Keiko Yoshimura, 108 rintocchi
Keiko Yoshimura, il Giappone di Capodanno
di Antonio Stanca
Per conto di Mondadori Media ha preso l’avvio la pubblicazione settimanale di una nuova serie di autori giapponesi. S’intitola “Giappone d’autore” e si compone di ventisei romanzi che compariranno allegati a TV Sorrisi e Canzoni o a la Repubblica. La prima uscita, il romanzo 108 rintocchi della giovanissima scrittrice Keiko Yoshimura, è avvenuta di recente. Nata a Tokyo nel 1999, la Yoshimura ha venticinque anni ed è alla sua prima opera. Ad avviarla verso di essa è stata la famosa scrittrice italiana Laura Imai Messina che in Giappone vive dopo che si è laureata in Lettere alla “Sapienza” di Roma e in Giappone è assurta ad una notorietà estesa a molti ambiti. Ha incoraggiato, consigliato la Yoshimura e le ha fatto compiere un’impresa così importante come la stesura del primo romanzo. La prima edizione italiana è avvenuta l’anno scorso presso Mondadori Libri. Questa è la seconda ed è stata tradotta dalla Messina. Ad una favola assomiglia l’opera sia perché alla fine e inaspettatamente il bene migliore viene a vincere sul male peggiore sia perché remoti sono i luoghi dove si svolge la vicenda. Si sta sulla più piccola isola dell’arcipelago giapponese di Izu, nella parte meridionale dell’Oceano Pacifico, a molti chilometri da Tokyo. Tra una costa che scende a picco su un mare spesso agitato, pericoloso e una terra coperta quasi completamente da boschi di camelie, si trova una striscia di case dove abitano poche persone, gli anziani rimasti dopo che i giovani se ne sono andati sulla terraferma in cerca di fortuna. Difficili, lenti sono i collegamenti, i mezzi di trasporto, gli scambi con questa. Mancano molte cose sull’isola, quasi nessun locale, nessun servizio pubblico oltre a quello offerto dai luoghi sacri, nessun sistema di protezione dalla furia delle onde, dei venti, degli uragani. L’unica occupazione era stata quella offerta dalla produzione dell’olio di camelia quando non era ancora meccanizzata. Torrido è il luogo durante l’estate, gelato d’inverno, spazzato dai venti, dalle piogge. La scuola arriva fino alla terza media e per continuarla o per lavorare bisogna spostarsi in città. I pochi abitanti rimasti si conoscono tutti e tra loro c’è uno spirito di partecipazione, di comunicazione che li porta a ritrovarsi, a parlare dei vecchi tempi, a sperare di rivedere i figli, che ormai vivono lontano, almeno durante il periodo estivo o nelle festività natalizie.
Nei tre giorni che precedono il Capodanno si svolge il romanzo. Protagonista è Sohara Mamoru che, dopo aver tentato anche lui di fare fortuna a Tokyo quando era giovanissimo, era rientrato nell’isola ed aveva ripreso il suo ruolo di tuttofare. Era sempre a disposizione degli altri per qualunque incombenza, per la riparazione di qualunque oggetto, di qualunque parte della casa, dai pavimenti ai tetti. Riusciva sempre ad aggiustare quanto si rompeva, si guastava. Era cresciuto nella convinzione di dover recuperare, salvare e non sostituire, cambiare quello che il tempo, le circostanze danneggiavano. Non solo per i problemi privati ma anche per quelli pubblici, strade, illuminazione, prestava la sua opera. Tutti lo conoscevano, tutti lo chiamavano a qualunque ora, in qualunque giorno, tutti gli volevano bene.
Era nato da una donna che era stata abbandonata dal suo uomo, aveva avuto una vita difficile che, però, non aveva guastato quella inclinazione a fare del bene, a fare contenti gli altri, a vivere più per loro che per sé stesso. Era stato così da bambino, quando aiutava la madre parrucchiera, lo era ancora adesso che aveva sessantadue anni, una moglie, Yoko, e una figlia, Tōka, che si era trasferita a Firenze per motivi di studio. Per lei Sohara aveva pensato di impegnare quanto era riuscito a guadagnare, a risparmiare. Voleva assicurare a Tōka una vita diversa, migliore, più sicura, più completa. Aveva, però, momentaneamente prestato i suoi risparmi ad un vecchio compagno di scuola, Yamada, nonostante conoscesse la sua cattiva condotta e fosse considerato un irresponsabile, un pericolo per sé e per gli altri. Ora Yamada era a Tokyo tra tanti debiti, gli aveva chiesto quel denaro con la promessa di restituirlo ma poi non ci era riuscito e glielo aveva fatto sapere tramite una lettera giunta proprio in quei giorni che precedevano il Capodanno. Grave era stato lo sconforto nel quale Sohara era precipitato, la disperazione che lo aveva assalito: quella notizia significava dover rinunciare a quanto aveva pensato di poter assicurare alla figlia, a quanto avrebbe potuto utilizzare per la vecchiaia sua e della moglie. In quei giorni nelle case, per le strade fervevano i preparativi, di vivande, di dolci, si esponevano decorazioni, luci di ogni colore, e lui, che l’ultima notte del vecchio anno avrebbe dovuto battere i centotto colpi sul tamburo nel Santuario pieno di gente mentre le campane della chiesa scandivano altrettanti rintocchi, era fuggito lontano, tra i monti perché niente, nessuno gli interessava, con nessuno voleva parlare, finito, sconfitto si sentiva in ogni pensiero, in ogni azione. Lui che aveva fatto solo bene era ora la vittima di tanto male: non riusciva a spiegarsi come potesse succedere, come non fosse possibile risolvere il proprio problema per chi tanti, tutti li aveva risolti. Non trovava pace, non c’era consolazione. Era un disastro: alla figlia, che per la festa al Santuario nella notte di Capodanno stava arrivando su una nave che tardava a causa delle cattive condizioni del mare, avrebbe dovuto dire che non poteva più studiare, che non aveva più i soldi necessari per lei, che li aveva persi e per sempre!
Quando, però, tutto sembrava irrimediabilmente finito sarebbe arrivata, quasi un miracolo, la soluzione del problema: su sollecitazione di un suo vecchio insegnante della scuola elementare la piccola comunità dell’isola, riunita quella notte nel Santuario, accetterà di partecipare, ogni famiglia, ogni persona con un proprio contributo, alla formazione di una certa somma da offrire a Sohara perché possa rifarsi di quanto aveva perso e continuare nei suoi propositi. Glielo fecero sapere e lui, insieme alla moglie e alla figlia finalmente arrivata, si sentiranno inseriti nel clima generale di festa che sempre era stato di quella notte sull’isola e dal quale poco prima si erano visti esclusi.
Una storia lunga, complessa, molto articolata, molto ben costruita, è quella che la Yoshimura espone nel romanzo. E per essere il suo primo non si può che rimanere ammirati non solo per i contenuti che permettono di venire a conoscenza di un mondo così lontano, così diverso negli usi, nei costumi, così carico di antica saggezza, ma anche per la forma espressiva tanto scorrevole, tanto chiara da giungere con facilità, da coinvolgere, affascinare come succede con le favole.
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