I giovani, l’educazione civica e le risposte negate
Il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999.
Il moltiplicarsi di casi di cronaca, i numeri della tragedia e l’estesa portata del fenomeno criminale hanno alzato il livello di attenzione e reso molto più consapevoli le nuove generazioni, pur in un clima culturale che fatica ad evolversi e rimane ancorato ai vecchi privilegi maschili.
Le ragazze soprattutto, ma anche i ragazzi, hanno preso spazio nel dibattito pubblico, con grandi manifestazioni e presenza costante sui social, riabilitando l’antica parola di “patriarcato” per definire l’ordine gerarchico tra i generi, che storicamente attribuisce all’uomo un vantaggio sulla donna.
La parola è sbagliata, come rimarcano gli anziani politici perlopiù maschi? Poco cambia, si chiamerà in altro modo ma quel modello sociale continua ad esistere e a pervadere, nel mondo e in Italia, le dinamiche relazionali e le nostre vite di oggi.
I giovani chiedono alla scuola di fare la sua parte come comunità educante; la politica spinge nella stessa direzione indicandola come “luogo privilegiato” di costruzione dei valori di eguaglianza e inclusione, le famiglie arretrano e delegano all’esterno l’accompagnamento formativo dei loro figli all’età adulta, quindi anche tutta la materia della prevenzione al sessismo.
Un’istruzione pubblica attrezzata, ben finanziata, che dà benessere e riceve fiducia potrebbe mettere in campo delle straordinarie attività nella sua autonomia didattica, perché conosce
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