L’ordinanza collegiale del TAR Lazio n. 8851 del 10 ottobre 2024

L’ordinanza collegiale del TAR Lazio n. 8851 del 10 ottobre 2024: il concorso riservato a dirigenti scolastico è salvo. Almeno al momento.

Francesco G. Nuzzaci

1. Previsione, doppiamente, smentita

È doveroso riprendere il tema dopo che, su questa rivista, avevamo ipotizzato – e distesamente argomentato – l’esito opposto rispetto alla decisione con cui il TAR Lazio, a composizione collegiale, con l’ordinanza n. 8851 emessa il 10 ottobre 2024 ha caducato gli effetti sospensivi della graduatoria finale del concorso riservato a dirigente scolastico disposti dal decreto monocratico presidenziale n. 3785 del 17 agosto 2024.

È anch’essa un provvedimento formalmente provvisorio, ancorché di efficacia immediata fino al giudizio di merito che, in ipotesi, dovesse travolgerlo. E anche qui siamo stati smentiti, nell’aver ritenuto che nel merito si potesse direttamente pronunciare, sembrando sussistere tutti gli elementi dell’articolo 60 del Codice del processo amministrativo: almeno venti giorni trascorsi dall’ultima notificazione del ricorso e accertata completezza del contraddittorio e dell’istruttoria per essere i fatti pacificamente acquisiti.

Ma il TAR è stato di contrario avviso. E rinviando al giudizio di merito – non si sa se e quando – ogni valutazione sul superamento della prova di resistenza (1) e sulle altre eccezioni sollevate, ha statuito, ad una delibazione propria della fase cautelare, l’insussistenza del fumus boni iuris, cioè dell’apparenza del buon diritto rivendicato dai soggetti che lamentavano l’arbitrarietà della riduzione del punteggio dei titoli ad opera del decreto del Capodipartimento per il sistema di istruzione e formazione n. 2187 del 9 agosto 2024, contenente la graduatoria definitiva del concorso riservato a dirigente scolastico.

2. I contenuti dell’ordinanza

Con stringata sintesi, i contenuti dell’ordinanza possono riassumersi nei seguenti passaggi:

  1. il D.P.R. n. 487/1994, Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, “costituisce una disciplina generale applicabile a tutti i concorsi pubblici”;
  2. il D.M. n. 107/2023 con cui il Ministero dell’istruzione e del merito ha inteso indire e disciplinare “una procedura concorsuale per titoli ed esami” è a tutti gli effetti un concorso pubblico, come da sentenza della Corte costituzionale n. 106/2019 che ha definito concorso la procedura parimenti straordinaria della legge 107/2015 e quindi qui “perfettamente sovrapponibile”;
  3. l’articolo 11 del citato D.M. 107/2023, a conferma della disciplina generale del D.P.R. 487/1994, prevede che questa debba valere in funzione integrativa per ciò che “non è previsto nel presente decreto in quanto applicabile”;
  4. costante giurisprudenza del Giudice amministrativo è che nei concorsi per esami e titoli – al di là del tenore testuale dell’art. 8.2 del D.P.R. 487/1994, che potrebbe non apparire chiarissimo ad una prima lettura – il peso di questi ultimi non può eccedere 1/3 del punteggio complessivo disponibile, con riferimento non al punteggio delle singole prove bensì al punteggio complessivo nella graduatoria finale. Sicché il calcolo del punteggio nella graduatoria finale, operato dal decreto dipartimentale n. 2187 del 9 agosto 2024, “non attribuendo prevalenza determinante né ai titoli né alle singole prove d’esame … concilia le esigenze e le aspirazioni dei candidati più giovani rispetto a quelli che, in anni di lavoro, hanno accumulato consistenti titoli di servizio”: come da sentenza del Consiglio di Stato n. 1614/2015;
  5. la pubblicazione dell’elenco graduato dei titoli nella loro integralità – nella misura massima di 30 punti, come dalla richiamata Tabella A in allegato al D.M. n. 138/2017 – valeva solo a rendere edotti i soggetti della valutabilità dei singoli titoli dichiarati nella domanda di partecipazione, “senza precisare alcunché sul peso da attribuire ai titoli rispetto al punteggio delle prove”;
  6. “risolutivo” del contenzioso è il richiamo che l’articolo 9 del D.M. 107/2023 fa del D.M. 138/2017 (il Regolamento dell’ultimo concorso ordinario del 2017), nel punto in cui prevede che per la valutazione della prova scritta, di quella orale e per la valutazione dei titoli la commissione attribuisce un punteggio massimo pari, rispettivamente a 100, 100 e 30 (quindi rispettoso della generale disciplina del D.P.R. n. 487/1994: cioè del peso dei titoli non superiore a 10/30 del complessivo punteggio nella graduatoria finale);

Conclusivamente, è legittima la decimalizzazione del punteggio dei titoli poiché conforme al dettato dell’articolo 8.2 del D.P.R. n. 487/1994, “che costituisce il parametro generale al fine di individuare il massimo punteggio attribuibile ai titoli, come peraltro accaduto in precedenti concorsi similari”.

Quanto al periculum in mora, allegato dalle contrapposte parti, trattandosi della fase cautelare si è proceduto a un bilanciamento, a favore dell’Amministrazione in quanto la mancata immissione in ruolo – secondo l’ordine di graduatoria – comporterebbe il ricorso all’istituto della reggenza, con inevitabili e gravose ricadute sulle procedure organizzative e gestionali delle medesime scuole.

Dunque, “caducazione degli effetti sospensivi” disposti dall’ordinanza n. 3785/17 agosto 2024 del primo giudice monocratico; e spese compensate in questa fase, “tenuto conto delle particolarità della materia”.

3. Un’ordinanza non persuasiva

Le decisioni dei giudici si rispettano, anche se non sono sentenze definitive passate in giudicato, ma si possono criticare. E l’ordinanza si presta a diverse obiezioni.

3.1. Non vi è dubbio che il D.P.R. 487/1994 costituisce una disciplina generale applicabile a tutti i concorsi pubblici, il cui articolo 8.2 impone che ai titoli non possa essere attribuito un punteggio superiore a 10/30 rispetto a quello complessivo nella graduatoria finale; e che il D.M. n. 107/2023 ha inteso indire una procedura concorsuale per titoli ed esami, come quella – parimenti straordinaria – prevista dalla legge 107/2015, definita concorso pubblico dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106/2019, e che il pronunciante TAR ha ritenuto “perfettamente sovrapponibile”.

Va però puntualizzato che la richiamata sentenza n. 106/2019 dice, semplicemente e solo, che non sono fondati i dubbi di illegittimità costituzionale – per come prospettati dal remittente Consiglio di Stato – dell’articolata procedura in sanatoria di cui all’articolo unico, commi 87-90, legge 107/2015 per risolvere il contenzioso generatosi in seguito ai concorsi ordinari a dirigente scolastico del 2004, del 2006 e del 2011, al fine di evitare che i relativi effetti continuassero a rendere problematica la programmazione del servizio e aumentassero il fenomeno delle reggenze. Sicché – sempre secondo i giudici della Consulta – non è censurabile la decisione del Legislatore di predeterminare la platea dei soggetti e di bilanciare i contrapposti interessi, accordando una particolare tutela alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e di efficacia dell’azione amministrativa, anche sotto il profilo della sua tempestività, a fronte di una compressione non irragionevole del diritto di accesso all’impiego pubblico e del principio del pubblico concorso. Laddove la dicitura di pubblico concorso, con il richiamo della legge 107/2015, nella sentenza de qua è tutt’al più un obiter dictum, pertanto non idoneo a sostenere l’affermazione dell’ordinanza del TAR, qui in commento, che il concorso riservato oggetto del contenzioso è “un concorso pubblico a tutti gli effetti” e perciò comportante l’applicazione della regola generale del D.P.R. 487/1994 in tema di valutazione dei titoli.

Peraltro, quello che dovrebbe essere “un concorso pubblico a tutti gli effetti” e “perfettamente sovrapponibile” a quello qui in esame, non ha previsto alcuna valutazione dei titoli. Difatti il decreto ministeriale n. 499 del 20 luglio 2017, attuativo dei commi 87-90 della legge 107/2015, ha disposto per una prima platea un corso intensivo di formazione di 80 ore, che si conclude con una prova scritta da superare con almeno 21/30 e solo questa figurante come punteggio in graduatoria; e per una seconda platea un propedeutico percorso ancor più semplificato, che si conclude con una prova orale, anch’essa da superare con almeno 21/30 e costituente il solo punteggio in graduatoria.

Sembra quindi più convincente affermare che, così come quello a suo tempo statuito dalla legge 107/2015, il dispositivo dell’attuale concorso – anche questo riservato – opera una deroga alla disciplina generale sull’accesso agli impieghi nelle amministrazioni pubbliche; ovvero che costituisce una norma speciale il decreto legge n. 198 del 29 dicembre 2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 14 del 24 febbraio 2023, alla cui esecuzione ha provveduto il decreto ministeriale 107/2023.

3.2. Quanto ad una seconda obiezione, giova ricordare che la norma di legge testé menzionata ha voluto risolvere il debordante contenzioso prodotto dal concorso ordinario a dirigente scolastico bandito con decreto direttoriale n. 1259 del 23 novembre 2017, affidando a un regolamento del MIM – il D.M. n. 107/2023 – la concreta attivazione di una procedura riservata alla corposa platea di coloro che nel predetto concorso non avevano superato la prova scritta, e a quella, molto più ristretta, di chi non aveva superato la prova orale; e ne ha disposto il comune accesso a un corso intensivo di formazione previa prova d’ingresso: basata – per i primi – su sistemi informatizzati a risposta chiusa, ed acquisendosi il punteggio minimo di 6/10; per i secondi su un colloquio e sempre acquisendosi il medesimo punteggio minimo. Ma nulla ha detto sui titoli – né per includerli né per escluderli – e perciò lasciando piena facoltà di scelta al regolamento attuativo, sempre il D.M. n. 107/2023. Che fa riferimento al D.P.R. 487/1994 tre volte: nel general-generico quindicesimo dei diciannove Visto della premessa; nell’articolo 11 (clausola di salvaguardia o norma di chiusura per evitare che eventuali dubbi interpretativi vadano risolti con il ricorso a fonti esterne al sistema normativo), che per quanto non previsto dal decreto valgono, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel D.P.R. n. 487/1994; nell’articolo 9.1, in cui l’elenco graduato (che nel decreto finale del Capodipartimento, n. 2187 del 9 agosto 2024, diviene graduatoria generale nazionale) si forma sulla base del punteggio ottenuto nella prova d’accesso e dei titoli valutabili ai sensi della Tabella A allegata al D.M. n. 138/2017 (cioè nel massimo di 30 punti).

E in punto di formazione dell’elenco graduato – vale a dire in sedes materiae – il D.M. n. 107/2023 ben avrebbe potuto – perché poteva legittimamente farlo – riportare, per esplicito o per rinvio, l’articolo 8.2 del D.P.R. n. 487/1994, che nei concorsi per titoli ed esami per i titoli non può essere attribuito un punteggio complessivo superiore a 10/30 o equivalente. Ma non l’ha fatto, per cui una ragione – oggettiva – deve esserci. Ed è quella che non consente di assimilare la procedura riservata in parola – così come quella precedente, di cui ai commi 87-90 della legge 107/2015: ante – ad un concorso ordinario per titoli ed esami, “orientato alla massima partecipazione” (art. 1, D.P.R. 487/1994), poiché difetta il basilare requisito dell’omogeneità; qui il solo elemento (meramente formale) in comune essendo l’integrazione della graduatoria del concorso ordinario del 2017 con la coda dell’attuale graduatoria del concorso riservato. Graduatorie peraltro – e non è senza significato –  disciplinate in modo opposto: la prima cessa al termine dell’anno scolastico 2025-2026 (ma in fatto è già vuota), la seconda è invece ad esaurimento e dunque – sia pure diluite nel tempo – a nomine garantite per tutti i 2099 dirigenti in pectore che la compongono. Sicché non è un ininfluente dato terminologico il fatto che l’una è una graduatoria concorsuale in senso proprio, per definizione selettiva siccome preordinata all’immissione nel ruolo dirigenziale dei migliori; mentre la seconda è un elenco graduato susseguente, nella sostanza, ad una riuscita prova d’ingresso alquanto semplificata, e difatti superata da oltre il 90% dei partecipanti ai quiz a risposta multipla e, presumibilmente, dall’intera platea, molto più esigua, di coloro che hanno invece sostenuto un colloquio. Un elenco graduato, avente il solo scopo di definire l’ordine di immissione in ruolo di tutti i soggetti che lo popolano nella misura del 40% dei posti che annualmente si liberano, con l’altro 60% destinato ai vincitori del concorso ordinario in svolgimento e di quelli futuri.

3.3. Nell’ordinanza del TAR Lazio è l’elemento “risolutivo” del contenzioso a favore dell’Amministrazione il richiamo che sempre l’articolo 9 del D.M. n. 107/2023 fa al D.M. n. 138/2017 (il regolamento dell’ultimo concorso ordinario del 2017) laddove prevede che per la valutazione della prova scritta, di quella orale e per la valutazione dei titoli la Commissione attribuisce un punteggio massimo pari, rispettivamente, a 100, 100 e 30 punti (come da allegata Tabella B), in ciò rispettandosi la generale disciplina del D.P.R. n. 487/1994: peso dei titoli non superiore a 10/30 del complessivo punteggio nella graduatoria finale.

Ma, a parte il fatto che il richiamo è ai “titoli valutabili ai sensi della Tabella B allegata al D.M. n. 138/2017”,il punto dirimente è che trattasi di concorsi profondamente diversi, quindi non comparabili o assimilabili.

3.4. E, pur essendo concorsi profondamente diversi, quindi non comparabili o assimilabili né sotto il profilo strutturale né sotto il profilo funzionale, il TAR ha ritenuto legittimo l’operato del decreto dipartimentale che, nella compilazione della graduatoria definitiva, decimalizzando il punteggio dei titoli, ha reso esplicito ciò che sarebbe implicito nel regolamento ministeriale, così allineandosi, tra l’altro, alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1614/2015, “che non attribuendosi prevalenza determinante né ai titoli né alle singole prove d’esame si conciliano le esigenze e le aspirazioni dei candidati più giovani rispetto a quelli che, in anni di lavoro, hanno accumulato consistenti titoli di servizio”.

È peròun richiamo incongruo poiché quello su cui il Consiglio di Stato si era espresso nei termini appena evidenziati era un concorso ordinario per esami (più prove scritte e una prova orale) e per titoli; che altrimenti si sarebbe trasformato, nella sostanza, o in un concorso per soli titoli o in un concorso per soli esami (2).

Pare quindi più agevole convenire sul fatto che il peso preponderante dei titoli di cui alla plurimenzionata Tabella B sulla graduatoria finale del concorso riservato oggetto del contenzioso (fino a 30 punti, a fronte dei massimi 10 punti della prova d’ingresso) è stata una scelta ben ponderata dal Legislatore (e sulla cui scia si è mosso il regolamento ministeriale 107/2023). Che, essendo la graduatoria sì ad esaurimento, ma lungo un arco temporale non breve, ha voluto assicurare la nomina in ruolo anche a soggetti non più giovani o prossimi alla pensione; e perciò ha attribuito prevalenza ai titoli – culturali e di servizio – di regola più consistenti per i docenti non alle prime armi, e che non possono dirsi meno indicativi, sotto l’aspetto del merito, della risposta esatta a tutti i quesiti della prova d’ingresso o di un brillante colloquio.

3.5. Se così – ragionevolmente – è, non può dirsi, come affermato nell’ordinanza del TAR, che l’avvenuta pubblicazione dei titoli nella loro integralità (30 punti per i primi due soggetti dell’elenco graduato, 0 punti per un corposo numero di soggetti in coda) valeva solo a renderli edotti della valutabilità dei singoli titoli dichiarati nella domanda di partecipazione, “senza precisare alcunché sul peso da attribuire ai titoli rispetto al punteggio delle prove”. Ma deve, all’opposto, dirsi che la predetta pubblicazione poneva un vincolo ad decreto con cui il Capodipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione doveva comporre l’elenco graduato finale: punteggio dei titoli culturali, punteggio dei titoli di servizio, loro punteggio complessivo (ma non oltre 30 punti, come dalla pluricitata Tabella B), punteggio della prova d’ingresso (decimalizzato ex lege e dunque non oltre 10 punti), somma di tutte le voci a comporre la graduatoria finale: che invece presenta in un’unica colonna il solo punteggio globale e nella misura massima di 11,5 punti (e minima di 6,0), senza quei dovuti passaggi analitici – in dispregio del principio costituzionale della trasparenza – per consentire di comprendere, con diretta ed immediata evidenza, come al punteggio massimo/minimo ci si è arrivati, anziché costringere i singoli interessati a dedurre plausibili ipotesi esplicative.

3.6. Quindi, il decreto del Capodipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, più che un’interpretazione estensiva, e già di per sé censurabile, ha compiuto un’impropria interpretazione analogica ravvisando nei due concorsi ordinario e riservato l’eadem ratio e, in luogo di limitarsi ad applicare una norma così com’è  – i “titoli valutabili ai sensi della Tabella A allegata al DM 138/2017”, cioè sino a un massimo di trenta punti – ha creato una terza norma del tutto arbitrariamente, in chiaro eccesso di potere, se non in un’aperta violazione di legge, perché non prevista né dal primigenio, convertito, decreto legge né dal parimenti superiore regolamento ministeriale (DM 107/2023). E senza neanche addurre una minima motivazione (3), semplicemente affermando, a suo insindacabile giudizio, che “è necessario procedere alla conversione su base decimale del punteggio attribuito ai titoli in conformità al punteggio della prova (d’ingresso)”; e violando altresì il pure richiamato DPR 487/1994, il cui articolo 8, comma 1, recita che riguardo i titoli è necessaria la “previa determinazione dei criteri di valutazione”, qui del tutto assente ovvero decisa ex post, mentre – caso mai – avrebbe dovuto essere un compito della Commissione d’esame.

4. Quali conseguenze?

A breve, se non già al momento della pubblicazione di questo articolo, dovrebbe conoscersi l’esito dell’avvenuta udienza del Consiglio di Stato,chiamato a pronunciarsi in appello su una serie di ordinanze del TAR Lazio rese in sede collegiale, che hanno annullato i provvedimenti di estrema urgenza emessi dal giudice monocratico a favore di ricorrenti partecipanti  al concorso ordinario in atto: di coloro che contestavano il mancato superamento della prova preselettiva, e soprattutto di chi, avendola superata, chiedeva al giudice lo stesso trattamento dei colleghi del concorso riservato: ammissione diretta al corso di formazione intensivo e assegnazione dal primo settembre 2024 del 60% dei 519 posti disponibili.

Se purformalmente anch’esse provvisorie, i motivi ivi scrutinati sono stati ritenuti – con perspicue, ancorché sintetiche motivazioni – tutti inammissibili o infondati, incluse le asserite (e parimenti disattese) violazioni di principi costituzionali. E se risulteranno confermati il ministro Valditara non dovrebbe avere più ostacoli – almeno non nell’immediato – a dar seguito al suo proposito di assumere subito i primi 519 soggetti presenti nella graduatoria del concorso riservato su posti al momento affidati a reggenti.

Assumerebbero servizio con decorrenza giuridica dal 1° settembre 2024 ed economica dall’effettiva presa del medesimo, non essendoci nessuna norma – quantomeno, nessuna norma espressa – che imponga la loro coincidenza e che comporterebbe il mantenimento delle reggenze fino al 31 agosto 2025, con sicuro pregiudizio della funzionalità delle istituzioni scolastiche e delle aspirazioni soggettive.

Beninteso, le nostre sono soltanto previsioni. Smentibili, come le precedenti.

NOTE

(1) Sotto pena d’inammissibilità del ricorso, la prova di resistenza nel contenzioso davanti il giudice amministrativo, per conforme giurisprudenza (da ultimo richiamata dal TAR Lazio, sez. III, sentenza n. 249 dell’8 gennaio 2021) costituisce un onere del ricorrente, di dimostrare – o almeno fornendo un principio di prova – la possibilità di ottenere un risultato utile nell’accoglimento dei motivi di ricorso: nel caso di specie dimostrare un interesse personale, attuale e concreto nella ri-formulazione corretta della graduatoria concorsuale, se da ciò deriva un proprio apprezzabile risultato concreto.

 (2) Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1614 del 27 marzo 2015, si è pronunciato sulla legittimità della graduatoria selettiva pubblica per il conferimento di 14 posti di curatore archeologico in esito a un concorso ordinario per esami e titoli indetto da Roma Capitale; consistente in prove scritte, la cui media si aggiunge al punteggio della prova orale e al punteggio dei titoli, il quale ultimo – secondo la generale disciplina dei concorsi pubblici ex articolo 8 del D.P.R. n. 487/1994 – non può essere superiore a 1/3 del complessivo punteggio nella graduatoria finale: di guisa che, “non attribuendosi prevalenza determinante né ai titoli né alle singole prove d’esame  ….. si concilia(no) le esigenze e le aspirazioni dei candidati più giovani rispetto a quelli che, in anni di lavoro, hanno accumulato consistenti titoli di servizio”. Diversamente – continua la sentenza – un concorso pubblico ordinario per titoli ed esami si trasformerebbe, nella sostanza, o in un concorso per soli titoli o in un concorso per soli esami.

(3) L’articolo 3, comma 1 della legge 241/1990 impone che ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato. E che la motivazione “deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”. Che invece nel decreto dipartimentale n. 2187/2024 sono completamente omessi.

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