Il comportamento del DS e del DSGA nell’attività negoziale

Il comportamento del dirigente e del direttore sga nell’attività negoziale: il profilo etico

di Anna Armone

L’attività negoziale nell’ambito della PA si svolge su due fronti di interessi e posizioni giuridiche diverse: da una parte abbiamo il soggetto privato che persegue i suoi interessi e dall’altra il funzionario pubblico che rappresenta l’amministrazione e persegue l’interesse pubblico, nonostante la pariteticità delle posizioni. Ma prima dell’avvio della procedura negoziale ad entrambi le parti è richiesto un comportamento corretto che, in caso contrario, può portare conseguenze di varia natura giuridica. Mentre per il privato il legislatore penale ha previsto, per questa fase prenegoziale, il reato di cui all’art. 353 bis, per il funzionario pubblico non vi è un articolo del codice penale specifico, a meno che non si tratti di reati diversi, quali la corruzione, la concussione, ma l’attenzione va posta sul piano etico deontologico. Le regole sono fissate nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici e nei codici di comportamento delle singole amministrazioni. Il Codice disciplinare, reca l’indicazione delle infrazioni del codice disciplinare e relative sanzioni (pubblicazione on line in alternativa all’affissione in luogo accessibile a tutti – art. 7, l. n. 300/1970) mentre il Codice di condotta va inteso quale codice di comportamento.

“… il funzionario pubblico deve sentirsi parte di un corpo. E i corpi pubblici devono condividere un idem sentire. L’idea che i lavoratori pubblici debbano rispettare regole di condotta e di ‘onestà’, contenute in ‘codici etici’, risale, in parte, al Rapporto Giannini e, ancor più, ai successivi programmi attuati da Sabino Cassese agli inizi degli anni Novanta, tra i quali l’introduzione del ‘Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni’, sottoposto poi a più recenti modificazioni. La promozione degli obiettivi di integrità, così come indicati dalla riforma del 2009 e implementati dalle previsioni del ‘Ddl anticorruzione’, richiede una nuova sempre maggiore attenzione al possibile aggiornamento del codice di condotta e allo sviluppo di codici o manifesti etici presso le singole Amministrazioni, da formulare in chiave programmatica e molto meno ‘per principi’…”. (Patroni Griffi).

Sono tenute all’adozione del codice di comportamento le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001. Ad esse si riferisce sia l’art. 54 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sia l’art. 2 del d.P.R. 62 del 2013. La disciplina sui codici di comportamento si applica, pertanto, a tutte le amministrazioni pubbliche tenute all’applicazione della normativa sulla prevenzione della corruzione e sulla trasparenza e all’adozione del PTPCT ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis, l. 190/2012.

Il ruolo attribuito dal legislatore ai codici di amministrazione è quello di integrare e specificare i doveri individuati dal Codice nazionale, con riferimento alla propria amministrazione. Con i doveri integrativi si persegue l’obiettivo di completare il quadro dei precetti, allo scopo di meglio conseguire gli obbiettivi; con i doveri specificativi, invece, si traducono le prescrizioni generiche in prescrizioni specifiche. L’attività di integrazione/specificazione presuppone una mappatura dei processi cui far seguire l’analisi dei rischi e l’individuazione dei doveri di comportamento seguendo quindi lo stesso approccio utilizzato per la redazione del PTPCT. Ciò consente di individuare i doveri di comportamento alla luce del contesto di ogni singola amministrazione così come avviene per le misure di prevenzione del PTPCT che sono individuate tenendo conto dei profili di rischio emersi dalla mappatura dei processi. Le amministrazioni, inoltre, nella definizione dei doveri di comportamento, possono avvalersi dei dati raccolti dall’UPD relativi alle condotte illecite accertate e sanzionate in modo da aggiornare/integrare il codice di comportamento alla luce degli esiti rilevati. Lo spazio integrativo e specificativo di cui le amministrazioni dispongono varia in relazione alla natura delle prescrizioni dettate dal codice nazionale: tanto queste sono puntuali, tanto minore è lo spazio che i codici possono colmare e viceversa. Giova, tuttavia, ricordare che nell’individuazione dei doveri le amministrazioni non possono regolare ambiti diversi da quelli previsti dal codice nazionale a pena di sconfinare in aree riservate ad altre fonti, né replicare in maniera acritica i contenuti dello stesso codice nazionale. I codici di comportamento delle amministrazioni è necessario sviluppino un sistema completo di valori fondamentali che siano in grado di rappresentare all’esterno quali sono gli standard che l’amministrazione richiede ai propri dipendenti e collaboratori.

Da una breve ricerca si è notato che le amministrazioni hanno proceduto alla realizzazione del codice di comportamento, e in tutti vi è il richiamo al comportamento da tenere nei rapporti contrattuali.

Il Codice di comportamento e di tutela della dignità e dell’etica dei dirigenti e dei dipendenti della PCM prevede che nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell’Amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, né per facilitare o aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto. La cosa interessante è che questo comma non si applica ai casi in cui l’Amministrazione abbia deciso di ricorrere all’attività di intermediazione professionale. Inoltre, è fatto divieto al dipendente di concordare incontri, se non nei casi previsti dalle procedure di gara, con i concorrenti, anche potenziali, alle procedure medesime o dare loro appuntamenti informali. Eventuali richieste di chiarimento per procedure di gara, che non attengano ad aspetti meramente formali delle procedure stesse, devono essere formalizzate per iscritto dai soggetti interessati ed i contenuti delle relative risposte, se di interesse generale, vengono resi noti mediante pubblicazione sul sito istituzionale dell’Amministrazione nella medesima sezione ove sono riportati gli atti di avvio della procedura di gara. Nelle risposte a quesiti occorre rispettare la parità di trattamento e garantire uguale accesso alle informazioni da parte di tutti i soggetti potenzialmente interessati a partecipare alla procedura di gara.

Anche il Codice di comportamento dei dipendenti del Ministero dell’interno, all’art. 18, comma 3, prevede che il dipendente, nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell’Amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, non ricorre alla mediazione di terzi né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, né per facilitare o per aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto.

Sulla stessa scia il Codice di comportamento del personale dell’agenzia delle entrate,all’art. 16, afferma che nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell’Agenzia, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, né per facilitare o aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto. La disposizione non si applica ai casi in cui l’amministrazione abbia deciso di ricorrere all’attività di intermediazione professionale.

Ed anche il Ministero dell’istruzione, nel Codice di comportamento dei dipendenti del Ministero, all’art. Articolo 21 “Contratti, appalti ed altri atti negoziali”, comma 2 riporta “2. Nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell’Amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, per facilitare o aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto.” Tra i destinatari di cui all’art. 2, comma 3, non sono previsti i dirigenti scolastici.

Venendo alla regolazione etica e disciplinare relativa ai dirigenti scolastici, all’art. 26 del CCNL 2016 – 2018, titolato “Obblighi del dirigente”, è previsto che il dirigente osserva il codice di comportamento di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001, nonché lo specifico codice di comportamento adottato dall’amministrazione nella quale presta servizio.

Eppure, la necessità del codice di comportamento è data principalmente dal fatto che “La prevenzione delle corruzione si basa su un modello di regolazione che prevede attività di pianificazione e controllo, con un modello di programmazione “a cascata” che interessa tutti i livelli di governo e poggia su quattro strumenti – trasparenza, formazione, codici di comportamento e analisi del rischio ..[1])

Per la categoria dei dirigenti scolastici, ad oggi, pertanto, l’unico riferimento è al d.p.r. 62/2013 che prevede la regolazione del comportamento nell’attività negoziale all’art. 14 il quale recita “Contratti ed altri atti negoziali

  1. Nella conclusione di accordi e negozi e nella stipulazione di contratti per conto dell’amministrazione, nonché nella fase di esecuzione degli stessi, il dipendente non ricorre a mediazione di terzi, né corrisponde o promette ad alcuno utilità a titolo di intermediazione, né per facilitare o aver facilitato la conclusione o l’esecuzione del contratto. Il presente comma non si applica ai casi in cui l’amministrazione abbia deciso di ricorrere all’attività di intermediazione professionale”.

Pertanto, nonostante l’Amministrazione non ritenga di emanare un codice di comportamento ad hoc per i dirigenti scolastici, questi soggiacciono, in ogni caso, al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici che, bisogna ricordarlo, è fonte di responsabilità disciplinare accertata all’esito del procedimento disciplinare, per violazione dei doveri d’ufficio. Ai fini della determinazione del tipo e dell’entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione è valutata in ogni singolo caso con riguardo alla gravità del comportamento e all’entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza.

Per quanto riguarda il direttore sga, occorre richiamare la sua autonomia operativa che si realizza sulla base delle direttive di massima dirigenziali. Anche per i direttori il richiamo è al codice di comportamento dei dipendenti pubblici, considerata la loro particolare situazione di supporto gestionale al dirigente. In questo caso sorge a loro carico un altro obbligo, quello di riferire immediatamente al dirigente eventuali approcci da parte di terzi tesi ad influenzare la successiva procedura di scelta del contraente.

Si comprende facilmente come in ambito scolastico l’avvicendarsi di soggetti privati che millantano interpretazioni normative (a proprio vantaggio ovviamente) ed eventuali vantaggi per la stessa amministrazione possa far ricadere sul dirigente e sul direttore sga la responsabilità de quo a seguito di comportamenti, spesso in buona fede, interlocutori e quantomeno favorevoli all’ascolto.


[1] RAPPORTO ANAC SUL PRIMO ANNO DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE 6 NOVEMBRE 2012, N. 190, RECANTE DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E d e l l ’i l l e g a l i t A n e l l a p u b b l i c a AMMINISTRAZIONE

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