Perche’ChatGPT ha problemi con la matematica?

Se avete sperimentato ChatGPT con problemi matematici, vi sarete accorto che non abbiamo a che fare con un portento!

Ed è in buona compagnia: anche altre IA come Claude di Anthropic, Gemini e il modello Llama di Meta hanno difficoltà con semplici operazioni matematiche. Allora come è possibile che questi modelli possano scrivere narrazioni complesse, ma inciampare in problemi matematici di livello scolastico?

Tokenizzazione: un ostacolo per la matematica

Uno dei problemi che modelli come ChatGPT affrontano con la matematica ha a che fare con la tokenizzazione, Questo è il processo in cui l’intelligenza artificiale divide le informazioni in “pezzi” o “token” più piccoli. Ad esempio, la parola “fantastico” può essere divisa nei simboli “fan”, “tas” e “tico”. Lo stesso vale per i numeri. Un numero come “380” può essere rappresentato come un singolo token, mentre “381” può essere diviso in due token, “38” e “1”. Questo tipo di tokenizzazione tende a distruggere le relazioni tra le cifre e di conseguenza influisce sulla capacità del modello di elaborare accuratamente i calcoli matematici.

L’intelligenza artificiale e i suoi limiti: macchine statistiche
Un altro motivo per cui i modelli di intelligenza artificiale hanno difficoltà con la matematica è perché sono macchine statistiche. Questi modelli non risolvono i problemi come farebbero un essere umano o una calcolatrice; Invece, prevedono sequenze di segni sulla base di modelli appresi da un gran numero di esempi. Se date loro un problema come “5.7897 x 1.2832”, l’intelligenza artificiale proverà a dedurre il modello. Di conseguenza, è possibile che alcune cifre siano corrette, ma è molto probabile che si commettano errori su altre, soprattutto se l’operazione prevede diversi passaggi intermedi. Infatti, uno studio del professor Yuntian Deng ha dimostrato che modelli come GPT-4o raggiungono a malapena una precisione del 30% sui problemi di moltiplicazione che coinvolgono numeri più lunghi di quattro cifre.

Progressi nei modelli AI: è possibile un miglioramento?
Nonostante queste limitazioni, non tutto è perduto per l’intelligenza artificiale e la matematica. Nello stesso studio, il team di Yuntian Deng ha testato un nuovo modello chiamato o1, un modello “pensante” OpenAI che è stato recentemente incorporato in ChatGPT. Questo modello ha la capacità di “pensare” passo dopo passo prima di offrire una risposta e ha mostrato prestazioni significativamente migliori sui problemi di matematica, risolvendo problemi di moltiplicazione fino a nove cifre nel 50% dei casi.

ChatGPT può essere utile come una calcolatrice?
Per Deng c’è speranza. Crede che alcuni tipi di problemi matematici, come la moltiplicazione, alla fine saranno “completamente risolti” da sistemi come ChatGPT. Questi tipi di operazioni hanno algoritmi ben definiti che consentono evidenti miglioramenti e stiamo già assistendo a progressi nelle capacità di ragionamento di questi modelli. Tuttavia, per il momento, sembra prudente continuare ad avere una calcolatrice a portata di mano.

La sfida di insegnare la matematica all’intelligenza artificiale
Il problema della matematica mostra con evidenza gli attuali limiti dell’intelligenza artificiale. Sebbene ChatGPT e modelli simili stiano facendo progressi significativi in ​​molte aree, la matematica rimane una sfida. La natura statistica di questi modelli e i problemi inerenti alla tokenizzazione rendono l’aritmetica più difficile di quanto possa sembrare a prima vista.

Mentre gli esseri umani possono scomporre un problema matematico e risolverlo passo dopo passo, l’intelligenza artificiale, per ora, sta ancora cercando di trovare modelli statistici invece di “ragionare” come faremmo noi. Con modelli come o1 si stanno compiendo sforzi per cambiare la situazione e i risultati finora sono promettenti. 

 

Traduzione da: https://wwwhatsnew.com/2024/10/07/chatgpt-es-malo-en-mates-pero-hay-un-motivo/#more-472661

Continua la lettura su: http://www.robertosconocchini.it/intelligenza-artificiale/8915-perchechatgpt-ha-problemi-con-la-matematica.html Autore del post: Maestro Roberto Fonte: https://www.robertosconocchini.it/

Articoli Correlati

Il paesaggio pittoresco e lo specchio Claude

Ho incontrato per la prima volta questo curioso strumento da pittura descrivendo un dipinto di Matisse in uno dei capitoli de Il mondo alla finestra. In particolare si trattava di una delle sue opere più astratte e cioè La finestra blu del 1913.

La scena raffigura la camera da letto di Henri e della moglie Amélie al secondo piano della loro abitazione a Issy-les-Moulineux, alla periferia di Parigi. Il tetto sullo sfondo, tra alberi tondeggianti, è quello del suo studio, una costruzione voluta dallo stesso pittore. Tutto il resto è un insieme di elementi stilizzati che emergono dal fondo attraverso il vibrante contrasto tra colori quasi complementari: i toni d’azzurro e turchese e il giallo ocra.
La distinzione tra interno ed esterno è totalmente annullata, così come la verosimiglianza di ogni oggetto. Eppure ce n’è uno molto caratteristico, che Matisse inserisce forse per spiegare il modo con cui crea immagini così essenziali: è il cosiddetto “specchio Claude” o specchio nero, quel quadrato scuro con cornice rossa sul lato destro della tela.

Si tratta di un piccolo specchio brunito e leggermente convesso, generalmente grande come una scatola di cipria, che i pittori usavano per ritrarre la natura volgendosi di spalle e osservandola sulla superficie riflettente. L’effetto ottenuto era simile ai dipinti di Claude Lorrain, il paesaggista del Seicento da cui prende il nome.

Lo specchio nero, oltre a includere in un piccolo spazio un vasto paesaggio per via della sua convessità e a fornire un’immagine già bidimensionale e facile da copiare, aveva la capacità di confondere i dettagli e limitare la gamma cromatica, due aspetti utili a Matisse nella creazione di immagini sempre più semplificate come La finestra blu. 
Ma quando è nato quest’oggetto? L’ha inventato proprio Lorrain? In realtà le origini di questo dispositivo non sono chiare né si può affermare che il buon Claude lo utilizzasse. Ma quel che è certo è che nel Settecento era straordinariamente diffuso non solo tra i pittori ma anche tra i nobili e i turisti che lo usavano per guardare i paesaggi in una versione più suggestiva, come testimonia questo ventaglio del Settecento.

In pratica era come guardare il mondo con gli occhiali da sole, capaci di rendere ogni tinta più intensa e di far vedere tramonti spettacolari senza abbagliamento. Grazie allo specchio Claude ogni paesaggio si trasformava magicamente in un dipinto di Lorrain.
Seguace di Claude Lorrain, Il pastore, XVII-XVIII secolo
Tra i più entusiasti utilizzatori di questo strumento ci fu l’inglese William Gilpin (1724-1804). Secondo lui lo specchio nero conferiva «all’oggetto della natura una sfumatura morbida come la colorazione di quel Maestro».
Thomas Gaisborough, Studio di uomo che tiene uno specchio Claude, 1750-1755
Gilpin era talmente innamorato di questo “filtro” che ne fece montare uno sul fianco della sua carrozza, da cui poter ammirare «una successione di immagini dai colori intensi che scivolavano continuamente davanti all’occhio».
Le incisioni derivate dai suoi schizzi sembrano proprio paesaggi visti con lo specchio Claude. Alcuni ne conservano persino la forma ovale!

Non è un caso che Gilpin sia anche l’ideatore del concetto di pittoresco, da lui definito nel suo Essay on Prints del 1768 come «quel tipo di bellezza che è gradevole in un dipinto». Un po’ quello che ci scappa da dire quando, davanti a un luogo incantevole, esclamiamo «sembra un quadro!».
Si tratta di un’idea nuova, sintomo di un cambiamento culturale in positivo nei confronti del paesaggio. Non dobbiamo pensare, infatti, che la natura sia sempre stata considerata bella e buona. Al contrario! Per secoli boschi e montagne erano percepiti come luoghi spaventosi e simbolo del male (la selva oscura…). La diffusione della pittura di paesaggio coincide dunque con questa rivalutazione dei luoghi naturali.
Jules Coignet, Veduta di Bolzano con un pittore, 1837
Un’altra testimonianza dell’uso dello specchio Claude si trova nel diario del viaggio nel Distretto dei laghi, nel nord ovest dell’Inghilterra, scritto dal poeta Thomas Gray e pubblicato nel 1775. Così scrive Gray: «Da qui sono arrivato alla canonica poco prima del tramonto e ho visto nel mio specchio un quadro che, se potessi trasmettervi e fissarlo in tutta la dolcezza dei suoi colori vivaci, si venderebbe tranquillamente per mille sterline. Questa è la scena più dolce che io possa ancora scoprire in fatto di bellezza pastorale, il resto in uno stile sublime».
George Barret, Vista del Lago Windermere, mattina presto, 1781
La diffusione del suo diario rese lo specchio talmente popolare che per un breve periodo fu chiamato addirittura “specchio Gray“… Pare che il poeta fosse così preso dalla visione attraverso il suo specchietto che durante una gita cadde all’indietro in «una stradina sporca» e si ruppe le nocche.
Thomas Rowlandson, Il dottor Syntax cade in acqua, da Il viaggio del dottr Syntax in cerca del pittoresco, 1813
Ma non avrebbe mai rinunciato a tenerlo aperto in mano e a vedere «il tramonto del sole in tutto il suo splendore».
Anton Zwengauer, Paesaggio con cervi al tramonto, 1847
Una descrizione meno poetica è fornita invece in un catalogo statunitense del 1857, nel quale il costruttore di strumenti ottici Benjamin Pike Junior spiega che «gli specchi di vetro nero di Claude per il disegno prospettico sono molto utili per il giovane artista, poiché condensano o diminuiscono la vista nella dimensione desiderata per il quadro previsto, e tutti gli oggetti mantengono le loro proporzioni relative».
Certo, è piuttosto curioso pensare che viaggiatori e artisti, invece di guardare uno spazio naturale gli volgessero le spalle preferendogli una miniatura alterata nella forma e nei colori. Ma la concezione estetizzante del paesaggio pittoresco rendeva molto più attraente quella piccola scena simile a un dipinto.
Edward Alcock (attr.), Sophia Anne Delaval tiene uno specchio Claude verso il paesaggio, 1775-1778
D’altra parte non è molto diverso da quello che fanno oggi in tanti quando danno le spalle a una veduta per farsi un selfie. Non c’è più neanche l’idea di rendere il paesaggio pittoresco, ma solo quella di farne una quinta per un’autorappresentazione.
Nonostante si tratti di un dispositivo legato a una concezione sorpassata della visione del paesaggio, il dipinto di Matisse all’inizio dell’articolo dimostra che lo specchio Claude non fu spazzato via neanche dalla Avanguardie. Incredibilmente sopravvive ancora oggi come installazione di grandi dimensioni per riproporre l’esperienza del paesaggio riflesso. Ne è un esempio quello dell’architetto Sarosh Mulla collocato nel 2017 a Waikereru, in Nuova Zelanda.

Un altro specchio, di forma ovale, è stato installato presso Tintern Abbey, un’antica abbazia cistercense in rovina nel Galles sud orientale.

In alcuni corsi di pittura viene usato per impratichirsi nel disegno dal vero e controllare meglio la gamma dei toni di grigio.

Ma, senza rendercene conto, continuiamo a usarlo pure noi, quando prima di pubblicare la foto di un paesaggio su Instagram, applichiamo filtri, modifichiamo la saturazione dei colori, giochiamo coi contrasti, inseriamo la vignettatura. È una tentazione troppo forte, quella di rendere un paesaggio un po’ più “wow” o forse dovremmo dire “pittoresco”…

Questo significa una sola cosa: che Lorrain con il “suo” specchio è vivo e vegeto e fa le foto insieme a noi!

Vuoi rimanere aggiornato sulle nuove tecnologie per la Didattica e ricevere suggerimenti per attività da fare in classe?

Sei un docente?

soloscuola.it la prima piattaforma
No Profit gestita dai

Volontari Per la Didattica
per il mondo della Scuola. 

 

Tutti i servizi sono gratuiti. 

Associazione di Volontariato Koinokalo Aps

Ente del Terzo Settore iscritta dal 2014
Tutte le attività sono finanziate con il 5X1000