A. De Angelis, Il candeliere a sette fiamme
De Angelis, un altro “giallo all’italiana”
di Antonio Stanca
Nella collana “I Classici del Giallo Mondadori” è comparso di recente Il candeliere a sette fiamme, romanzo di Augusto De Angelis pubblicato in precedenza da Mondadori Libri. Considerato il padre nobile del “giallo all’italiana”, De Angelis è nato a Roma nel 1888 ed è morto a Como nel 1944 in seguito alle violenze subite, lui antifascista, da un “repubblichino”. Aveva cinquantasei anni, scrittore di romanzi gialli e giornalista era stato ma anche autore teatrale. La città di Milano, quella degli anni Trenta, del fascismo che lo aveva perseguitato, sarebbe stato l’ambiente di molte narrazioni, il commissario De Vincenzi il personaggio di maggiore rilievo. Si sarebbe distinto per i modi diversi da quelli dei precedenti commissari di polizia. Più vicino ai problemi della gente, compresi quelli delle persone colpevoli, si sarebbe mostrato, più partecipe delle vicende accadute, delle conseguenze derivate. Silenzioso, inosservato sarebbe stato, insieme a tanti, a tutti si sarebbe fatto vedere. Questa la nota nuova del giallo De Angelis, il suo segno distintivo. Molti ne avrebbe scritti ma la sua improvvisa scomparsa avrebbe interrotto l’attenzione per lo scrittore e si sarebbero dovuti attendere gli anni ’60 perché Oreste del Buono avviasse, presso Feltrinelli, la pubblicazione delle sue opere e la televisione le facesse conoscere tramite sceneggiati. Poi c’è stata la Mondadori interessata a pubblicare i romanzi del De Angelis. Il candeliere a sette fiamme giunge ora a conferma di quanto la casa editrice milanese ci tenga a far conoscere lo scrittore. Anche in questo romanzo emergono le caratteristiche del giallo De Angelis o “giallo all’italiana”. De Vincenzi si muove quasi sempre deciso, rapido, si trova tra tante situazioni, tante persone. Il caso in questione si va sempre più allargando fino a raggiungere dimensioni illimitate. Ovunque, in ogni posto, arriva il commissario mantenendo sempre la sua calma, il suo buonumore, la sua disposizione a comprendere, spiegare, giustificare, a non farsi notare, ad agire quasi di nascosto.
Sottratto all’altare di un tempio ebraico di Giaffa, Palestina, il candeliere, simbolo dell’unità e della totalità del popolo ebreo, vi doveva essere riportato e consegnato agli arabi che lo avrebbero usato per ricattare i loro nemici ebrei. Insieme al candeliere c’erano sette fogli contenenti importanti formule o segreti militari. Erano stati rubati all’inventore italiano e dovevano raggiungere Berlino poiché la Germania era la nazione alla quale interessavano. A compiere un’operazione così vasta, così pericolosa e così segreta erano stati incaricati agenti del controspionaggio egiziano. Questi, con il candeliere e i fogli, erano adesso in Italia, a Milano, e stavano provvedendo alle due spedizioni, una per la Palestina, l’altra per la Germania, quando l’egiziano direttamente incaricato era stato trovato ucciso e derubato del candeliere e dei fogli. Accorso subito De Vincenzi, che a Milano opera, era iniziata quella che sarebbe stata un’indagine lunghissima, complicatissima dal momento che dall’Italia si sarebbe spostata all’estero, da un colpevole ne sarebbero venuti fuori tanti altri, da moventi personali sarebbero emerse ragioni politiche, sociali, storiche, rivalità tra stati. Ampio, sconfinato sarebbe diventato il romanzo del De Angelis. Procedendo piano, con lentezza avrebbe assunto dimensioni sempre più estese. Le avrebbe fatte scoprire al commissario e al lettore che tanto preso sarebbe stato dalle sue azioni da sentirsi coinvolto fin dall’inizio. Facile, semplice è la scrittura dell’opera, è capace di trasformarsi in una serie infinita di scoperte, di rivelazioni, d’incuriosire chi legge, di tenerlo in uno stato di continua attesa. È una maniera antica di narrare che è stata ora adattata ad un contenuto moderno, è la maniera di uno scrittore che non ha rinunciato a quanto gli è giunto da bambino e lo ha combinato con quanto ha saputo da grande. Si arriverà così, con una lettura tra le più gradite, alla fine del romanzo quando tutto il gran movimento che lo aveva percorso si è acquietato, tutti i problemi si sono chiariti, alcuni senza l’intervento del De Vincenzi giacché altre forze, altri interessi si confrontavano, si scontravano e marginale era diventata la sua posizione. Sotto il suo sguardo, però, sfileranno, alla fine, i vincitori dell’acceso confronto tra bande, tra popoli rivali che ha segnato il libro e meravigliato lui si dichiarerà dei pericoli che possono covarsi oggi sotto una superficie completamente diversa, di quante vie, vicine e lontane, chiare e oscure, possono percorrere. Il mondo moderno, quanto di segreto, d’inquietante vi soggiace, si era rivelato superiore a chi indagava, a volte lo aveva messo da parte non senza, però, averlo arricchito di conoscenze, di esperienze, non senza aver fatto un De Vincenzi nuovo, più maturo, più comprensivo.
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