A. Witting, La lettrice testarda
Amy Witting scriveva di sé
di Antonio Stanca
Una nuova edizione de La lettrice testarda, romanzo di Amy Witting, è comparsa quest’anno ad Aprile per conto di Garzanti. La prefazione è di Charlotte Wood, la traduzione di Katia Bagnoli. Altre edizioni c’erano state prima con Garzanti che ha pubblicato pure le opere più note della scrittrice australiana. La lettrice testarda risale al 1979, quando la Witting aveva sessantuno anni. Ma dopo averlo scritto aveva dovuto attendere per vederlo pubblicato poiché non condiviso era dagli editori. Solo dopo dieci anni, nel 1989, era avvenuta la pubblicazione e immediato era stato il successo. Un bestseller era diventato quasi subito, molti premi aveva ottenuto.
Amy Witting, in realtà Joan Austral Fraser, nasce a Sydney nel 1918 e a Sydney muore nel 2001, a ottantatré anni. Da bambina soffre di tubercolosi ma curata guarisce e compie i suoi studi. Per molto tempo insegna Lingua e Letteratura inglese e francese. A sedici anni aveva pubblicato la prima poesia, a quarantasette il primo racconto, a cinquantanove il primo romanzo, a settantuno La lettrice testarda. Era il 1989 e d’allora avrebbe acquisito una notorietà durata fino ai nostri giorni. Dopo dieci anni un altro romanzo, Isabella sulla via del negozio all’angolo, avrebbe avuto la stessa protagonista e lo stesso successo. In quella protagonista, Isobel Callaghan, che aveva sofferto durante l’infanzia, che aveva faticato per raggiungere una sua posizione, una pur minima affermazione, va riconosciuta la scrittrice, la sua vita, la sua famiglia, il complicato rapporto con la madre, i problemi che ne erano derivati e che avevano compromesso anche il suo futuro, anche gli altri suoi rapporti. Di carattere autobiografico, psicologico erano stati i due romanzi. Altri ne avrebbe scritto la Witting, altri racconti, altre poesie ma La lettrice testarda sarebbe rimasta la sua opera per eccellenza, quella che l’avrebbe collocata ai livelli più alti della narrativa australiana contemporanea. Un romanzo di formazione lo si può definire visto che comprende gli anni dell’adolescenza della protagonista, quelli che erano serviti a fare di lei prima la lettrice e poi la scrittrice che sognava, a muoverla, orientarla verso l’uso della penna, della carta come sempre aveva pensato e mai ci era riuscita. È il romanzo della sua prima vita, delle sue prime esperienze in casa e fuori. In casa era la figlia più piccola ed aveva una madre che non la sopportava, che del loro difficile rapporto non faceva un problema ma lo viveva con naturalezza fino a non trattenersi neanche in pubblico. Per Isobel, invece, era un vero e proprio dramma non vedersi accettata, condivisa in nessuna delle sue cose, neanche in quell’amore per la lettura che in una situazione simile era diventato un modo per compensare quanto le mancava. Avrebbe coltivato questa passione contro ogni ostacolo, la aiutava a superare i problemi che sempre le si presentavano, le faceva sperare di andare oltre, di liberarsi.
Il padre era morto da tempo e dopo la morte della madre le due sorelle si erano trasferite altrove, avevano cercato un lavoro. Isobel era andata nella vicina città presso un’azienda importatrice di cristalleria. Vi era stata assunta come dattilografa e traduttrice ma difficili le riuscivano i contatti con i compagni di lavoro. Erano persone nuove e lei era rigida, le mancava quella disponibilità a stare, comunicare, scambiare con gli altri specie se estranei. Questo comportamento sembrò migliorare quando era venuta a contatto con un gruppo di giovani studenti, appassionati di letteratura, di teatro, che programmavano, preparavano spettacoli ricavandoli da opere di autori famosi. Con loro Isobel si fermerà a parlare, a dire delle sue conoscenze, di quanto le veniva dalle sue letture, a trascorrere il tempo libero, a cenare, a dormire. C’erano ragazzi e ragazze, di tutti dirà la Witting nel romanzo, della loro vecchia e nuova vita, dei loro pensieri, delle loro azioni, dei loro sogni, dei loro amori. In uno spettacolo vario e infinito si trasformerà l’opera, in una serie interminabile di voci, in un coro dai risvolti più strani. Sembrerà non volersi fermare, farà posto anche al rapporto, a volte difficile, tra quei ragazzi della nuova generazione e gli ambienti che spesso erano della vecchia. Ampiamente comprensiva risulterà la narrazione, capace di contenere tutta la vita, tutta la storia di quei posti, di quelle persone. Ma per Isobel, che pur tra tanto movimento non aveva rinunciato a leggere e a pensare, neanche questa nuova condizione riuscirà a soddisfare le sue aspettative. Di nuovo sola tornerà a sentirsi e a stare, di nuovo senza una determinazione, una definizione nei suoi propositi tornerà a trovarsi. E soltanto quando, grazie ad una circostanza fortuita, inizierà a dedicarsi alla scrittura, come aveva sognato, soltanto allora le sembrerà possibile andare oltre quelli che per lei erano sempre stati dei limiti. Era stato il pensiero della lettura, poi quello della scrittura a salvarla nei momenti di maggiore sofferenza. Ci era riuscita, aveva superato le strettoie della realtà, era diventata capace di scrivere, si era salvata, la scrittura l’aveva salvata.
Così si conclude l’opera della Witting dopo che tra tante vicende ha fatto passare la sua Isobel, dopo che tanto di sé ha detto tramite lei.
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