali consente ai bambini di comunicare in modo chiaro e preciso. Questo è particolarmente importante nella scrittura, dove la corretta concordanza tra soggetto e verbo dipende dalla corretta forma del nome.
Regole di Formazione dei Plurali in Italiano
Le regole per formare il plurale dei nomi italiani dipendono dalla loro terminazione nel singolare. Ecco alcune delle regole di base:

Nomi che terminano in -o: Il plurale si forma cambiando la -o in -i (es. libro → libri).
Nomi che terminano in -a: Il plurale si forma cambiando la -a in -e (es. casa → case).
Nomi che terminano in -e: La forma plurale spesso rimane la stessa (es. cane → cani), ma possono esistere eccezioni.
Nomi che terminano in -co, -go, -ca, -ga: Il plurale si forma cambiando la -o in -i e la -a in -he (es. amico → amici, mano → mani).

Attività Pratiche con le Schede Didattiche
Le schede didattiche offrono una varietà di attività per praticare i nomi singolari e plurali:

Esercizi di Associazione: Associare nomi singolari ai loro plurali corrispondenti.
Creazione di Frasi: Utilizzare nomi singolari e plurali in frasi per praticare la concordanza corretta.
Gioco dei Memory: Utilizzare schede con immagini e parole per fare corrispondenze tra nomi singolari e plurali.

Benefici delle Schede Didattiche sui Nomi Singolari e Plurali

Apprendimento Interattivo: Le attività pratiche rendono l’apprendimento dei nomi singolari e plurali più coinvolgente e stimolante.
Miglioramento delle Competenze Linguistiche: Gli studenti migliorano la loro capacità di applicare le regole grammaticali e di comunicare in modo efficace.
Preparazione per l’Uso Pratico: Acquisendo padronanza dei nomi singolari e plurali, i bambini sono meglio preparati per utilizzare correttamente la lingua italiana nella vita di tutti i giorni.

Come Rafforzare l’Apprendimento a Casa

Pratica Costante: Incorporare esercizi di formazione dei plurali durante le attività quotidiane, come la lettura di libri o la scrittura di diari.
Utilizzo di Risorse Digitali: Esplorare applicazioni e giochi educativi online che offrono esercizi divertenti e interattivi sui nomi singolari e plurali.
Coinvolgimento dei Genitori: I genitori possono supportare l’apprendimento dei loro figli stimolando conversazioni sulla corretta forma dei nomi in vari contesti.

Conclusioni
In conclusione, l’insegnamento dei nomi singolari e plurali attraverso l’uso delle schede didattiche è fondamentale per il successo nell’apprendimento della lingua italiana nella scuola primaria. Le attività pratiche e interattive offerte da queste risorse educative aiutano i bambini non solo a comprendere le regole di formazione dei nomi, ma anche a sviluppare competenze linguistiche essenziali per la comunicazione efficace. Incorporando regole chiare e esempi pertinenti, gli insegnanti possono preparare i loro studenti per una padronanza continua della grammatica italiana.

Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF le “Schede Didattiche di Italiano: Nomi singolari e plurali, Per la Scuola Primaria“, basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:

Domande Frequenti su ‘Schede Didattiche di Italiano: Nomi singolari e plurali, Per la Scuola Primaria’

Qual è la differenza tra nomi singolari e plurali?
I nomi singolari indicano un solo oggetto o persona, mentre i nomi plurali indicano più di uno. Ad esempio, “libro” è singolare, mentre “libri” è plurale.

Perché è importante insegnare ai bambini la differenza tra nomi singolari e plurali?
Comprendere la differenza tra nomi singolari e plurali è fondamentale per comunicare in modo chiaro e corretto. Aiuta anche a sviluppare le competenze di scrittura e di comprensione dei testi.

Come possono le schede didattiche aiutare gli studenti a imparare i nomi singolari e plurali?
Le schede didattiche offrono esempi pratici e esercizi che insegnano agli studenti le regole di formazione dei plurali in italiano. Attraverso attività di completamento, associazione e creazione di frasi, gli studenti praticano l’uso corretto dei nomi nella loro forma singolare e plurale.

Quali sono le regole principali per formare il plurale dei nomi italiani?
Le regole variano a seconda della terminazione del nome singolare. Ad esempio, nomi che terminano in -o formano il plurale in -i (es. libro → libri), nomi che terminano in -a formano il plurale in -e (es. casa → case), e così via.

Come posso aiutare mio figlio a comprendere meglio i nomi singolari e plurali a casa?
È possibile utilizzare giochi educativi, letture guidate e attività di scrittura che includono l’uso di nomi singolari e plurali. Inoltre, incoraggiare il bambino a riconoscere e discutere esempi di nomi singolari e plurali nella vita quotidiana può essere utile.

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La glottodidattica ludica nella prima infanzia

La glottodidattica ludica nella prima infanzia

di Caterina Fabrucci [1]

La società è sempre più multietnica e per farne parte attivamente è necessario avere competenze linguistiche e plurilinguistiche, per rispondere a questa esigenza la politica del Consiglio Europeo è orientata alla promozione di un processo trasversale volto a formare futuri cittadini in grado non solo di comunicare ed esprimersi in più lingue in modo efficace e adeguato ma anche fare esperienze in più culture, quindi, imparare a imparare.

È lo stesso Consiglio che definisce l’educazione plurilingue nel Quadro Comune Europeo di Riferimento concetto di competenza plurilingue e pluriculturale tende: 

a uscire dalla tradizionale dicotomia, apparentemente equilibrata, rappresentata dalla coppia LI/L2 e a mettere in evidenza il plurilinguismo di cui il bilinguismo non rappresenta che un caso particolare. 

a considerare che l’individuo non dispone di un repertorio di competenze comunicative distinte e separate nelle lingue che conosce, ma di una competenza plurilingue e pluriculturale che le ingloba tutte. 

a mettere in evidenza le dimensioni pluriculturali di questa competenza multipla, senza necessariamente sostenere che la capacità di entrare in rapporto con altre culture si sviluppi insieme alla competenza linguistico-comunicativa. 

(Consiglio d’Europa, Quadro Europeo di Riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione p. 205 2002) 

La conoscenza di diversi codici linguistici non è la capacità di utilizzare e comunicare utilizzando le lingue in modo isolato rispetto alla competenza comunicativa nella lingua madre, ma l’abilità che permette ai parlanti competenti di muoversi tra più lingue e culture.

La competenza plurilingue e pluriculturale fornisce ai parlanti competenti “gli strumenti necessari per vivere in un mondo di genti, lingue e culture diverse” (New Zealand Ministry of Education, 2007). La cultura, perciò, non è un elemento di secondaria importanza nell’acquisizione di un linguaggio, ma una presenza fondamentale nella costruzione dell’identità del parlante.

La diffusione del multilinguismo auspicata dal Consiglio d’Europa è alla base del processo di alfabetizzazione avviato negli Stati membri inserendo una lingua straniera nei primi anni di scolarizzazione si basa sull’ipotesi secondo cui l’acquisizione di una lingua diversa dalla lingua madre avvengano nel bambino più facilmente, più velocemente e meglio degli adulti.

I processi naturali di acquisizione della lingua madre, spontanei ed efficaci nel bambino fino all’”età critica”, vengono applicati alla fruizione degli elementi  strutturali e funzionali/comunicativi della lingua seconda, ossia interazione affettiva tra adulto e bambino, imitazione dei modelli linguistici, ripetitività delle situazioni educative, motricità e coinvolgimento dei sensi (Total Physical Response), approccio ludico, nel pieno rispetto delle proposte definite nell’ Indicazioni Nazionali, secondo cui: 

L’apprendimento avviene attraverso l’azione, l’esplorazione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione ludica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza. Nel gioco, particolarmente in quello simbolico, i bambini si esprimono, raccontano, rielaborano in modo creativo le esperienze personali e sociali. Nella reazione educativa, gli insegnanti svolgono una funzione di mediazione e di facilitazione e, nel fare propria la ricerca dei bambini, li aiutano aa pensare e a riflettere meglio, sollecitandoli a osservare, descrivere, narrare, fare ipotesi, dare e chiedere spiegazioni in contesti operativi e di confronto diffuso. (Indicazioni nazionali 2012, p. 18)

L’apprendimento significativo  

Per trattare di glottodidattica ludica è bene fare cenno al concetto di “apprendimento significativo” che si delinea un processo “globale” in quanto coinvolge la sfera cognitiva, emotiva, affettiva, sociale e costruttivo di integrazione di nuove informazioni su concetti già acquisiti (Rogers C. 1973, Ausubel, D. 1987, Novak J. D.  2001). Anche il gioco è esperienza globale costruttiva ed olistica in cui si integrano componenti affettive come il divertimento, sociali come il rispetto delle regole e lavorare in gruppo, motorie e psicomotorie come la coordinazione e il movimento, cognitive come la definizione di strategie di gioco, apprendere e rispettare le regole, emotive   percepire la tensione, la sfida e infine culturali come le regole specifiche del gioco.

Il gioco premette al discente di partecipare, di essere protagonista, di apprendere attraverso la pratica, accrescendo le proprie conoscenze e competenze impegnandolo divertendosi.

Il gioco per l’apprendimento della lingua

Prima di introdurre la glottodidattica ludica bisogna chiarire, seppur in modo sommario, la distinzione tra il gioco libero (praticato in un ambiente extrascolastico e non controllato) e gioco didattico (proposto dall’educatrice in contesti di apprendimento). Facendo riferimento al pedagogista Aldo Visalberghi citiamo due termini da lui introdotti attività ludica (corrispondente al gioco libero) e attività ludiforme (corrispondente al gioco didattico).  

Per Visalberghi, l’attività ludica:

è impegnativa: prevede un coinvolgimento psico-fisico, cognitivo e affettivo,  

è continuativa: è una costante sia nella vita del bambino e che dell’adulto,  

è progressiva: in quanto si rinnova, è mediatore di crescita cognitiva, relazionale, affettiva, amplia le conoscenze e le competenze,  

non è funzionale: è autotelica, cioè ha scopo in sé stessa.  

L’ attività ludiforme, invece, pur presentando le caratteristiche di impegno, continuità e progressività, non è autotelica, la finalità del gioco didattico si trova al di là del gioco stesso. Il fine che si persegue rimane esterno al gioco e, normalmente, esso è deciso dal docente. 

Le esperienze ludiformi, dunque, “costruite intenzionalmente per dare una forma divertente e piacevole a determinati apprendimenti” (Staccioli, 1998). 

L’attività ludiforme (progettata e gestita dal docente con finalità didattiche, educative e non solo ricreative) può rivelarsi un efficace “mediatore” lo sviluppo sia di competenze linguistico-cognitive che sociali ed educative tramite cui il discente possa appropriarsi di strutture e di lessico attraverso un’esperienza globale e intrinsecamente motivata che lo coinvolga dal punto di vista cognitivo( l’elaborazione di strategie di gioco, l’apprendimento di regole), ma anche affettivo (divertimento e piacere), sociale (la squadra, il gruppo, il rispetto delle regole) motorio e psicomotorie (il movimento, la coordinazione, l’equilibrio) e culturali (le regole specifiche e le modalità di relazione) .

L’apprendimento della L2 nella fascia d’età 0-6

I bambini, pur avendo capacità cognitive non paragonabili a quelle degli adulti (area del ragionamento e dell’astrazione ad esempio) dispongono di caratteristiche neurobiologiche e cognitive che li predispongono all’apprendimento delle lingue.

A livello neurobiologico il cervello del bambino è particolarmente plastico ossia predisposto a interiorizzare con facilità gli input esterni. Inoltre, nei primi anni di vita, è attiva la memoria implicita che consente si imparare a muovere i primi passi, afferrare e manipolare attraverso l’acquisizione di schemi procedurali. imparare una lingua, a ben guardare, si basa sull’apprendimento di schemi procedurali (articolari suoni, mettere in sequenza parole, concordare parole tra di loro). 

È durante la fascia d’età che va dai 0 ai 7 anni e in particolare i primissimi anni di vita (the Age Factor) che l’acquisizione di una lingua straniera avviene con modalità non replicabili successivamente (Penfield 1959; Johnson, Newport 1989; Hyltenstam, Abrahmsson 2003, Knudsen 2004 e Meisel 2010), soprattutto per quanto riguarda le componenti della fonetica per impostare una corretta pronuncia e della morfosintassi (Fabbro 2004 e Daloiso 2009b 88 Favaro).

La scuola dell’infanzia: un contesto favorevole

Ad oggi nella scuola (servizi educativi: nido e infanzia cosa metto??) italiana i bambini vengono esposti alla LS per pochissime ore la settimana (da 1 a 3). Per rendere veramente efficace un progetto di avvicinamento a una LS è necessario che la quantità di esposizione sia ampia e continuativa.

È preferibile fare piccoli interventi quotidiani piuttosto che lunghi interventi una o due volte alla settimana. Attualmente, in Italia, l’unico contesto in cui sono potenzialmente realizzabili interventi quotidiani frequenti e continuativi è la scuola dell’infanzia e nei nidi.

Le attività del nido e scuola dell’infanzia sono scandite da routine. La possibilità di coinvolgere i bambini in situazioni frequenti in cui la lingua viene usata in modo ricorrente e contestualizzato è fondamentale per attivare i meccanismi neurobiologici di acquisizione di una lingua. Ci sono molti momenti che scandiscono la giornata educativa, durante i quali anche in italiano tendiamo a utilizzare in modo ricorrente certe espressioni linguistiche (, accompagnante da comportamenti e gesti esplicativi. I bambini osservano i comportamenti e le azioni degli adulti e dei pari per poi riprodurli. Nei più piccoli i comportamenti ripetitivi sono spesso riflessi, non volontari. Crescendo i bambini utilizzano l’imitazione come strumento di apprendimento in modo più consapevole. Il contatto con la lingua straniera deve essere un’esperienza ricorrente, collocata all’interno di situazioni ben definite, concrete e reiterate nell’arco della settimana educativa. Da rimarcare la differenza fra ricorrenza e ripetizione: una situazione ricorrente non è uguale e sé stessa, non è una replica di un evento già avvenuto: ogni volta puoi variare il tono della voce, modificare alcune espressioni e introdurre elementi nuovi. In questo senso, una situazione è ricorrente non ripetitiva.   La , invece, è una replica delle stesse esperienze quali ascoltare una filastrocca o una fiaba ripetutamente. Anche se solitamente i bambini amano ripetere le attività come quelle indicate, ogni bambino ha preferenze e gusti diversi, in questo senso, più che ripetere la stessa attività è efficace riproporla con varianti (ricorrenza). 

Le routine ricorrenti, dunque, sembrano essere fondamentali per massimizzare gli effetti dell’esposizione linguistica, dato che l’input è associato a esperienze concrete. Il bambino riesce così a collegare il contesto a cui si riferiscono le parole che sente. Crescendo il bambino procede autonomamente a processare l’input ricevuto fino alla produzione spontanea in LS che infatti ha luogo, generalmente, in contesti routinari (Daloiso e Favaro 2012).  

Classificazione e tipologie di giochi  

Affinché la glottodidattica ludica non sia intesa solo come attività autotelica, libera e disinteressata o come solo gioco didattico è necessario chiarire il concetto di ludicità.

Per ludicità si intende “la carica vitale in cui si integrano forti spinte motivazionali intrinseche con aspetti affettivo-emotivi, cognitivi e sociali dell’apprendere” (Caon, Rutka, 2004).  Tutte le attività che, pur non palesemente ludiche, sono sostenute da motivazione intrinseca poiché stimolano curiosità, interesse, desiderio di conoscere e concentrazione mentale possono rientrare in una proposta di didattica ludica in quanto permettono un apprendimento mirato e contemporaneamente incidentale della lingua.

La glottodidattica individua nella ludicità il principio per promuovere lo sviluppo globale del bambino.

Da quanto detto finora emerge chiaramente quanto il concetto di gioco sia complesso e abbracci diverse tipologie e molteplici funzioni.

Coerentemente con la teoria che vede il gioco come un fattore di sviluppo e maturazione dell’allievo, si propone di seguito un elenco, ovviamente non esaustivo, di giochi basato sulla classificazione ontogenetica di attività ludiche per l’apprendimento della lingua di Claparède (1909) ripresa da Piaget (1945), in cui il gioco sottolinea e informa di sé le tappe evolutive del bambino nella sua crescita psico-affettiva, cognitiva e sociale.

Piaget definisce tre tipi di giochi secondo le varie fasi dello sviluppo: i giochi di esercizio, i giochi simbolici e i giochi di regole. 

Giochi di esercizio 

Correlati all’intelligenza senso-motoria, si presentano, generalmente, nei primi 18 mesi di vita. Il bambino, attraverso l’afferrare, il dondolare, il portare alla bocca gli oggetti, l’aprire e chiudere le mani o gli occhi, impara a controllare i movimenti e a coordinare i gesti esplora e sperimenta la realtà circostante: ogni oggetto che scopre lo getta per terra in tutte le direzioni per analizzarne le cadute e le traiettorie, assume e controlla la realtà che lo circonda.

Attraverso l’esplorazione il bambino passa dalla conoscenza sensoriale, percettiva – manipolativa delle cose alla formazione dei concetti. Non appena il bambino comincia ad emettere dei suoni gioca con la lingua così come prima giocava con gli oggetti.

In ottica glottodidattica ludica non c’è contraddizione tra gioco ed esercizio perché la motivazione, l’interesse e il piacere che sostengono l’allievo durante queste attività sono le stesse che si hanno in una situazione di gioco libero. (Cfr. Freddi, 1990)  

Ai giochi-esercizi appartengono tutte le attività che esercitano e fissano le strutture della lingua e il lessico quali ripetizioni (di parole, frasi, testi, canzoni, ecc.); composizioni, scomposizioni, ricomposizioni, associazioni di parole-immagini; incastri di battute in un dialogo; catene di parole, e di frasi; giochi di movimento; interviste e questionari; giochi di natura insiemistica; giochi epistemici legati al problem solving; giochi di enigmistica.

Giochi simbolici

Fanno la loro comparsa verso il secondo anno di vita in cui il bambino entra nel mondo del “come se”, attribuendo agli oggetti significati simbolici, personali, (intelligenza rappresentativa). Con i giochi simbolici aggiunge ai giochi di esercizio la dimensione della simbolizzazione e della funzione, la capacità di rappresentare attraverso gesti una realtà non attuale. Il gioco simbolico si manifesta nella capacità di rappresentare qualcosa attraverso tutti i mezzi espressivi a disposizione, di cui il linguaggio verbale è solo uno, anche se molto importante (funzione semiotica di Piaget). Il gioco simbolico al pari delle altre tipologie dei giochi, pur modificandosi, è presente in tutta la vita dell’individuo.

A questa categoria appartengono tutti i giochi creativi e di libero reimpiego, che coinvolgono lingua verbale e linguaggi non verbali in un’ampia gamma di: drammatizzazione di scenette e storie, simulazioni, Role play; interviste impossibili; completamenti di fumetti; attività di immaginazione; attività espressive, ritmiche, musicali, teatrali; attività di mimo; attività di canto abbinato alla gestualità; filastrocche abbinate a ritmo e gestualità; attività di transcodificazione, di passaggio da codice verbale ad iconico o motorio; creazione di cartelloni, collage, ecc.

Giochi di regole:  

Si presentano circa dall’età di 2 anni e vanno completando la loro strutturazione verso il settimo anno di vita. I giochi di regole introducono il bambino nel mondo ludico dell’immaginazione, del «come se», che è tipicamente umano e prende origine dall’azione.

La stessa lingua è “gioco di regole”, regole sociali di uso, come il rispetto del turno di parola, la comprensibilità degli enunciati, la corretta interpretazione dei ruoli comunicativi, i registri, ecc. Il gioco di regole è destinato a durare tutta l’esistenza. I giochi di regole (giochi games) sono quelli più diffusi a scuola.

Dapprima sono imitazioni dei giochi dei bambini più grandi per poi organizzarsi spontaneamente caratterizzando la socializzazione del bambino. Attraverso i giochi di regole i bambini scoprono le regole sociali di uso della lingua, l’importanza e la funzione dei ruoli dei parlanti: giochi di ruolo (es. amico/amico, barista/cliente, insegnante/allievo, madre /figlio); giochi comunicativi basati sul vuoto di informazione (information gap) e sulla differenza di opinione (opinion gap); giochi tradizionali, le cui regole possono essere oggetto di analisi interculturale: es. Caccia al tesoro (gioco di problem solving), Campana; giochi che utilizzano griglie grafiche, schemi, percorsi, ecc.,(con le opportune modifiche come ad esempio: si procede solo rispondendo correttamente a dei quesiti linguistici): es. Gioco dell’Oca, Snakes and Ladders Battaglia navale; domino di sillabe, di parole di immagine parola/frase; giochi di carte: in cui si usano le regole di giochi noti, applicandole all’apprendimento della lingua;Tria/Tris/Filetto: in cui si deve fare tris risolvendo quesiti linguistici. Giochi creativi e di libero reimpiego, che coinvolgono lingua verbale e linguaggi non verbali: attività espressive, ritmiche, musicali, teatrali – attività di mimo; attività di canto abbinato alla gestualità; filastrocche abbinate a ritmo e gestualità; attività di transcodificazione, di passaggio da codice verbale ad iconico o motorio; creazione di cartelloni, collage, ecc. fumetti; giochi di memoria: memory classico, indovinelli/giochi a indovinare, ecc; drammatizzazione di scenette e storie; giochi di simulazione, del “far finta che”, del “se fossi”;  role-play.

Glottodidattica ludica, intercultura e inclusione

 L’attività ludica è lo strumento principe per veicolare anche concetti e valori propri dell’educazione interculturale (oltre che, ovviamente, per far esercitare la lingua) come riconosciuto nella Circolare Ministeriale 205/90: “L’educazione interculturale (…) comporta non solo l’accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione, di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento”. Ora, il gioco presenta due caratteristiche che possono favorire proposte didattiche interculturali. Il gioco è transculturale: tutti i bambini, indipendentemente dalla loro origine geografica e culturale, giocano e condividono alcuni aspetti appartenenti ad una “grammatica universale ludica”, come, ad esempio, il rispetto delle regole. Il gioco, quindi, come approccio paritetico tra le diverse conoscenze e competenze; il gioco è culturalmente determinato; “un gioco, scrive G. Staccioli (1998), è specchio/immagine della società nella quale si sviluppa ed ogni giocatore “gioca” (consapevolmente o meno) anche regole, simboli, aspirazioni, fantasie che sono proprie della cultura nella quale vive.” 

L’insegnante, consapevole dell’aspetto relazionale e culturale delle attività ludiche che, adeguate all’età dei bambini, risponde alla prospettiva del legislatore sviluppando “la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza delle diversità un valore irrinunciabile” (Indicazioni nazionali del 2012 pag. 14). La nuova scuola dell’infanzia, pertanto, risponde ai bisogni educativi e ai diritti alla cura dei bambini e delle bambine dai tre ai sei anni “in coerenza con i principi del pluralismo culturale e istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione Europea. […] Essa si pone la finalità di promuovere nei bambini lo sviluppo dell’identità, dell’autonomia, della competenza e li avvia alla cittadinanza” (Indicazioni nazionali del 2012, p.16). L’introduzione di una seconda lingua aiuta pertanto a “porre le fondamenta di un comportamento eticamente orientato, rispettoso degli altri, dell’ambiente e della natura” poiché espande “il primo esercizio del dialogo che è fondato sulla reciprocità dell’ascolto, l’attenzione al punto di vista dell’altro e alle diversità di genere, il primo riconoscimento di diritti e doveri uguali per tutti”. (Ibidem)

Bibliografia  

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Caon F (2022), Edulinguistica ludica Facilitare l’apprendimento linguistico con il gioco e la ludicità, Venezia Edizioni Ca’ Foscari

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[1] Tutor organizzatore presso il CdL in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Roma Tre.

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