La Piccola era glaciale raccontata dai dipinti

Stavo cercando immagini per una raccolta di dipinti dedicata alla cattedrale londinese di Saint Paul, quando mi sono imbattuta in una veduta del 1739, opera dell’olandese Jan Griffier II (1688-1773), che all’inizio mi è parsa incomprensibile.
La chiesa era sullo sfondo, assieme alla città, mentre il fiume si distendeva lungo una grande curva. Ma c’era qualcosa di strano sull’acqua: nuvole di nebbia? Solo dopo aver letto il titolo, “Il Tamigi durante il Grande Gelo“, ho capito di cosa si trattava: blocchi di ghiaccio che fuoriuscivano dalla superficie gelata del fiume.

Ho cercato di saperne di più e ho scoperto che l’inverno 1739-1740 è stato uno dei più rigidi che la storia ricordi (la temperatura a Londra scese fino a -9°), tanto che il Tamigi restò ghiacciato per mesi. Tuttavia il congelamento del fiume era già avvenuto altre volte in precedenza poiché le temperature erano già da qualche secolo sotto la media. Uno degli episodi precedenti avvenne nel 1683 , quando il ghiaccio durò per due mesi raggiungendo i 28 cm di spessore, e puntualmente venne registrato dagli artisti, come in questa stampa di Thomas Wyke.

E in questo dipinto di Jan Griffier I.

Ciò che stava accadendo aveva, in realtà, una portata molto più vasta: tra il 1450 e il 1850 tutto l’emisfero nord fu interessato dalla cosiddetta Piccola era glaciale, un fenomeno complesso che seguì il ‘periodo caldo medievale‘, con vari picchi di freddo intenso provocato dalla sovrapposizione di diverse cause: grandi eruzioni vulcaniche che oscurarono l’atmosfera, diminuzione dell’attività solare, cambiamenti della circolazione oceanica, sviluppo di foreste al posto di terreni agricoli, variazioni dell’inclinazione terrestre.

In particolare, il congelamento del Tamigi era favorito anche dalla conformazione dell’antico Westminster Bridge, un ponte ‘abitato’ (cioè sormontato da case) caratterizzato da tantissime piccole arcate tra le quali era facile che i primi blocchi di ghiaccio si incagliassero rallentando il moto delle acque e favorendo così il congelamento dell’intera superficie del fiume (il ponte verrà per questo demolito nel 1832 e ricostruito con sette archi metallici). Ecco il ponte in un dipinto del 1650 di Claude de Jongh.

Ed ecco come appariva quando il Tamigi ghiacciava, in un dipinto di Abraham Hondius del 1677.

Come si può notare, la gente sembra divertirsi in tanti modi diversi: c’è chi fa il tiro al piccione, chi si rincorre e chi gioca con gli animali. Con grande spirito di adattamento tanti londinesi seppero trarre persino profitto da quelle condizioni estreme, realizzando la Frost Fair, cioè la Fiera del gelo, una grande manifestazione in cui venivano installate sul ghiaccio due file parallele di tende che ospitavano pub, negozi, botteghe di barbieri e calzolai.
All’esterno invece c’erano piste per pattinare, giocare a calcio e a bowling e spazi per spettacoli all’aperto. La prima edizione registrata avvenne nel 1608, ma l’edizione più imponente fu quella del 1683 (già vista nella stampa all’inizio).

In quell’occasione lo scrittore inglese John Evelyn scrisse «Attraversai il Tamigi sul ghiaccio, ormai divenuto così spesso da sopportare non solo strade di bancarelle, in cui arrostivano carne, e avevano diverse botteghe di merci, di traverso come in una città, ma passavano carrozze, carri e cavalli».

Tornando al primo dipinto dell’articolo, in effetti, si scorgono anche là, nell’angolo in basso a sinistra, file di tende e un gran numero di persone che si muovono sul ghiaccio.

L’ultima Fiera del gelo si tenne nel 1814 ai primi di febbraio, ma durò solo 4 giorni. Già il 5 del mese i ghiacci iniziarono a sciogliersi e diverse persone annegarono nel fiume.

Il congelamento dei fiumi, naturalmente, non era un fenomeno solo inglese: durante la Piccola era glaciale venne raffigurato in tanti luoghi d’Europa, soprattutto nelle Fiandre e in Olanda, dove era più diffusa la pittura di paesaggio. Questo dipinto, realizzato nel 1593 da Lucas van Valckenborch, raffigura il fiume Schelda presso Anversa, completamente ghiacciato. In primo piano un gruppo di contadini cerca di scaldarsi attorno a un falò mentre sul fiume, in mezzo alle navi incagliate nei ghiacci, tanta gente si diverte a pattinare.

Uno specialista di quello che presto diventò un vero e proprio genere, è stato l’olandese Hendrick Avercamp (1585-1634). Il suo primo dipinto dei ghiacci invernali è datato 1608, un anno in cui le temperature medie restarono ben al di sotto dello zero. La scena, sebbene un po’ fiabesca e immaginaria, racconta dettagliatamente la vita olandese durante i mesi più freddi dell’anno: il ghiaccio era fonte di divertimento per tanti, tra pattini e slittini, mentre altri si industriavano a trasportare merci, fare legna e fornire le osterie.

Il freddo è suggerito dalle tinte livide dell’atmosfera, ma i colori dei personaggi e le loro buffe mosse, rendono l’insieme vivace e vitale.

Alla Piccola era glaciale è collegato anche un dipinto ben più famoso, i Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio del 1565. Qui un gruppo di tre cacciatori torna al villaggio con il magro bottino di una volpe. A sinistra alcuni personaggi stanno preparando il fuoco per arrostire un maiale mentre in basso tante piccole figure pattinano sugli stagni ghiacciati.
Si tratta di uno dei primi
paesaggi invernali europei e uno dei più importanti. E tuttavia non è solo una fedele registrazione del clima dell’epoca: il ghiaccio, con la sua imprevedibile fragilità, era metafora della precarietà della condizione umana.

Uno dei picchi storici di freddo invernale fu quello del gennaio 1709 quando l’Anticiclone termico russo irruppe in Europa abbassando repentinamente le temperature fino a -20°.

Il quel mese a Roma nevicò tredici volte e le navi restarono intrappolate nei porti di Genova e Marsiglia. La laguna di Venezia divenne una distesa di ghiaccio (la temperatura toccò i -17,5°) ma, dato che non c’era la tradizione del pattinaggio, nell’unico dipinto che racconta l’episodio (opera di Gabriele Bella) si vedono solo grandi ruzzoloni sul mare congelato.

Quel che non mostrano i dipinti sono le conseguenze economiche e sociali di quegli inverni eccezionalmente freddi: i raccolti andavano irrimediabilmente persi, arrivavano terribili carestie ed epidemie con successivi disordini sociali e crisi politiche. Tuttavia ci furono anche comunità che, sapendosi adattare bene alle condizioni climatiche avverse, riuscirono addirittura a prosperare grazie al freddo: nei Paesi Bassi  gli abitanti sfruttarono il mare ghiacciato per scopi commerciali e bellici mentre i commercianti approfittarono del fallimento dei raccolti per vendere i loro prodotti in tutta Europa.
Non è un caso che l’epoca più fredda corrisponda al periodo di ricchezza economica e culturale ricordato come Secolo d’oro olandese (quello a cui appartiene Rembrandt, autore del pattinatore qui sotto).

Sul finire della Piccola era glaciale, nella prima metà dell’Ottocento, l’abbondanza di ghiaccio ebbe un ulteriore effetto indiretto in ambito letterario ispirando opere come Frankenstein di Mary Shelley. Gran parte delle vicende del romanzo, infatti, sono ambientate in luoghi circondati da montagne innevate e l’inizio e la fine della storia avvengono tra i ghiacci polari, con una nave incagliata nella morsa del gelo e lastre di ghiaccio a formare montagne. La creatura, braccata dagli uomini, sembra esserne parte: “Le montagne deserte e i ghiacciai desolati sono il mio rifugio. Ho vagato qui intorno per molti giorni; le caverne di ghiaccio, che solo io non temo, sono una dimora per me, ed è l’unica che l’uomo mi concede”.

Qualcosa che ricorda molto da vicino un celebre dipinto di Caspar David Friedrich dal titolo Il mare di ghiaccio (o Naufragio della speranza) del 1823-1824.

Questo quadro, un manifesto del Romanticismo e del sublime, rivela come il ghiaccio eterno fosse parte dell’immaginario collettivo di tutti i popoli del nord Europa. Ma, sebbene la scena sia ambientata nell’Oceano Artico, l’immagine sarebbe stata ispirata al pittore dai banchi di ghiaccio che si formarono sul fiume Elba, a Dresda, nell’inverno 1820-1821, e dai resoconti di alcune sfortunate spedizioni polari.

Due decenni prima, le stesse gelide atmosfere invernali avevano ispirato La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge del 1797-1798. Ecco il momento in cui la nave del narratore viene trascinata verso il Polo Sud:

E poi vennero insieme la nebbia e la neve;
e si fece un freddo terribile:
e ghiacci, alti come l’albero maestro,
ci galleggiavano attorno, verdi come smeraldo.
E attraverso il turbine delle valanghe,
le rupi nevose mandavano sinistri bagliori:
non si vedeva più forma umana o animale –
il ghiacchio era dappertutto.
Il ghiaccio era qui, il ghiaccio era là,
il ghiaccio era tutto all’intorno:
scricchiolava e muggiva, ruggiva ed urlava,
come i rumori che si sentono mancando.

E così, da luogo delle feste e delle fiere, da distesa per giocare e pattinare, il ghiaccio raggiungeva l’abisso del terrore e della distruzione, ma anche una delle vette più alte dell’arte, sia con le parole che con i colori.

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Quando l’inquinamento diventò un colore: il fumo di Londra

È un grigio scuro con una punta di blu. Periodicamente torna di moda perché è una tinta sobria ed elegante (sempre che si possa attribuire questa caratteristica a un colore). Sto parlando del cosiddetto ‘fumo di Londra‘, colore noto anche come ‘grigio Londra’.

Se volessimo ottenerlo al computer, ad esempio con Photoshop, dovremmo usare una di queste miscele.

Il risultato è un tono di grigio leggermente ‘freddo’, un colore un po’ metallico.

Ma da dove arriva questa denominazione? Molti fanno risalire la codifica di questo colore al ‘Grande smog‘, un gravissimo episodio di inquinamento avvenuto a Londra tra il 5 e il 9 dicembre del 1952.
A creare quella mortale cappa di smog (che provocò oltre 12.000 vittime) fu una concomitanza di cause diverse: lo spostamento dell’anticiclone delle Azzorre sull’Atlantico che provocò la formazione di uno strato di aria fredda e immobile su Londra; il conseguente addensamento di una fitta nebbia dovuta alla condensa dell’aria umida e l’abbassamento delle temperature che spinse gli abitanti ad aumentare il consumo di carbone per il riscaldamento domestico, provocando un’enorme dispersione di particelle di fuliggine che si sommarono a quelle delle fabbriche e delle centrali elettriche.

Gli effetti furono pesantissimi: la circolazione automobilistica divenne pressoché impossibile, i pedoni si smarrivano tra le strade e vennero persino chiusi teatri e cinema poiché il fumo penetrato al loro interno non rendeva visibile il palco. Ma l’aspetto più drammatico fu l’impennata di malattie respiratorie dovute ai livelli altissimi di acido solforico nell’aria che portarono nell’immediato a circa 4.000 decessi.
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Qualche anno più tardi, quando la classe politica si rese conto della correlazione tra quell’evento e i danni provocati alla salute dei cittadini, il governo inglese emanò il Clean Air Act, uno dei primi provvedimenti legislativi moderni volto a ridurre le emissioni inquinanti. Una legge che sostanzialmente decretò la fine dell’era del carbone e lo spostamento fuori dalle città di tutte le attività produttive.
Quanto al color fumo di Londra, come dicevo sopra, la sua  nascita viene spesso associata a questo episodio per via della tinta grigio scuro assunta dall’aria della città. Eppure, spulciando tra la letteratura legata ai colori, ho trovato una citazione del fumo di Londra (descritto in francese come fumée de Londres) già nel testo di Eugéne Chevreul del 1864 in cui pubblicò il suo famoso cerchio cromatico (quello che ispirò a Seurat la tecnica puntinista), il Des couleurs et de leurs applications aux arts industriels à l’aide des cercles chromatiques.

Secondo il chimico francese il fumo di Londra è una sfumatura del nero di Ginevra, tinta che qualche pagina dopo viene descritta come una tonalità di blu.Ma più che capire quale fosse il tono esatto del fumo di Londra, quello che è interessante osservare è che già negli anni Sessanta dell’Ottocento, quasi un secolo prima del Grande smog, l’inquinamento londinese aveva già dato il suo nome a un colore!
D’altronde lo smog delle città inglesi era comparso già nel primo Ottocento con gli effetti della Rivoluzione industriale: la combustione del carbone riempiva l’aria di fumo che, mescolandosi con la nebbia, dava luogo a coltri spesse e irrespirabili. Lo stesso termine smog deriva proprio dalla fusione tra smoke (fumo) e fog (nebbia).

Di questo fenomeno ha scritto un testimone d’eccezione, lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870). Nel suo Tempi difficili del 1854, un romanzo ispirato all’immaginaria città industriale di Coketown, racconta:
«Era una città con mattoni rossi o, per meglio dire, di mattoni che sarebbero stati rossi se fumo e cenere lo avessero permesso: così come stavano le cose, era una città di un rosso e di un nero innaturale come la faccia dipinta di un selvaggio; una città piena di macchinari e di alte ciminiere dalle quali uscivano, snodandosi ininterrottamente, senza mai svoltolarsi del tutto, interminabili serpenti di fumo.»

Questa immagine delle città inglesi, costellate da ciminiere e avvolte dal fumo, diventa in poco tempo anche un soggetto artistico come in questa veduta di Manchester del 1852 realizzata da William Wyld per la regina Vittoria.

L’inquinamento è visto curiosamente come un aspetto romantico del paesaggio, tant’è vero che è inserito all’interno di una bucolica visione con contadini e caprette.
Quarant’anni dopo, le atmosfere fumose delle città industriali diventano il soggetto principale del dipinto, come in questa tela di Lionel Walden dedicata al molo di Cardiff, la capitale del Galles che nel giro di un secolo vide un’enorme espansione grazie alle esportazioni di carbone.

L’inquinamento dell’aria non appariva come un problema ma come la manifestazione visibile del progresso. Quasi un’anticipazione dell’estetica del Futurismo, ma dipinta secondo le regole accademiche.
Tuttavia, secondo uno studio dell’Università di Cambridge, lo smog non avrebbe solo preso il posto dei soggetti della tradizione ma sarebbe stato determinante nella nascita dell’Impressionismo. I ricercatori, infatti, hanno osservato come i dipinti di Turner (considerato per la sua pennellata larga e sfaldata un precursore dell’Impressionismo) e, successivamente, quelli di Monet, diventino anno dopo anno sempre più sfocati, in parallelo con l’aumento di anidride solforosa nel cielo.
Il celebre Pioggia, vapore, velocità del 1844 dipinto da William Turner non sarebbe quindi solo un esperimento di vaghezza, ma un preciso e realistico ritratto del livello di inquinamento presente nell’atmosfera inglese in quel periodo.

Allo stesso modo le vedute di Londra di Claude Monet dipinte alla fine del secolo, specialmente quelle del Parlamento inglese e del ponte di Charing Cross, sono il risultato di una densa coltre di smog, prima che di una tecnica basata sulle pennellate veloci.

Di questo aspetto, del fatto cioè che stesse dipingendo l’aria inquinata, Monet era perfettamente consapevole e in parte anche compiaciuto come rivela una lettera scritta alla moglie nel 1900:
«Sto lavorando molto duramente, anche se stamattina pensavo davvero che il tempo fosse completamente cambiato; quando mi sono alzato ho visto con terrore che non c’era nebbia, nemmeno un filo di nebbia: ero prostrato, e vedevo tutti i miei quadri finiti, ma a poco a poco i fuochi si sono accesi e il fumo e la foschia sono tornati.»

È la stessa foschia che aveva già immortalato Giuseppe De Nittis nel suo periodo londinese del 1878.

Questi pittori, dunque, hanno dipinto (e respirato) il famoso fumo di Londra e in effetti è proprio di quel grigio-azzurro di cui parlava Chevreul. Certo, fa un po’ specie che un fenomeno che oggi, giustamente, combattiamo, sia stato in qualche modo un motore della pittura. Ma tant’è: l’arte è sempre espressione di un’epoca e di una società. E noi dobbiamo osservarla in modo oggettivo, grati di tutte le storie che ci sa raccontare.

Verifica sul Fiume – Geografia per Scuola Primaria

L’importanza del fiume come ecosistema è immensa. Non solo funge da fonte d’acqua per gli esseri umani e gli animali, ma svolge anche un ruolo cruciale nella conservazione della biodiversità e nell’equilibrio ambientale. La comprensione di questo ecosistema complesso è essenziale per le nuove generazioni.
Con la crescente enfasi sull’educazione ambientale nelle scuole, è fondamentale che i bambini della scuola primaria abbiano una comprensione chiara e approfondita dei fiumi e della loro importanza.
In questo articolo, ci immergeremo nel mondo affascinante dei fiumi fornendo informazioni dettagliate per i bambini della scuola primaria, scoprendo cos’è un fiume, quali sono i principali fiumi italiani, la differenza tra fiume e lago e tanto altro… Pronti alla fine per una Verifica sul Fiume per bambini di Scuola Primaria!
Cos’è e come è fatto un Fiume?
Un fiume è un corso d’acqua naturale di dimensioni variabili che scorre dalla sua sorgente in montagna o collina verso una destinazione finale, come un lago, un mare o un oceano. I fiumi sono un elemento importante del paesaggio terrestre e svolgono molteplici ruoli nelle regioni attraversate.
Un fiume è fatto di tre parti principali:

Sorgente: Questo è il punto in cui inizia il fiume. La sorgente è spesso in alto in montagna, dove c’è molta acqua fresca e pulita. Potrebbe essere un piccolo ruscello o una cascata che diventa il nostro fiume.

Corso d’acqua: Il corso d’acqua è il percorso che il fiume prende mentre si muove attraverso la terra. Il fiume scorre giù dalla montagna e attraversa valli e pianure. Durante questo viaggio, il fiume può diventare più largo e profondo, e altri piccoli corsi d’acqua, chiamati affluenti, possono unirsi ad esso per aiutarlo a crescere.

Foce: Alla fine del suo viaggio, il fiume raggiunge la foce. La foce è il punto in cui il fiume si incontra con un grande corpo d’acqua, come il mare o l’oceano. Qui, l’acqua dolce del fiume si mescola con l’acqua salata del mare.

I Fiumi Italiani più importanti
Ecco alcuni fiumi italiani importanti che potreste studiare a scuola primaria:

Po: Il fiume Po è il più lungo d’Italia e scorre principalmente nel nord del paese. Attraversa molte città, tra cui Torino, Piacenza e Venezia, prima di sfociare nell’Adriatico. Il Po è importante per l’agricoltura e la navigazione.

Tevere: Il fiume Tevere attraversa la città di Roma e sfocia nel Mar Tirreno. È uno dei fiumi più famosi d’Italia e ha una grande importanza storica e culturale.

Arno: L’Arno scorre attraverso la regione della Toscana e passa per città come Firenze e Pisa. È noto anche per il Ponte Vecchio di Firenze.

Adige: L’Adige è il secondo fiume più lungo d’Italia e attraversa il Trentino-Alto Adige e il Veneto. Scorre attraverso città come Trento e Verona.

Pò (o anche Po di Volano e Po di Goro): Questi sono bracci del fiume Po che sfociano nella parte orientale dell’Adriatico, contribuendo a creare un delta.

Adda: L’Adda è un affluente del Po ed è importante per la produzione di energia idroelettrica. Attraversa città come Como e Cremona.

Tagliamento: Il Tagliamento è un fiume dell’Italia nord-orientale che sfocia nell’Adriatico. È famoso per le sue acque limpide e il suo paesaggio naturale.

Mincio: Il Mincio è un affluente del Po e scorre attraverso il Lago di Garda prima di raggiungere il Po. È noto per i suoi paesaggi pittoreschi.

Questi sono solo alcuni dei fiumi italiani, ma ce ne sono molti altri più piccoli e affascinanti da scoprire. Ogni fiume ha la sua storia e importanza nella geografia e nella cultura dell’Italia.
Differenze tra Fiumi e Laghi
I fiumi e i laghi sono entrambi corpi d’acqua, ma hanno caratteristiche e funzioni diverse. Ecco le principali differenze tra di loro:

Origine:

– Fiume: I fiumi sono corpi d’acqua in movimento che scorrono dalla sorgente alla foce. Le sorgenti dei fiumi possono essere sorgenti naturali, come sorgenti di montagna o laghi, o sorgenti artificiali, come dighe o pozzi.
– Lago: I laghi sono bacini d’acqua dolce, generalmente immobili, che si formano in varie maniere. Possono essere formati da processi geologici, come l’erosione glaciale o vulcanica, o da attività umane, come la creazione di dighe.

Flusso d’acqua:

– Fiume: I fiumi hanno un flusso costante di acqua che scorre da montagne o colline verso valli o oceani. Sono in movimento continuo e, quindi, l’acqua fluisce da un punto all’altro.
– Lago: I laghi sono generalmente acqua stagnante, il che significa che l’acqua è relativamente immobile e non scorre da un punto all’altro con regolarità. Ciò li rende ideali per la conservazione dell’acqua.

Dimensioni:

– Fiume: I fiumi possono variare notevolmente in dimensioni, dalla piccola e tranquilla corrente di un ruscello fino ai grandi fiumi navigabili come l’Amazzonia o il Nilo.
– Lago: I laghi possono anche variare notevolmente in dimensioni, da piccoli bacini d’acqua a grandi estensioni come il Lago Superiore o il Lago Baikal.

Funzioni:

– Fiume: I fiumi svolgono un ruolo cruciale nel trasporto dell’acqua e dei sedimenti da una regione all’altra. Sono spesso utilizzati come fonte di acqua potabile, per l’agricoltura e per la produzione di energia idroelettrica.
– Lago: I laghi possono avere molte funzioni diverse, tra cui fornire habitat per la vita acquatica, svolgere un ruolo nel ciclo dell’acqua e fornire opportunità ricreative come la pesca e il nuoto. Possono anche essere utilizzati per l’approvvigionamento idrico e la regolazione dei fiumi.

In sintesi, la principale differenza tra un fiume e un lago è che il fiume è un flusso d’acqua in movimento continuo, mentre il lago è un bacino d’acqua dolce relativamente immobile. Entrambi hanno un ruolo importante nell’ecosistema e nell’uso umano delle risorse idriche.
Flora dei Fiumi: Piante che Abitano gli Argini
I fiumi sono la casa di diverse specie di piante, molte delle quali sono adattate per sopravvivere in ambienti acquatici. Alcune di queste piante sono:

Piante galleggianti: Come le ninfee, che galleggiano sulla superficie dell’acqua e hanno lunghe radici che si immergono nell’acqua.

Piante radicate: Queste piante sono ancorate al fondo del fiume e comprendono specie come il giunco e la canna.

Piante di argine: Queste piante crescono lungo le rive del fiume e aiutano a prevenire l’erosione. Un esempio comune è il salice.

Fauna dei Fiumi: Animali che Ne Abitano le Acque e le Rive
Il fiume non è solo una fonte d’acqua, ma è anche un habitat per una vasta gamma di animali. Alcuni degli animali che si possono trovare in un fiume sono:

Pesci: Come le trote, i barbi e i lucci. Essi sono adattati per vivere in acqua corrente e hanno speciali adattamenti come pinne forti per nuotare controcorrente.

Anfibi: Come le rane e i tritoni. Spesso si riproducono in acqua ma vivono sia in ambienti acquatici che terrestri.

Uccelli: Molti uccelli, come gli aironi e i martin pescatori, si nutrono di pesci e altri piccoli animali che vivono nel fiume.

Mammiferi: Animali come il castoro e la lontra vivono e si nutrono nei fiumi, costruendo case lungo le rive e pescando nelle acque.

L’Importanza dei Fiumi nell’Ecosistema
I fiumi sono vitali per l’ecosistema terrestre. Essi forniscono acqua per bere, irrigazione e produzione di energia attraverso centrali idroelettriche. La flora e la fauna dei fiumi contribuiscono anche all’equilibrio dell’ecosistema, fornendo cibo e habitat ad altre specie.

Potete scaricare e stampare gratuitamente in formato PDF la “Verifica sul Fiume – Geografia per Scuola Primaria“, basta cliccare sul pulsante ‘Download‘:

In questo articolo trovate alcune Schede di Verifica di Geografia per la Scuola Primaria (classe quarta), in particolare Schede di Verifica sul Fiume. Oltre alla verifica orale potete proporre anche una verifica scritta come quella in allegato all’articolo dove trovate cinque domande a risposta aperta: i bambini dovranno formulare la risposta cercando di riassumere in poche righe il concetto.
Attraverso alcune domande potrete verificare il livello di conoscenza dei vostri alunni sul fiume. Potete domandare ai bambini Che cosa è un fiume?, Quali sono gli elementi di un fiume?, Che differenza c’è tra fiume e lago?, Quale fauna e quale flora troviamo nel fiume?. Queste sono alcune delle domande che trovate anche nella Scheda di Verifica di Geografia in allegato.

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