La democrazia inconsistente

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Da molto tempo ho l’impressione che le democrazie occidentali abbiano in sé tanti difetti, contraddizioni e degrado morale e materiale da far riflettere sul fatto che questa sia l’unica forma di governo possibile, come sembra scontato nel pensiero comune di oggi. Dietro l’esempio funesto degli USA, anche in Europa ormai il denaro è diventato l’unica divinità che venga veramente adorata, la violenza dilaga in ogni sua forma, i sistemi educativi non riescono più ad arginare l’ondata di volgarità e di ignoranza che investe ormai ogni aspetto della vita pubblica e privata. I valori civili e morali di un tempo (la patria, la famiglia) sono un lontano ricordo, il vizio e la perversione si diffondono in modo incontenibile, la ricchezza materiale è l’unico obiettivo di tante persone, che per essa sono disposte a fare violenza agli altri o a perdere totalmente la propria dignità (v. le tante ragazze che si prostituiscono sui social per potersi comprare le scarpe griffate o il cellulare all’ultima moda).

Il problema centrale è che molte persone identificano la democrazia, che di per sé sarebbe un sistema di regole al quale adeguarsi, con la più sfrenata libertà di dire e di fare ciò che vogliono, favoriti in ciò da un sistema debole e miope che lascia passare senza intervenire anche azioni delittuose o reati camuffati sotto l’egida della libertà di espressione. Faccio un esempio: di recente due autorevoli esponenti della sinistra, Maurizio Landini e Nicola Fratoianni, hanno usato espressioni eversive che nessun sistema politico dovrebbe tollerare: il primo ha evocato la “rivolta sociale”, esaltando quindi la violenza di chi pensa che con le armi e le bombe si possano ottenere diritti e pace sociale; il secondo, accodandosi alla kompagna Salis pluripregiudicata, ha affermato tra l’altro che occupare le case altrui non è reato. Ora, in un sistema politico che si rispetti, questi signori avrebbero dovuto rispondere penalmente delle loro affermazioni, anche perché occupano posti socialmente importanti e sono seguiti da molte persone che, nel loro delirio sanguinario, potrebbero anche passare dalle parole ai fatti. Confondere la libertà di espressione con quella di insulto e di istigazione a delinquere non dovrebbe essere permesso.

Ma non basta: dobbiamo assistere a cortei dove dei delinquenti si permettono di aggredire le forze dell’ordine senza che queste possano reagire; vediamo il degrado e la delinquenza (al 90% provocata da immigrati irregolari) che affligge le nostre città, e nessuno fa nulla per contrastarla; ogni giorno si verificano episodi di violenza, aggressioni, rapine, omicidi e tutto ormai è diventato quasi normale, non fa più neanche notizia, se non nei casi più efferati. Gli esponenti della sinistra altro non sanno fare che insultare e attaccare un governo legittimamente eletto, mentre sono loro con il loro buonismo ed il loro garantismo che, dal “mitico ’68” in poi, sono i maggiori responsabili di questo degrado.

Purtroppo però anche il governo di centro-destra si è rivelato un’enorme delusione per chi, come il sottoscritto, lo ha sostenuto e votato con convinzione. Sul piano della politica estera abbiamo dovuto assistere ad una vergognosa sottomissione del nostro Paese agli americani e alla falsa Europa di Bruxelles, che ci ha in pratica tolto la nostra indipendenza e persino la nostra identità: oggi non si fa nulla se i magnati americani ed europei non ce lo permettono, anche la nostra produzione agricola è rigorosamente controllata, si gettano al macero i favolosi limoni di Sorrento per prendere quelli marocchini perché così ci ordina Bruxelles. Siamo talmente soggetti agli stranieri da dover persino spendere tanto denaro per mandare armi al burattino di Kiev manovrato dagli americani, facendoci coinvolgere in una guerra di cui non conosciamo le vere ragioni e che non ci riguarda affatto.

Anche dal punto di vista della politica interna siamo di fronte ad un fallimento totale, a parte i risultati economici che il governo Meloni ha ottenuto. Questo è forse l’unico elemento positivo, perché su altri fronti la situazione è disastrosa: continuano ad arrivare immigrati clandestini che sporcano, aggrediscono, stuprano, commettono reati di ogni genere e la fanno franca quasi sempre; le cosiddette “baby gang” rendono insicura la vita delle città, tanto che molti cittadini italiani non possono più neppure uscire di casa, specie alla sera; delinquenti che usano la violenza nei cortei e nelle manifestazioni, spadroneggiano e mettono a ferro e fuoco le città senza che nessuno si decida ad affrontarli con i giusti mezzi. Le promesse sulla sicurezza fatte prima delle elezioni sono cadute nel vuoto, pare anzi che la situazione sia peggiorata rispetto agli anni precedenti. E’ vero che i partiti di opposizione mettono ostacoli di ogni genere al governo, criticando tutto con livore e malevolenza senza saper fare alcuna proposta concreta e realizzabile; è vero anche che una certa magistratura sta combattendo contro l’esecutivo anziché collaborare con esso in un’armonica suddivisione dei poteri. Ma tutto ciò non giustifica la debolezza di un governo voluto dalla maggioranza degli italiani. Forse hanno paura di ricevere i soliti insulti di deriva autoritaria, di fascismo ecc., tutte idiozie che esistono solo nella mente degli (ex) comunisti che hanno bisogno di un nemico per far sopravvivere la loro spaventosa ideologia? Li lascino perdere, gridino pure quel che vogliono: un governo deve agire per il bene dei cittadini, non per paura di Fratoianni, di Landini di Schlein ed altri compagni di merende.

Cosa mi sarei aspettato, io e tanti altri, da questo governo? Che senza tradire la Costituzione mettesse in atto i suoi poteri, prima di tutto arrestando e tenendo in galera per molto tempo senza sconti e comodità tutti i criminali, anche minorenni, per far loro comprendere che democrazia non significa libertà di delinquere. Le carceri sono sovraffollate? Si costruiscano altre carceri e centri di detenzione, non si mandino in libertà i criminali. Mi sarei aspettato che gli immigrati irregolari fossero respinti, come fanno alcuni civilissimi paesi europei come la Spagna, che non è certo governata dalla destra. Mi sarei aspettato che nei cortei, quando qualcuno comincia a far violenza, le forze dell’ordine fossero autorizzate a reagire, anche usando le armi se necessario. Non c’è modo di far ragionare i violenti se non ricambiandoli con la stessa moneta, e soltanto il pugno duro può ottenere quei risultati che le preghiere, i dibattiti televisivi e le fiaccolate non ottengono. Ci sarà lo stato di polizia? Meglio quello che il caos e l’insicurezza in cui tutti noi siamo costretti a vivere.

I pedagogisti e i sociologi di sinistra di origine sessantottina continuano a dire che le maniere forti non servono, che occorre l’educazione. Ma l’educazione richiede molti anni, e poi non è sempre efficace in soggetti che conoscono solo il linguaggio della violenza. Per fermare chi sta per spararti c’è un solo modo: sparargli prima che lo faccia lui.

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Ragazzi, soli, mai!

Ragazzi,  soli,  mai!

di Antonietta Cataldi

Madre: Smettila di commiserarti!  Ti comporti come se tutto ciò che ti è capitato fossero disgrazie e tu non avessi alcuna responsabilità.

Figlio: No, Mamma!  Il fatto è che, da ogni parte, viene scaricata su di me ogni colpa, come se fossi stato io a compiere tutte le scelte, sin da quando ero piccolo.

M.:  Cosa intendi dire?  Chi ti ha costretto a fare quel che non volevi?

F.:  Nessuno, ma io ero davvero in grado di capire quello che volevo?  A undici anni, appena uscito dalle elementari, quando ho formulato l’idea di entrare in seminario, ero in grado di capire cosa significasse questa scelta?

M.:  Ti dirò la verità, tuo padre e io non ci siamo posti il problema, forse perché, a quel tempo, avere un prete in famiglia era un titolo di merito, forse perché alcuni genitori sceglievano questa strada per i figli che non erano in grado di mantenere agli studi.  In ogni caso, non era una scelta definitiva, era un percorso che si poteva interrompere.

F.:  Voi avete guardato al futuro lontano senza considerare quello prossimo.  Vi siete chiesti quale sarebbe stata la mia vita in una realtà monca, soltanto maschile, con scarsi contatti con l’esterno?  A quell’età, non ero in grado di pormi questo problema.  Il mio mondo era popolato da ragazzetti come me, che amavano giocare a calcetto.  Ma la preadolescenza era vicina, con la sessualità che avrebbe presto imposto un cambiamento di prospettiva e, in quel momento, io mi sarei trovato chiuso in un mondo senza la presenza femminile.  Mi sarebbero state negate tutte le curiosità, le emozioni, anche le difficoltà, le frustrazioni nel rapporto con l’altro sesso.  La mia vita sarebbe stata priva di quella molteplicità di stati d’animo che l’attrazione, l’infatuazione, l’innamoramento comportano.  Pensi che una simile amputazione possa avvenire senza conseguenze?

M.:  Figlio mio, pensavo che si potessero generare forme di trasgressione come la lettura di giornalini scandalistici che quasi costò a tuo zio l’espulsione dal collegio.

F.:  No, Mamma, le conseguenze di quella deprivazione erano molto, molto più gravi.  Non selezionare i ricordi.  Pensa a ciò che ti raccontò tuo marito, che pure era già al ginnasio all’epoca dei fatti: tra i ragazzi c’era l’abitudine di accarezzare quelli con i glutei più rotondi!

M.:  E’ vero, ma poi tuo padre ha avuto una vita sessuale normale e io ne sono testimone.

F.:  Forse perché, dopo due anni, minacciò di scappare dal collegio se non lo avessero fatto uscire e, comunque, portò a lungo i segni di quelle esperienze.

M.:  In concreto, secondo te, cosa avremmo dovuto fare?

F.:  Quello che tu stessa mi hai detto che fece tuo padre con te.  Mi hai raccontato due episodi. Il primo è di quando eri ancora alle elementari e la suora che ti dava lezioni di pianoforte gli comunicò che intendevi farti suora.  Lei ti regalò un libro su Santa Chiara e lui non proferì parola, né in quel momento né in seguito.

M.:  Era un uomo saggio, capiva bene che la mia giovane età impediva che si potesse dare un valore permanente a quella mia supposta aspirazione.  In effetti, ero semplicemente attratta dalla veste monacale e dal mistero che sentivo aleggiare nella vita del convento.

F.:  E quando, a quindici anni, gli comunicasti che volevi fare l’attrice?  

M.:  Ancora una volta, mio padre fu abilissimo: mi disse che non sarebbe stato un problema ma che prima dovevo finire la scuola.

F.:  Lo vedi?  Non ti presentò difficoltà ma prese tempo per dare a te stessa il modo di maturare una decisione, tant’è che, dopo la maturità, eri proiettata verso altri obiettivi.  Perché non faceste così con me, consigliandomi di proseguire la scuola pubblica per entrare poi in un seminario maggiore?  A diciotto anni sarei stato molto più consapevole, avrei saputo agire e reagire adeguatamente nelle varie situazioni.  Avrei saputo respingere gesti mai immaginati e rifiutare approcci non desiderati, perché avrei capito e riconosciuto la differenza rispetto alle tenerezze e alle effusioni che avrebbero popolato i miei sogni e regalato magia alla mia realtà.  Avrei capito che i compagni di seminario non erano comparabili con le amiche di scuola.  Invece l’impossibilità del confronto ha finito col rendere accettabili comportamenti di coetanei e superiori che mai lo sarebbero stati in condizioni normali.  Io non sono gay, Mamma!

M.:  Sono stata miope e superficiale, figlio mio: mi dispiace non avere colto in tempo le implicazioni della tua situazione e tratto le conseguenze.  Non mi ero resa conto del motivo per cui addossavi a me e a tuo padre parte della responsabilità per la tua condizione e non avevo decifrato il dolore e il disagio che ti porti dentro.  Solo ora immagino la riluttanza a cedere a desideri che non erano i tuoi, ad abituarti a sollecitazioni non richieste e che, anche per chi le forniva, erano soltanto un ripiego, un surrogato, come il caffè di cicoria che si beveva durante la guerra, come l’omosessualità in carcere.  Se soltanto ci avessi pensato per tempo!  Sento parlare di una potente lobby gay in Vaticano e mi rattrista pensare che tu, per un’unica ragione, il fatto di essere in procinto di diventare prete, possa essere inquadrato tra i colpevoli mentre sei una vittima.  Perché intendiamoci: se si è omosessuali, il problema è costituito dalla mancata astinenza, ma se non lo si è, a questo si aggiunge anche l’aver agito controvoglia o l’avere addirittura semplicemente subito.

F.:  Sono vittima ma anche colpevole per non avere avuto il coraggio di ribellarmi, fin dall’inizio.

M.:  Ma se tu stesso hai detto che non conoscevi altra realtà!  A quell’età, poi, quando non si è ancora definita la propria identità, non si capisce nemmeno bene cosa si vuole e cosa non si vuole e, in ogni caso, non si può rifiutare ciò che non si riconosce, a parte il fatto che ti devi essere trovato in una condizione di impotenza se non addirittura di sudditanza.  Da quando ho percepito il tuo problema, mi sono impegnata a studiare …

F.:  Ecco, lo sapevo, tu trasformi sempre tutto in una occasione di studio, quasi che così si risolvano le questioni.

M.:  E’ vero, figlio mio, che non si risolvono ma conoscere il passato ci offre spunti per decifrare il presente e per individuare spiragli che indichino possibili vie d’uscita, perché – credimi – la storia dell’umanità ha delle costanti che ci possono sorprendere.  Pensi forse che il ricevere attenzioni sessuali indesiderate o, peggio, subire atti omosessuali sia una particolarità del nostro tempo?  La costante è che gli esseri umani riescono ad abituarsi quasi a tutto, specie quando le regole sono dettate, se non da dominatori, dalle convenzioni o dalle tradizioni.  Credi davvero che tutti i giovani gradissero il ruolo passivo che, nelle società tribali, toccava loro nella relazione, anche sessuale, con cui si concretizzava parte del rito di iniziazione che segnava il passaggio all’età adulta, quando era ammesso solo il ruolo attivo, quello che caratterizza il rapporto con la donna?

F.:  Certo che no e sicuramente non lo gradivano tutti i ragazzi tra i dodici e i quattordici-quindici anni che, ad Atene, si ritrovavano soggetti passivi, pur “all’interno di un legame affettivo duraturo”.  Ne sono testimonianza “le affermazioni di autori come Platone, Senofonte e lo pseudo Luciano, quando parlano del disgusto dei giovani amati, dell’umiliazione e del rancore che essi provavano verso gli amanti dopo il rapporto”[1].

M.:  Vedo che hai letto il saggio di Cantarella. 

F.:  Illuminante.  Così ho capito il perché di quei rapporti che alcuni semplicemente accettavano mentre altri, come Aristotele, rimpiangevano: “il ricordo del piacere provato provoca il desiderio di rinnovare il congiungimento che vi si accompagnava”. Non c’era possibilità di scelta, secondo le proprie inclinazioni; erano una “necessità sociale”[2] legata al fatto che, al centro dell’organizzazione della comunità non c’era il rapporto uomo-donna ma il rapporto tra uomini. Cantarella spiega: “il rapporto eterosessuale dava la vita fisica; la funzione di dare vita nel gruppo al maschio adulto, la funzione di creare l’uomo come individuo sociale spettava invece al rapporto omosessuale, che come sappiamo si stabiliva a questo scopo, quasi istituzionalmente, tra un adulto e un ragazzo. Ma questo rapporto doveva durare solo per un periodo di tempo ben delimitato.  Una volta raggiunta la maturità, infatti, il ragazzo doveva abbandonare il ruolo passivo (sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista sessuale) e assumere un ruolo duplicemente attivo: quello eterosessuale del marito, e quello omosessuale dell’amante, educatore di un ragazzo amato»”[3].

M.:  Vedi, figlio mio, che c’è una ragione per tutto?  E’ perché c’era un tempo per tutto, anche per “assumere il ruolo virile con una donna, nel matrimonio”.  A questo proposito, c’è una indicazione molto significativa nell’Iliade, quando Teti si rivolge al figlio, disperato per la morte di Patroclo: “Accanto ad Achille sedette l’augusta sua madre, / lo carezzò con la mano e chiamandolo a nome gli disse: / «Figlio mio, fino a quando gemendo e soffrendo dolori / ti roderai il cuore, del tutto oblioso del cibo, / del letto?  Eppure è bello congiungersi con una donna / in amore»”[4].  E’ l’immagine di una madre affettuosa che esorta il figlio a superare quello stadio, ad andare oltre il “cameratismo di guerrieri” e “a compiere finalmente il suo dovere sociale”[5].

F.:  A me il discorso di Teti sembra quello tipico del genitore che si cura meno dei problemi psicologici che dei problemi sociali.

M.:  Sento un tono di rimprovero nella tua voce.

F.:  Te ne meravigli?  E’ vero che Teti sta agendo su ordine di Giove, adirato per lo scempio che, da nove giorni, Achille sta facendo del corpo di Ettore, colpevole di avere ucciso Patroclo.  E’ vero altresì che è difficile il compito di convincere il figlio, caratterizzato dall’«ira funesta», a consegnare la salma a Priamo per la sepoltura.  E’ pur vero, tuttavia, che, nel suo discorso, Teti non sembra tenere in alcun conto l’intensità del rapporto che legava i due amici.  Noi sappiamo, infatti, che Achille, sperando di essere il solo tra i due a morire a Troia, confidava di poter assegnare a Patroclo il ruolo di tutore del proprio figlio.  E sappiamo anche quanto premuroso Patroclo fosse stato con Briseide quando era stata condotta schiava di guerra.  A lui, cadavere, la donna rivolge il proprio lamento, quasi possa sentirla: “tu no, non volevi / ch’io piangessi, ma sempre dicevi che resa m’avresti / d’Achille divino la sposa legittima e, a Ftia sulle navi / condotta, il banchetto nuziale tra i Mirmidoni avresti imbandito. / Perciò senza fine io ti piango morto, dolcissimo sempre!”[6].  A me sembra altissima la statura umana di questo eroe ucciso: non mi meraviglia che abbia suscitato tanto amore e non mi importa se il legame con Achille avesse o no una componente sessuale.  Era amore e tanto mi basta. Per me il problema sorge quando l’amore non c’è o non è reciproco. 

M.:  Capisco quello che intendi dire: i genitori, nel valutare la condizione dei propri figli, usano parametri che prescindono dal loro benessere presente e futuro.  Ad esempio, non tengono in conto se abbiano o no conosciuto una realtà prima di allontanarsene.  Forse hai ragione.  Il problema è che spesso è così difficile conoscervi!  Tu, per esempio, sei sicuro di esserti sforzato di farmi comprendere il tuo disagio, quando ha cominciato a prendere corpo?

F.:  Ecco, lo sapevo che, ancora una volta, la colpa era mia!  Proprio tu mi parli così, tu che hai sempre sostenuto che ti bastasse uno sguardo per capire se qualcosa non andava! Ma non mi vedevi, in quei brevi periodi che trascorrevo a casa?  Non ti rendevi conto di quanto poco sereno fossi? Sembra quasi che tu non mi abbia guardato come persona ma come un esserino da gestire nel modo migliore possibile, quello che potesse darti la massima tranquillità.  E dove maggiore tranquillità che in un seminario?

M.:  Dimentichi che sei stato tu a chiederlo?

F.:  No, ma tu e Papà siete stati pronti ad assecondarmi, come se la mia fosse la migliore delle scelte possibili, come una buona sorte.  Non mi avete posto nessun problema, non mi avete presentato nessuna difficoltà.  Non vi siete chiesti e non mi avete chiesto se ci fosse un qualcosa che mi sarebbe potuto mancare.

M.:  Tu avresti saputo rispondere?

F.:  Non credo, ma sarei stato costretto a riflettere.  Invece così mi sono trovato in un ambiente sconosciuto, al quale mi sono semplicemente dovuto adattare accettando relazioni che non avevo mai nemmeno immaginato.  Mentre rispondeva pienamente alle mie aspettative la realtà educativa, sono stati per me sorprendenti alcuni rapporti affettivi che ho via via individuato e che erano talvolta connotati da una fisicità che mi appariva morbosa e comunque sgradita.  Era come se invano fossero trascorsi millenni da quando, nella Grecia precittadina, “i ragazzi apprendevano le virtù che avrebbero fatto di loro degli adulti durante il periodo di segregazione, vivendo in compagnia di un uomo, al tempo stesso educatore e amante”, mentre a Sparta “i ragazzi, a dodici anni, erano affidati a degli amanti, scelti tra i migliori uomini in età adulta, e da questi imparavano a essere dei veri spartiati”[7].

M.:  Ma quanti di questi casi hai trovato in tutti questi anni?

F.:  Mamma, cosa dici?  Fai una questione di numeri? 

M.:  No, figlio mio, volevo solo dire che in ogni contesto ci sono le eccezioni, le famose “mele marce”, ma questo non consente di generalizzare; come dice il proverbio, di “buttare il bambino con l’acqua sporca”.  Nella vita mi è capitato di avere a che fare con un sacerdote che stimavo, al quale mi rivolgevo per le messe ai defunti, e che poi ha dato scandalo, sorpreso a compiere atti sessuali con un ragazzino.  Una storia squallida, che però non mi ha indotto a colpevolizzare tutto il clero.  Mi rendo conto di quanto sia difficile la rinunzia alla sessualità e come questa, in un contesto in cui non sia possibile la sua libera espressione, possa trovare vie improprie.  Mi viene in mente ciò che disse Gesù a conclusione di una discussione sul matrimonio e sul fatto che non convenisse sposarsi se non si poteva ripudiare la propria moglie: “vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli”[8].  Ora, un conto è “la teorizzazione della continenza come valore morale”, un altro è la pratica “dell’astinenza come stato di vita più alto e più vicino al Signore, come strumento per la conquista del premio nella vita eterna”[9].   Non è facile accettare l’idea della “superiorità del celibato volontario”[10], rifiutare la sessualità e rendersi eunuchi, specie per alcuni.  Ora ti dico una cosa che spero non ti scandalizzi.  E’ un pensiero rimasto confuso finché non ho letto questo passo di Mancuso: “Riferendosi all’espressione «il discepolo che egli amava», presente sei volte nel Vangelo di Giovanni, alcuni hanno ipotizzato una tendenza omosessuale di Gesù.  La realtà è che questa figura un po’ enigmatica del discepolo preferito è completamente assente nei Sinottici, ricorre solo nel Quarto vangelo e solo nella seconda parte, forse come proiezione del suo autore, e non ha nulla a che fare con la vita di Gesù quale emerge da tutte le altre fonti, ben più affidabili dal punto di vista storico.  Se quindi si vuole ritrovare nel «discepolo che egli amava» un segnale di tendenza omosessuale, essa riguarda non Gesù ma l’autore del Quarto vangelo”[11].  Non avevo mai pensato che Gesù fosse omosessuale semplicemente perché, in quanto Dio venuto in terra come “Figlio dell’Uomo”, cioè figlio dell’Essere Umano, nella mia mente non poteva avere altro ruolo che quello di fratello dell’umanità intera.  Avevo sempre pensato che l’espressione di Giovanni potesse essere una vanteria, come quella dei bambini quando sostengono “la mamma vuole più bene a me”.  In alternativa, l’espressione mi sembrava interpretabile come “il discepolo che lo amava”, lo amava più di tutti e pertanto era da lui ricambiato con la massima intensità.  L’ipotesi riportata da Mancuso mi ha fatto molto riflettere: se davvero Giovanni fosse stato gay, sarebbe stato bellissimo, perché vorrebbe dire che Gesù davvero lo amava particolarmente perché era il più fragile, quello che faceva più fatica a stargli accanto, a “rendersi eunuco per il regno dei cieli”.

F.:  Mamma, davvero non c’è limite alle tue elucubrazioni!  Però devo ammettere che la tua ipotesi mi intriga.  Amare qualcuno e stargli accanto sapendo bene di dover respingere qualunque impulso, di doversi negare qualunque aspettativa, è terribile: vuol dire amare fino al sacrificio.  Ora rivedo la mia esperienza con altri occhi ma non cambia la mia convinzione che il seminario minore sia un errore.

M.:  Ma, figlio mio, io ho sempre pensato che il seminario fosse, dopo la famiglia e forse più ancora che la famiglia, il luogo più protetto al mondo!

F.:  E non hai pensato che una realtà mutilata come quella potesse generare storture e potesse impedire a ciascuno di trovare la propria identità, anche sessuale? Tu non hai idea di come sia triste assistere alle manovre di preadolescenti che cercano di trovare uno sbocco alle loro pulsioni!

M.:  Vuoi forse dire che le cose andavano meglio nella Grecia dell’età classica, quando era previsto che il figlio, per il passaggio all’età adulta, venisse affidato a un adulto di valore, che avesse le qualità per fare di lui un degno esponente della propria comunità e che con lui avesse un rapporto esclusivo, anche di tipo sessuale? Andavano meglio quando i genitori, che non ponevano in discussione le convenzioni, si limitavano a proteggere i propri figli dai corteggiatori inadeguati facendoli, come  ad Atene,  “controllare dai pedagoghi”[12]?

F.:  Non dico che era meglio; dico che, già allora, c’erano leggi a protezione dei ragazzi, tese a evitare ai giovanissimi “le possibilità di frequentazioni e di incontri pericolosi” col rischio di diventare prede di avventurieri.  Per questo “era considerato infame intrattenere qualunque rapporto” con i minori di dodici anni ed era corposo l’elenco degli amanti di “cattiva qualità” cui era proibito frequentare il locale ginnasio: tra questi gli schiavi, i liberti, i prostituti, i commercianti, gli ubriachi e i pazzi[13].  Alcune cose, a mio giudizio, col tempo sono cambiate ma non tutte con effetti positivi.  Per esempio, “l’uomo romano era condannato alla virilità”[14].  Per questo, “a differenza dei greci, i romani non ritenevano che, per i ragazzi, essere soggetti passivi di un rapporto omosessuale fosse educativo. […] Sessualmente […] erano uomini, anche se solo in potenza: e come tali non dovevano mai essere sottomessi”. D’altra parte, mancando la “funzione pedagogica del rapporto, […] fondamentale in Grecia”, veniva meno ciò che dava una motivazione nobile al compito assegnato all’adulto, che pur godeva di una posizione di predominio.  Di conseguenza, nel mondo latino, dove “l’adolescenza era breve” tanto che, “a quattordici anni, un ragazzo era già considerato un adulto […] e poteva prendere moglie”[15], “con il giovinetto amato […] si viveva una vera storia d’amore: destinata peraltro a finire […] nel momento in cui l’amante compiva l’atto che per i romani altro non era, di regola, che un dovere sociale, e che segnava l’inizio di una nuova era della vita: il matrimonio”[16].  Questo scatenava i pappagalli stradali, le cui iniziative potevano diventare veri e propri “attentati all’onore” dei “ragazzi di nascita libera”.  I “giovani ingenui”, che non potevano uscire da soli, erano protetti dal pretore con la punizione di “chi sottraeva loro la scorta” giacché, “senza scorta, essi si presentavano, a chi li incontrava, come persone di facili costumi”[17].

M.:  In conclusione, vuoi dire che c’erano più tutele di oggi?  Di nessun rilievo è dunque il fatto che “quel che era riprovato era solo il fatto di amare un giovane libero e cittadino romano”, mentre restava escluso lo schiavo che “non apparteneva, come soggetto, al mondo della città” e che poteva dunque essere sodomizzato senza problemi giacché “subire il padrone era parte integrante del dovere di servirlo”[18]?

F.:  Questo è un altro discorso, Mamma.  Voglio semplicemente dire che, se certe cose accadono oggi, non si può liquidare la faccenda dando la colpa al fato.  A me sembra che le famiglie non si assumano appieno le proprie responsabilità, scaricandole sulla scuola o, più genericamente, sulla società.  Penso a quanto si è impoverito il novero delle doti richieste a un compagno di scuola per essere considerato degno di essere frequentato: basta che sia “di buona famiglia” e prenda bei voti.    Poco importa se manca di sensibilità ed è anche magari un po’ bullo; se ti capisce; se ha piacere di stare con te o lo fa solo per convenienza; soprattutto, se tu hai piacere di stare con lui.

M.:  Figlio mio, non hai idea di quanto sia difficile essere genitore.  Mio padre diceva sempre: “io faccio quello che posso; il resto, come Dio vuole”.  Io non so se ho fatto tutto quello che potevo.  Probabilmente no.  Certo mi sono posta il problema dell’identità sessuale ma non ho mai immaginato che potesse essere messa a repentaglio in un seminario.  Ho letto tanto, cominciando naturalmente con Platone e quella bellissima immagine che spesso viene citata solo per metà: “Tanto tempo fa la nostra forma non era come adesso, ma diversa. Per cominciare, i generi umani erano tre, non come oggi, due: maschio e femmina.  Allora se ne aggiungeva un terzo, partecipe d’entrambi i sessi. […] L’uomodonna esisteva come sesso a parte, allora”.  Mi è sembrata rivoluzionaria questa “lezione preliminare sulla fibra umana” perché supera la concezione binaria per cui, sin dalle origini, o si è maschi o si è femmine. Questi esseri sferici “erano mostri d’aggressività e di resistenza.  Pieni d’orgoglio assalirono le divinità. […] Zeus ebbe un lampo di genio. Disse: «[…] li spacco tutti in due, ad uno ad uno, così le loro forze caleranno».  […] Ora, dopo il dimezzamento della figura umana, ogni parte rimpiangeva quel suo doppio”. Qui finisce la parte più citata della storia.  La più interessante è, a mio giudizio, il seguito, in cui Platone fa una casistica di ciò che poteva accadere a ciascuno nella ricerca della metà mancante.

F.:  Lo so, ho studiato il Simposio: “Esistono uomini risultato della spaccatura di quel vivo nodo che, allora, si chiamava uomodonna: sono amatori della donna, questi, e la risma degli adulteri, quasi tutta, alligna qui; ed ecco anche le donne appassionate d’uomo, specialmente adultere, tutte dallo stesso ceppo”.  Questo è l’effetto   del ricongiungimento delle due parti del terzo sesso.  Nessun problema per gli altri due. Infatti, “donna nata da spaccatura di donna, non fa tanto caso all’uomo, quanto si orienta sulle altre donne: da qui le donne che vanno con le donne.  Chi è taglio di maschio, bracca il maschio”.

M.:  E contempla i vari stadi e le varie possibilità di interazione anche sessuale tra due metà con “radici maschili”, concludendo: “Qualcuno dice che sono scandalosi: è una calunnia.  Non compiono quell’atto per istinto osceno: anzi, è tutto cuore, fibra maschia, d’uomo vero, è l’attrazione, in loro, per natura affine. Documento sicuro di questo: solo questi, fattisi maturi, riescono uomini versati in politica”[19].  Io penso che dovrebbero leggere questo passo tutti coloro che nascono “taglio di maschio” e soprattutto coloro che li avversano, li denigrano, li dileggiano, li giudicano anormali. 

F.:  Io lascerei da parte il riferimento alla politica, visto il basso livello di considerazione di cui gode al giorno d’oggi.  Piuttosto confronterei il discorso di Platone con le informazioni che, da medico, già venticinque anni fa, ha offerto la monaca benedettina e teologa Teresa Forcades quando, parlando di gender, ha spiegato che esistono almeno tre dimensioni del sesso biologico: “Sul piano cromosomico (genetico) tutti sappiamo che esistono xx(femmina) e xy (maschio) e molti sono convinti che vi siano soltanto queste due possibilità, ma non è così. […] Oltre a xx e xy, che tutti conosciamo, esiste infatti anche xxy: in medicina si chiama «sindrome di Klinefelter».  Questa composizione genetica riguarda una persona ogni mille.  C’è poi anche un’altra possibilità: x0 («sindrome di Turner»). Questi due sessi genetici che ho nominato cosa sono: femmine o maschi?”[20]. Pensa a quanto è divenuto attuale questo discorso durante le ultime Olimpiadi …..

M.: …con osservazioni e commenti che denotavano estrema ignoranza e volgarità. A me, invece, viene in mente ciò che disse Calvino in una intervista nel 1980: “Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza.  Non potrei vivere senza una donna al mio fianco.  Sono solo un pezzo d’un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante”[21].  Sembra Platone rivisitato ed è stupendo il modo in cui viene proposto il risultato del rapporto che si crea quando c’è vera intimità e appartenenza reciproca.  E’ l’effetto dell’amore vero e a me non interessa se si generi tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso e non m’importa nemmeno che sia eterno: mi basta che esista all’interno di una relazione.  Sono troppo vecchia per accettare rapporti basati solo su un’attrazione momentanea, su una voglia occasionale. Siamo persone; per me non esiste il “fare sesso”, non ha senso un amplesso equivalente al mangiare quando si ha fame, bere quando si ha sete, e trovo fulminante l’affermazione di Simone de Beauvoir riportata da Forcades: “rispetto alle esperienze sessuali riferite dalle giovani ragazze americane quindicenni sosteneva che avessero fatto più che altro «ginnastica pelvica»”[22].  Per me esiste solo il fare l’amore – come cantava Dalla – “ognuno come gli va”.  Mi rendo conto ora di non aver riflettuto sulla condizione di chi l’amore non lo può fare e se ne deve privare senza nemmeno averlo conosciuto.  Ci penso e me ne rammarico profondamente.

F.:  Peccato che avere studiato tanto ti sia servito tanto poco, come madre!

M.:  E’ vero.  Il fatto è che, per tanti anni, convinta che, per gli esseri umani, il sesso, non essendo legato alla procreazione, dunque alla conservazione della specie, sia o debba essere semplicemente un piacere, ho trovato normale poterne fare a meno, come col desiderio di cioccolata, cui si rinuncia in tempo di fioretti. Non solo. Non mi sono posta il problema di tutte le persone per cui si tratta di un impulso irrefrenabile, che non possono essere condannate a una vita da eunuchi. Dopo tutto, Gesù stesso parla del “rendersi tali”, cioè di una decisione di cui non può farsi carico un ragazzino.

F.:  E ora che l’hai capito?

M.:  Ora sono per l’abolizione dei seminari minorili.  Ti dirò di più, sarei per la chiusura dei seminari in generale, così da permettere a tutti di conoscere la vita.  Farei esistere solo Facoltà universitarie di Teologia analoghe alle altre Facoltà, cioè programmate con un corso base triennale e successivi corsi biennali specialistici, a seconda della branca di studio prescelta.  Sarebbero tutte aperte a uomini e donne, sposati e non, che, a seguito di concorsi, potrebbero avere accesso all’insegnamento o ad altre professioni. L’unico corso specialistico riservato agli uomini non sposati sarebbe quello di formazione alla vita ecclesiastica. Così dovrebbe essere fino a quando la Chiesa cattolica non si sentirà pronta per il sacerdozio femminile. In ogni caso, si tratterebbe di una scelta della quale un adulto sarebbe consapevole; soprattutto, una scelta della quale nessuno se non l’interessato potrebbe o dovrebbe sentirsi responsabile.

F.:  Questa, secondo te, sarebbe la soluzione di tutti i problemi?

M.:  Certo che no, ma toglierebbe spazio alla segregazione che ne causa tanti, su cui i più preferiscono tacere.  Per questo ho trovato coraggioso, anche se dirompente, e non mi ha scandalizzata affatto il termine “frociaggine” utilizzato da Bergoglio, che considero un grande Papa.  Lui si riferiva a quelle pratiche che poi diventano costume e non cessano con l’età né col mutamento delle condizioni. E’ un termine indubbiamente forte ma che richiama esclusivamente il fare sesso, non riguarda l’amore, che è un sentimento dolce, capace di illuminare un momento di vicinanza fisica tra due persone, uomini o donne che siano. Bisogna guardare in faccia la realtà, affrontarla e non fare come si è fatto per troppo tempo.

F.:  Beh, mi complimento.  Ne hai fatti di progressi!

M.: So di meritare il tuo sarcasmo; tu però non ti rendi conto del clima in cui sono cresciuta. Non so se ti ho mai detto quello che mi raccontava mio padre: quando lui era ragazzo, in paese tutti sapevano che un certo prete aveva una compagna, peraltro accettata in famiglia, e addirittura potevano vederne uno che si caricava una ragazza sulla canna della bicicletta, la portava in campagna e poi la riportava con grande disinvoltura. Mi spiegò che per tutti era normale distinguere tra ciò che l’individuo faceva in quanto uomo e la sua funzione di sacerdote sull’altare. Sdoppiamento? Sì. Ipocrisia? Forse.  Realismo? Certo.

F.:  Un po’ tardi, non ti pare, per raccontarmi queste cose? Non mi hai dato la possibilità di pensarci su.  Mi sarei posto il problema della castità.

 M.:  Perdonami. In tanti anni ho assistito a innumerevoli conferenze sull’educazione dei figli ma il tema della castità non è stato affrontato mai. Ricordo le posizioni più diverse, da quella che sostanzialmente richiamava la famosa canzone popolare napoletana, secondo la quale «mazz’ e panell’ fann ‘e figli bell’; panell’ senza mazz’ fann e’ figl pazz’», a quella di ispirazione bucolica che richiamava la consuetudine contadina di affiancare a un alberello ancora instabile un piccolo tronco che lo sostenga e lo aiuti a crescere diritto.  La posizione più interessante mi è sembrata quella di uno psicologo che prendeva ad esempio se stesso nel rapporto col proprio cane che, inizialmente, quando erano in giro per strada, scappava costringendolo a lunghi inseguimenti.  Quando aveva cambiato strategia e aveva smesso di rincorrerlo, si era accorto che l’animale fuggiva ma poi si fermava dietro l’angolo.  Il figlio si aspetta che il genitore lo segua, anche quando sembra sfidarlo.

F.:  Appunto, Mamma, il genitore deve accettare sfide, correre rischi, non prendere a scatola chiusa soluzioni rassicuranti.

M.:  Pensa che io mi ero posta un unico problema, quello del matrimonio dei preti, perché nell’anno che ho trascorso negli Stati Uniti ho avuto occasione di conoscere due figlie di pastori protestanti, entrambe compagne di scuola.  Erano agli antipodi: una quasi una suorina; l’altra del tutto fuori norma, sbandata, non di rado ubriaca.  Probabilmente mi sono capitati esempi sbagliati.  Certo è che, da allora, penso che avere un genitore ecclesiastico debba essere opprimente, quasi come lo era per me sentirmi dire che non potevo fare varie cose perché mio padre “portava le stellette”, cioè era un militare.

F.:  Dunque niente prole, niente matrimonio.  Come se ne esce?

M.:  In primo luogo, come ti dicevo, eliminando la possibilità di entrare in seminario se non si è maggiorenni.

F.:  E poi?

M.:  E poi, se ancora di seminari parliamo, dando ampia possibilità di ripensamenti e verifiche.  Non ci devono essere condizionamenti morali.  Pensa che un anno, nel liceo che dirigevo, è venuto un ragazzo proveniente da un seminario.  I suoi occhi erano smarriti quando è arrivato e non mi pare lo fossero di meno quando è andato via, dopo il pur brillante scrutinio finale.  Era stato troppo breve il lasso di tempo che si era concesso per capire, per scegliere e forse non lo aveva aiutato la presenza di amici, che c’erano e che presumo si fossero impegnati a fargli conoscere una vita diversa.  Credo che decisioni di questo genere richiedano riflessione, silenzio e una lenta   maturazione.

F.:  E allora?

M.:  Ora tocca a te.

F.:  Ho deciso: vengo via dal seminario ma non torno a casa.

M.:  E dove vai?!

F.:  Ancora non so. Ho bisogno di cambiare aria. Voglio andare in una città, finire il liceo e poi frequentare l’università.

M.:  Potresti andare dai tuoi cugini. Sarebbero felici di ospitarti.

F.:  Mamma, per favore, ho riflettuto su questa possibilità ma non sarete voi genitori a decidere.  Se questa lunga esperienza mi ha insegnato qualcosa è che non bisogna delegare le proprie scelte ad altri, nemmeno a chi ci ama moltissimo.  D’ora in poi, farò quello che mi sembrerà giusto e, se sbaglierò, pagherò.  Tanto il prezzo non potrà mai essere più alto di quello pagato finora.

M.:  Figlio mio, io ho semplicemente formulato un’ipotesi, peraltro seguendo la tua indicazione.  Ti prego, non estromettermi dalla tua vita.  Sarebbe una punizione tremenda.

F.:  Non ho nessuna intenzione di estrometterti, in primo luogo perché non voglio e poi perché non potrei, dato che non sono ancora né maggiorenne   né finanziariamente autonomo. Ti chiedo solo di non starmi col fiato sul collo e di rispettare il mio bisogno di indipendenza. Dopo tutto, non è questo che vuol dire crescere, diventare adulto?  Dovresti esserne sollevata.  Invece ti vedo incupita. Vuoi forse suscitare in me nuovi sensi di colpa?

M.:  No, per carità!

F.:  E allora smetti di preoccuparti per me.

M.:  Non ci riesco.  Non so cosa darei per garantirti, per il futuro, la serenità che ti è mancata in passato e che ti manca ancora.  Mi rendo perfettamente conto di quanto sia difficile questo momento, ma ricordati che non sei e non sarai solo, mai. Abbi fiducia in te stesso e abbi fede: la tua vita è nelle mani del Signore e, come sappiamo, Dio, se ti vuole, ti trova.  Quanto a me, non dubitare: se e quando dovessi desiderare avermi accanto a te, in qualunque strada del mondo, ti basterà fermarti dietro l’angolo, ti raggiungerò.

[1] CANTARELLA Eva, Secondo natura.  La bisessualità nel mondo antico, Milano, Feltrinelli, 2021, pagg. 67 e 272-3.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem, pag. 76.

[4] OMERO, Iliade –  Odissea , Roma, Newton Compton, 2021, Libro XXIV, vv. 126-131.

[5] CANTARELLA Eva, op. cit. , pagg. 19 e 25-6.

[6] Ibidem, Libro XIX, vv.328 e seguenti; v. 296-300-

[7]CANTARELLA Eva, op, cit., pagg. 21-2.

[8] Matteo 19, 12.

[9] CANTARELLA Eva, op. cit., pag 263.

[10] I VANGELI – Marco Matteo Luca Giovanni, a cura di Giancarlo Gaeta, Torino, Einaudi, 2006, pag. 923.

[11] Mancuso Vito, I quattro maestri, Milano, Garzanti, 2020, pag. 370.

[12] CANTARELLA Eva, op, cit.,pag. 39.

[13] Ibidem, pagg. 67 e 48-49.

[14] Ibidem, pag. 280.

[15] Ibidem, pagg. 276-7.

[16] Ibidem, pag. 163.

[17] Ibidem, pagg. 141 e 153-4.

[18] Ibidem, pagg. 138 e 131.

[19] PLATONE, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, Milano, Mondadori, 2020, pagg. 71-3.

[20] FORCADES Teresa, Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Roma, Lit Edizioni, 2019, pagg. 117-8.

[21] CALVINO Italo, Gli amori difficili, Milano, Mondadori, pag. XL.

[22] FORCADES Teresa, op. cit., pag. 45.

Modugno e Santomauro

GIOVANNI MODUGNO E GAETANO SANTOMAURO NEL PERSONALISMO PUGLIESE, ITALIANO ED EUROPEO DEL ‘900

di Carlo De Nitti

Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza PAPA FRANCESCO

1. ABBRIVO

In un’epoca, come quella che viviamo caratterizzata da una sempre più forte caratterizzazione digitale in ogni aspetto della vita – personale, sociale, civile economico, politico – e delle sue relazioni, non è anacronistico parlare di educazione ‘integrale’, ovvero che un’educazione che programmaticamente abbracci nel processo educativo l’uomo/la donna, la persona, in ogni età della vita ed in tutte le sue dimensioni.

A chi scrive sembra interessante incentrare il proprio intervento sul pensiero di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro, pedagogisti del ‘900 pugliese, italiano, europeo.

Non come esperto dei due Autori nel senso accademico della parola, ma come chi, uomo di scuola, da molti anni, con le storia di vita e di pensiero dei due autori ha avuto una frequentazione generata dall’aristotelico “thaumazein”. Sì, perché personalità siffatte non possono non sé-durre, a prescindere dalle idee di chi si accosti, purché lo faccia con onestà intellettuale e sprito teoretico scevro da pre-giudizi. 

E’ di sicuro interesse interrogare le figure di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro per cogliere – provando a suggere l’essenza del loro pensiero – quanto essi possanodire (rectius: insegnare) a noi, persone di scuola del XXI secolo, che operano nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Il ri-pensare le istanze di Giovanni Modugno e di Gaetano Santomauro nella scuola di oggi non può, né deve, essere un mero esercizio di erudizione storiografica, ma un interesse squisitamente teoretico che interroghi i due pedagogisti, a partire dagli interrogativi del presente che scaturiscono, ovviamente, da bisogni didattici, educativi e pedagogici che urgono alle persone di scuola.

2. I “MAESTRI DEL SENSO”

E’ possibile connotare Giovanni Modugno e Gaetano Santomauro – per utilizzare il lessico della pedagogia di Papa Francesco – nell’espressione “maestro del senso”. Chi scrive non trova migliore sintetica definizione se non quella delle parole usate dal Pontefice nel 2022 a Lisbona, parlando ai giovani per definirli: . 

Giovanni Modugno e Gaetano Santomauro lo sono stati, di sicuro, ante litteram, … e lo sono ancora oggi per noieducatori e le giovani generazioni affidate alle nostre cure!Leggere contestualmente oggi Modugno e Santomauro oggi significa affrontare in modo efficace le urgenze educative del mondo contemporaneo. Al centro del processo educativo – come sostenevano nel loro tempo i pedagogisti dell’attivismo pedagogico – non possono che esserci gli educandi con i loro vissuti, le loro storie interiori, i loro bisogni. Nel processo di educazione, non si può che “ascendere insieme”, per riprendere il titolo di un testo del 1943 dello stesso Modugno, per cambiare se stessi e,contestualmente, la società in cui si vive.

3. GIOVANNI MODUGNO 

La vita, la ricerca culturale, l’insegnamento di Giovanni Modugno incarnano l’anelito verso una società più giusta e più libera, nella quale ogni persona, consapevole della sua dignità, possa recuperare e vivere il significato dei valori fondamentali, in primis, la vita e la libertà, senza dei quali non è possibile praticare alcun altro valore. L’attualità del suo messaggio si focalizza prioritariamente intorno alla finalità dell’educazione, riprendendo le istanze più significative della tradizione pedagogica cristiana, arricchita dal dialogo fecondo con autori contemporanei. A partire dalla fine degli anni Venti, intensa fu la relazione di Giovanni Modugno con il gruppo di pedagogisti cattolici che si raccoglieva in quel di Brescia intorno alla casa editrice La Scuola, fondata nel 1904, ed alla rivista Scuola Italiana Moderna, nata nel 1893. Il medesimo milieu cattolico in cui, com’è noto, si formò il giovane don Giovanni Battista Montini (1897 – 1978) – Pontefice con il nome di Paolo VI – che alle posizioni di Giovanni Modugno fu certamente vicino, attraverso la filosofia della persona di Jacques Maritain (1882 – 1973).  

Nel gruppo di docenti e pedagogisti cattolici bresciani e nelle loro iniziative, di cui fu ispiratore e sodale anche attraverso il suo discepolo e figlioccio Matteo Perrini (1925 – 2007), Giovanni Modugno trovò quella consonanza intellettuale e religiosa che spesso gli mancò in Puglia, una sorta di accogliente “rifugio”, ma anche la possibilità di incidere nella scuola militante: basti pensare alla comunanza di interessi e alla sua consonanza intellettuale con Laura Bianchini (1903 – 1983), docente liceale bresciana di filosofia e madre Costituente.  

Anche dopo la seconda guerra mondiale, Giovanni Modugno continua a collaborare con Scuola Italiana Moderna, la rivista scolastica più diffusa tra i docenti di scuola elementare, ed ispirò anche una filiazione diretta del gruppo bresciano: il “gruppo di maestri sperimentatori” di Pietralba (BZ), che si riunì per la prima volta nel 1948, cui partecipò anche un altro grande pedagogista pugliese, appena venticinquenne, suo allievo all’Istituto Magistrale di Bari: Gaetano Santomauro.  

Giovanni Modugno riconosce che la pedagogia è la “scienza della vita”: si preoccupa di affinare una riflessione rigorosa ma anche che manifesti un’efficacia pratica, fondata su principi e valori saldi, applicabili sia alla prassi quotidiana, scolastica e non. Per Modugno, la scienza della vita costituisce la risposta più significativa all’esigenza di riaffermare il primato della moralità, della razionalità e della spiritualità, come qualità peculiari di ogni persona che impara a riconoscerle come espressioni ineludibili della propria dignità e della propria coscienza morale.

Giovanni Modugno ricerca sempre il “perfezionamento interiore” anche nei momenti più drammatici della sua vita personale, come, con la precoce morte della figlia Pina. Evento – collegato con altri lutti familiari (i genitori) – che interroga la coscienza del pedagogista. Quando la figlia si ammala, il progetto di Giovanni Modugno è di lavorare per ‘cristianizzare la vita’, in lui e attorno a lui. E’ convinto che le disuguaglianze sociali e le miserie non si eliminano soltanto con le leggi e le riforme, ma con l’amore. La vera riforma interiore consiste nel disporsi a comprendere i bisogni di ciascuna persona in difficoltà e nel sentirsi responsabili se manca il necessario per vivere.

I motivi fondamentali che accompagnano la vita di Modugno sono quelli di ‘ascendere insieme’, ‘salire alla sublime vetta’, ‘aiutare gli altri a salire’: l’insegnamento gli consente di adempiere a questa sua idea. Nella prospettiva del suo pensiero, la religione costituisce il principale centro d’interesse dell’intero curricolo scolastico, oltre che il contenuto più significativo della scienza della vita. Essa è la guida per cogliere nella vita concreta le relazioni tra le singole azioni ed i principi della ragione e della morale. Con la didattica della ‘provocazione riflessiva’, stimolata dal docente, la pratica del riflettere durante le lezioni li sollecita nella chiarificazione dei criteri direttivi e li pome nelle condizioni di osservare, giungendo a scoprire le istanze più profonde della vita. Come non ritenere queste suggestioni attuali e praticabili nel XXI secolo

4. GIOVANNI MODUGNO VIVANT

Riflettere oggi, nel terzo decennio del XXI secolo, sulla figura, sul pensiero e sulla storia di Giovanni Modugno, “cercatore di Cristo” ed “apostolo dell’educazione” è un atto “rivoluzionario” nella sua essenza, che modifica radicalmente i paradigmi del pensiero corrente, spesso incentrato sui tecnicismi della pedagogia – declinati in tutte le sue branche – e della scuola, piuttosto che sulla persona, quale punto di imputazione ultimo di ogni azione educativa.

Questo è il continuum che attraversa la vita di Giovanni Modugno, anche prima di insegnare, quando, da giovanissimo, iniziò ad impegnarsi nelle vicende della politica della sua città, Bitonto, in solido con lo storico molfettese Gaetano Salvemini (1873 – 1957), cui lo unì un lunghissimo sodalizio intellettuale e politico, nonostante le diverse posizioni, che ha attraversato la storia italiana di mezzo secolo. Pressocché coetanei, furono entrambi “figli”, diversi tra loro, della temperie culturale positivistica, da cui furono entrambi alieni, giungendo a posizioni politiche diverse che avevano in comune l’impegno per il riscatto dei contadini meridionali rispetto ai soprusi dei latifondisti, attraverso la conquista del più fondamentale dei diritti, quello all’istruzione.   

Il fulcro dell’attività di Giovanni Modugno – che volle essere sempre “maestro di maestri” – fu sempre l’educazione dei giovani al pensiero critico, lontano da ogni possibile strumentalizzazione. Egli non fu mai uomo “di parte”, rifiutò sempre per se stesso incarichi, cariche ed onori di ogni tipo, proprio per conservare la sua libertà di pensiero. Non a caso, nel 1923, al pedagogista, ed amico, Giuseppe Lombardo Radice (1879 – 1938) che gli offriva, a nome del Ministero della Pubblica Istruzione, la nomina a Provveditore di Bari, egli oppose un fermo diniego, come fece, alla stessa maniera, quando la carica gli fu offerta, nel 1944, da Tommaso Fiore (1884 – 1973) a nome del Comitato di Liberazione Nazionale. Parimenti, non a caso, nel 1929, fu assordante il suo silenzio – in un’Italia osannante – di fronte alla firma dei Patti Lateranensi.

Questa missione educativa – cui adempì senza maideroga alcuna – non gli impedì di mantenere relazioni intellettuali con i più sensibili ed insigni pedagogisti del suo tempo, a cominciare dalla “scoperta” di Friedrich Wilhelm Foerster (1869 – 1966) e Josiah Royce (1855 – 1916). Con ed attraverso di loro, Giovanni Modugno difese la persona umana, la sua dignità e la sua libertà interiore, trovando nel Cristianesimo, inteso ome “fede nella Resurrezione”, il miglior fondamento per conseguire questo obiettivo. In quest’opera educativa, massima era la sintonia del pedagogista con Mons. Marcello Mimmi (1882 – 1961), Arcivescovo di Bari dal 1933 al 1952, di cui condivideva in toto il metodo pastorale.

La cifra di tutta l’esistenza del pedagogista che si può compendiare nel titolo del volume – pubblicato dieci anni dopo la sua scomparsa, a cura dell’amatissima moglie, Maria Spinelli Modugno – Giovanni Modugno. Io cerco l’Eterno: mediante un’ascesa interiore, mai disgiunta dall’adempimento del dovere della missione educativa, indirizzata alla conquista, da rinnovare continuamente, della libertà, della coscienza critica e della dignità della persona umana. Un’eredità pedagogica e morale da raccogliere e praticare con rinnovata lena anche, se non soprattutto, nelle scuole di ogni ordine e grado.

5. GAETANO SANTOMAURO

Le tematiche del pensiero di Modugno, si ritrovano, a parere di chi scrive, con semantica diversa, nel pensiero di Gaetano Santomauro. Rimeditare sul pensiero di questo autore, mediante la costruzione di un itinerario di ricerca all’interno di alcune tra le sue opere, significa accostarsi al pensiero di un Maestro della pedagogia italiana di ispirazione meridionalista e personalista: di un personalismo peculiare che “non è dogmatico ma neanche tendenzialmente scettico o relativista. E’ un personalismo realistico, che ha nella persona la misura delle cose e che nella persona ritrova il giusto equilibrio tra l’ansia del trascendente ed il qui ed ora “. 

Chi scrive pensa che esista un modello ‘protagoreo’ della pedagogia, al pari di quello della filosofia, come magistralmente teorizzato da Giuseppe Semerari. Tale modello è, di certo, invenibile in quel personalismo realistico che trova nella persona il giusto equilibrio tra l’ ‘hic et nunc’ e l’ansia del trascendente: esso legittima e sostiene la ‘pedagogia in situazione’ che è ermeneutica allorché sollecita a trovare i principi categoriali con i quali ‘comprendere’ le situazioni.

Il qui ed ora, per Santomauro, erano fondamentalmente la scuola e la società meridionali del dopoguerra ed il ruolo che la prima aveva il dovere di svolgere per il riscatto culturale, sociale, civile e, conseguentemente, economico della seconda. Il suo impegno sociale in favore del Mezzogiorno fu costante ed accompagnò la sua riflessione teoretica e la sua azione pedagogica a tutto tondo: non a caso, intrattenne rapporti, anche epistolari con uno dei più grandi Statisti, meridionale e meridionalista anch’egli, che l’Italia nei suoi centocinquanta anni di vita unitaria abbia mai avuto, Aldo Moro (1916 – 1978).

Il lascito migliore della riflessione pedagogica di Gaetano Santomauro, la cui prematura scomparsa ne ha tragicamente impedito ulteriori e fecondi sviluppi – un’eredità che lo fa essere nostro contemporaneo di persone di scuola del Terzo Millennio – è, “la sua fiducia inconcussa nell’educazione e nel suo ruolo positivo e propulsivo nella società, la sua speranza nell’educazione non in maniera fideistica né in forma ingenuamente ottimistica, ma in forma consapevole, responsabile, lucidamente ancorata al tempo storico e alla condizione umana” . 

Particolarmente interessante ed euristica è, a distanza di oltre cinquantacinque anni dalla sua prima pubblicazione, in quest’ottica, la rilettura dell’opera principale della pur vasta produzione scientifica di Santomauro, Per una pedagogia in situazione, purché la si affronti utilizzandola come chiave di lettura critica e propositiva delle problematiche pedagogiche del XXI secolo. 

La pedagogia in situazione non è una pedagogia relativistica (se non addirittura nichilistica) che si smarrisce nella realtà o la ratifica sic et simpliciter, ma è una pedagogia ermeneutica, in quanto – spiega ancora Pagano – assume il carattere, da un lato, ‘noetico’ perché sollecita la ricerca pedagogica a trovare i principi categoriali con i quali ‘leggere’, ‘spiegare’, ‘comprendere’ le cose, i fatti, le situazioni, e, dall’altro lato, storico-dialettico, perché spinge il pedagogista ad uscire dalle assolutizzazioni e a cercare mediazioni, a cogliere le reali possibilità di un processo educativo. E‟ una pedagogia forte nei suoi principi, ma pronta a mettersi in discussione quando avverte i limiti ed i rischi di una deriva integralista e fondamentalista. E‟ una pedagogia che vuole operare nel mondo e con esso continuamente rinnovarsi”. 

La ‘pedagogia in situazione’ è, a parere di chi scrive, la scommessa pedagogica che vive ogni giorno chi voglia operare con consapevolezza ed efficacia nella scuola del XXI secolo per formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano, educando alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, alla solidarietà, alla differenza, ma soprattutto al rispetto di tutt* e di ciascun*.

E’ la scommessa pedagogica che si trova a vivere ogni giorno chi voglia operare nella scuola del XXI secolo: formare persone, uomini e donne, competenti nell’umano significa educare “alla responsabilità, alla partecipazione, alla solidarietà, alla tolleranza, al rispetto della tradizione, all’inclusione contro l’esclusione, al dialogo, alla prossimità, al realismo, alla comprensione del sé storico”, in una parola, ai valori.

A parere di chi scrive, l’effettiva competenza nell’umano è, e deve essere, sostanziata di un’originaria responsabilità / libertà per … che contraddistingue la persona: “noi non siamo responsabili perché siamo socialmente impegnati, ma ci impegniamo socialmente perché siamo originariamente responsabili”, come insegnava, in quegli stessi anni, Giuseppe Semerari, in una prospettiva teoretica tutt’affatto diversa.

Negli anni ‘60/’70 del secolo scorso, per Santomauro, praticare una pedagogia in situazione significava difendere le peculiarità valoriali della civiltà contadina, segnatamente pugliese e meridionale, dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione spersonalizzante ed alienante. Non è difficile invenire nell’impegno mai disgiunto di ricerca teoretica e attività sociale da parte di Gaetano Santomauro, – consegnato a volumi come Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale, Il senso di una pedagogia impegnata e Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno ed alle azioni per la scuola pugliese e meridionale nei decenni di transizione dalla società contadina a quella agro-industriale ed industriale come Consulente tecnico dell’Ente Riforma e come membro della delegazione italiana presso l’UNESCO – i fondamenti teoretici e sociali per un impegno odierno di donne ed uomini di scuola contro la spersonalizzazione di una società postindustriale, globalizzata, che tende ad omologare idee, comportamenti, usi, costumi, linguaggi, impoverendo o, addirittura, svellendo le tradizioni e modificando gli stili di vita degli uomini, delle donne e dei bambini nella prospettiva sempre ‘allettante’ dell’incremento dei consumi finalizzato alla produzione ed ad un profitto spesso fuori controllo.

6. GAETANO SANTOMAURO VIVANT

A parere di chi scrive, praticare oggi una pedagogia in situazione significa riconoscere nelle azioni concrete la dignità di ogni persona umana e determinare la necessità di elaborare e di definire itinerari operativi di “educazione compensativa”, ossia di recupero delle situazioni di emarginazione e di insuccesso negli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Tale riconoscimento è la cifra caratterizzante la cultura occidentale dal mondo greco fino al nostro tempo. La dignità dell’uomo definisce il suo essere persona ed il fine dell’educazione di cui è protagonista: in particolare, per la scuola, non è possibile leggere, conoscere ed educare le varie condizioni umane se non nell’ottica dell’accoglienza e della promozione di ogni persona, di tutti e di ciascuno, soprattutto di quelle contrassegnate dall’emarginazione e dell’insuccesso, che non sono soltanto scolastici, ma anche e soprattutto sociali e civili, anche, se non soprattutto, per una serie di ragioni sociali, storiche, economiche e politiche, che non è, in questa sede, dato di indagare ed approfondire, nel Mezzogiorno d’Italia.

In questo senso, operare quotidianamente nella scuola sta a significare porre in essere ogni giorno la pedagogia impegnata in situazione, che non è né può diventare pedagogia della situazione.

La pedagogia in situazione trova la sua massima espressione nella pratica dei laboratori e nella didattica incentrata su di essi, che non sono soltanto uno spazio didattico diverso dall’aula tradizionale, ma una modalità di apprendimento fondata su dimensioni altre dell’insegnare, consente di conseguire in modo efficace tanto gli obiettivi formativi quanto gli obiettivi specifici di apprendimento, afferenti il sapere (conoscenze), il saper fare (abilità) il saper essere (comportamenti e competenze) poiché essa promuove linguaggi plurimi e non soltanto quelli “dal collo in su”, quelli dimidiati, per dirla con Papa Francesco, poiché non coniugano la mente con il cuore e con le mani.

Questa opzione teoretica per la laboratorialità a trecentosessanta gradi colloca la prospettiva delle scuole, soprattutto del primo ciclo di cui massimamente si è occupato, già nel 1954, Gaetano Santomauro – a parere di chi scrive – sulla medesima linea pedagogica e metodologica che, all’inizio del Novecento, era proposta in modo dirompente, in ben altro contesto culturale, dall’attivismo pedagogico: da John Dewey, alle sorelle Agazzi, da Maria Montessori ad Edouard Claparède, da Céléstin Freinet a Ovide Decroly (a cui Gaetano Santomauro, peraltro, dedicò una specifica monografia) nella direzione dell’ampliamento dell’offerta formativa e delle opportunità di apprendimento per i bambini, i ragazzi, i giovani ma anche gli adulti di tutte le età interessati a crescere, a migliorare se stessi ed a riqualificarsi in un mondo del lavoro in continua trasformazione. 

7. LEGAMI ED APPRODI

Nel 1959, in un articolo comparso su “Rassegna Pugliese”, su cui, probabilmente, non è inutile soffermarsi in questo contesto, dal titolo Il pensiero di Giovanni Modugno attraverso i suoi inediti, Gaetano Santomauro ricostruisce il pensiero del pedagogista bitontino recentemente scomparso: la sua non è mera storiografia pedagogica delle fonti cui si è “abbeverato” il pensiero di Giovanni Modugno e dei passaggi cruciali del suo itinerarium 

G. Santomauro, da insigne pedagogista, ci fa toccare con mano la grandezza di Modugno, che, come tutti i grandi, ha pensato, in forme e modalità diverse, un solo grande tema: l’educazione morale, declinandola come civile e religiosa. Non è un caso che, in quegli stessi anni, l’educazione morale, civile e religiosa fosse al centro degli interessi teoretici del medesimo Santomauro, come si evince dalla bibliografia dei suoi scritti.

Entrambi fecero i conti, in tempi diversi, con il neoidealismo, sia nella versione storicistica crociana che in quella attualistica gentiliana. Basti pensare a due scelte fondamentali delle loro esperienze biografiche.

Giovanni Modugno non fece mai parte a Bari del gruppo di antifascisti che si riuniva intorno a Benedetto Croce presso la casa editrice Laterza, sebbene il suo volume su Foerster fu pubblicato nel 1931 proprio da Giovanni Laterza, quindi è ipotizzabile non senza l’assenso di Benedetto Croce. Né il pedagogista bitontino alcun ruolo nell’organizzazione del congresso del Comitato di Liberazione Nazionale che si svolse a Bari dal 28 al 30 gennaio 1944, e fu aperto proprio da un discorso del filosofo partenopeo (di adozione).

Al pensiero di Benedetto Croce e dalla sua concezione della storia, il giovanissimo Gaetano Santomauro dedicò addirittura la sua tesi di laurea che discusse nel 1946 (quindi con Croce ancora vivente) presso l’Università degli Studi di Urbino, avendo come relatore il filosofo neotomista cattolico Gustavo Bontadini (1903 – 1990). Senza considerare l’influenza di Giuseppe Flores d’Arcais (1908 – 2004), di Mario Casotti (1896 – 1975), di Vittorio Chizzolini(1907 – 1984) e del gruppo bresciano con cui era in stretta e feconda relazione anche Giovanni Modugno, che in quel consesso lo aveva introdotto.

Ciò che contraddistingue entrambi, in una linea teoretica che si potrebbe definire di continuità ideale, è il perseguire una concezione personalistica ed un’ascesa umana che li conduce all’elaborazione di un pensiero coerente ed originale: la connotazione geografica che è nel titolo non è, ovviamente, l’indicazione di un limite, ma di una precipua specificità che non arricchisce il Gotha del personalismo italiano ed europeo, quale quello che negli stessi decenni elaboravano Oltralpe Emmanuel Mounier (1905 – 1950, Jacques Maritain (1882 – 1973), Paul Ricoeur (1913 – 2005).

8. BIBLIOGRAFIA

I volumi qui citati non sono, di certo, una bibliografia esaustiva sugli argomenti cui si è avuto modo di argomentare, ma hanno costituito certamente un faro per chi si è cimentato nella scrittura.

• AA.VV., Maestri del senso: competenze e passione per una scuola migliore, a cura di CARLO DE NITTI e CARLO LAVERMICOCCA, Bari 2023, Ecumenica editrice;

• AA.VV., “Mente – Cuore – Mani”: la proposta educativa di Papa Francesco per la scuola di oggi. Riflessioni teoriche e prassi educative, a cura di CARLO DE NITTI e CARLO LAVERMICOCCA, Bari 2022, Ecumenica editrice;

• CAPORALE, VITTORIANO, Educazione e politica in Giovanni Modugno, Bari 1988, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Un pedagogista del Sud, Bari 1995, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, Giovanni Modugno. Pedagogia Scienza della Vita, Bari, 1997, Cacucci; 

• CAPORALE, VITTORIANO, La proposta pedagogica di Giovanni Modugno, Bari, 2004, Cacucci;                                                                        

• CAPORALE, VITTORIANO, Pedagogia e vita di Giovanni Modugno, Bari 2006, Cacucci;

• CAPORALE, VITTORIANO, Santomauro Gaetano, in “Enciclopedia pedagogica”, 1994, pag. 10277-10283;

• CAPURSO, GIOVANNI, Due Maestri per il Sud: Gaetano Salvemini e Giovanni Modugno, Corato, 2022, SECOP;

• CHIOSSO, GIORGIO, Novecento pedagogico italiano, Brescia 19 , La Scuola editrice;

• LAENG, MAURO, (a cura di), Gaetano Santomauro, “I contemporanei”, Giunti-Barbera, Firenze 1979, pp. 890-893;

• LAFRANCESCHINA, LUIGI, La Pedagogia Italiana del Secondo Dopoguerra e la Proposta Pedagogica di Don Gino Corallo, Bitonto 2014, Arti Grafiche Cortese; 

• MODUGNO, GIOVANNI, Il problema morale e l’educazione morale, Firenze 1924, Vallecchi;

• MODUGNO, GIOVANNI, F.W. Foerster e la crisi dell’anima contemporanea, Bari 1931, Laterza;

• PAGANO, RICCARDO, Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro, Brescia 2008, La Scuola;

• PERRINI, MATTEO, Pedagogia e Vita di Giovanni Modugno, Brescia 1961, La Scuola;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno. Il volto umano del Vangelo, Bari 2020, Edizioni Dal Sud;

• ROBLES, VINCENZO, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2022, Edizioni Dal Sud;

• SANTOMAURO, GAETANO, Giovanni Modugno attraverso gli inediti, «La Rassegna pugliese», 1969, 4-5, pp. 3 – 22;

• SANTOMAURO, GAETANO, Civiltà ed educazione nel mondo contadino meridionale, Padova 1959, Liviana;

• SANTOMAURO, GAETANO, Il senso di una pedagogia impegnata, Lecce 1963, Milella;

• SANTOMAURO, GAETANO, Problemi educativi e programmazione nel Mezzogiorno, Lecce 1964, Milella;

• SANTOMAURO, GAETANO, Per una pedagogia in situazione, Brescia 1967, La Scuola;

• SANTOMAURO, MARIA TIZIANA,

• SARACINO, DOMENICO, Politica, cultura e spiritualità in un cercatore di Cristo, Bari 2006, Stilo editrice;

• SEMERARI, GIUSEPPE, Responsabilità e comunità umana, Manduria 1960, Lacaita.

 

Et si parva licet componere magnis, precedenti brevi testi di chi ha scritto questo:

a) Un pedagogista meridionale e meridionalista: Gaetano Santomauro, “Tempopieno”, VI, gennaio – giugno 2011, 1-2, pp. 9 – 13;

b) Introduzione. Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, in Il pensiero pedagogico di Gaetano Santomauro nella scuola del XXI secolo, a cura di CARLO DE NITTI, “Educazione & Scuola”, XVII, marzo 2012, 1015, pp. 4-8;

c) La missione educativa di Giovanni Modugno e la sua attualità nel XXI secolo. Nota a margine di una recente biografia del pedagogista bitontino, ”Educazione & Scuola”, XXVI, marzo 2021, 1123;

d) In difesa del Sud: storia di un’amicizia tra due grandi Maestri tra Molfetta e Bitonto, “Educazione & Scuola”, XXVII, settembre 2022, 1141;

e) Giovanni Modugno: un “cercatore di Cristo”, apostolo dell’educazione, in VINCENZO ROBLES, Giovanni Modugno e il suo “rifugio” bresciano, Bari 2023, Edizioni Dal Sud, pp. 9 – 12; 

f) La ‘pedagogia in situazione’ oggi: Gaetano Santomauro vivant, “Educazione & Scuola”, XXVIII, marzo 2023, 1147;

g) Giovanni Modugno: un “maestro di senso” per la scuola italiana di oggi, “Educazione  Scuola”, XXVIII, dicembre 2023, 1156.

 

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