Han Kang, Convalescenza
Han Kang, in tempo di Nobel
di Antonio Stanca
Anche Convalescenza, che contiene due racconti del recente Premio Nobel per la Letteratura, la scrittrice coreana Han Kang, è stato ristampato da Adelphi per l’occasione. L’edizione originale risale al 2013, la prima edizione Adelphi al 2019. La traduzione è di Milena Zemira Ciccimarra. Molte altre opere della Han ha pubblicato e ristampato Adelphi.
Originaria della Corea del Sud, qui la scrittrice è nata nel 1970. Quando aveva venti anni si è trasferita con la famiglia a Seul dove ha studiato e, poco dopo, ha esordito come poetessa. Ha continuato a scrivere e dal 1994 sono cominciate quelle narrazioni destinate ad essere rielaborate, a diventare romanzi o a rimanere racconti, novelle. Molti riconoscimenti ha ottenuto prima del Nobel. Anche saggista è stata ma la narrativa è risultata la sua attività preferita, quella che ha creduto più idonea a dire dei problemi dell’anima, dei travagli dello spirito, ad indagare tra i pensieri, i sentimenti più remoti, più complicati, più oscuri. Famosi sono diventati i suoi romanzi perché capaci di rendere possibile, far vedere, far esistere quanto non c’è, non si vede essendo solo pensiero, aspirazione, sogno. Il motivo che ricorre nelle sue opere narrative sta nel bisogno di tanti personaggi di evadere, alienarsi da una vita diventata carica di vincoli, liberarsi dai suoi obblighi e cercare un’altra più semplice, più facile, meno restrittiva, meno ossessiva. Ad accedere ad un’esistenza diversa dalla solita aspirano quei personaggi, a cambiare stato, rinunciare a quello proprio per un altro che richieda meno impegni, meno doveri, che permetta un’esistenza fatta di elementi naturali quali l’aria, la luce, il vento, l’acqua, un’esistenza vegetale, simile a quella delle piante, degli alberi.
Il rifiuto di questa vita, la ricerca di un’altra completamente diversa sono anche i motivi che compaiono nei racconti di Convalescenza. In entrambi sono due donne a nutrire queste aspirazioni, nel primo si tratta di una ragazza, nel secondo di una donna matura, sposata, e più completa, più articolata è la narrazione della sua vicenda. Da questo racconto, Il frutto della mia donna, comparso la prima volta da solo nel 1997, sarebbe venuto nel 2007 il romanzo La vegetariana dove, appunto, protagonista è una donna che sceglie di diventare una pianta, di vivere come una pianta, di non curarsi dei pericoli che corre rifiutando quanto, alimentazione, modi di pensare, di fare e altro, aveva sempre fatto parte della vita nella forma solita. Aveva voluto andare oltre i limiti del possibile, del consentito, accedere ad una condizione assurda. Ne avrebbe subito le conseguenze, sarebbe stata punita con la malattia, la morte per aver osato tanto. Così era successo pure con la donna protagonista de Il frutto della mia donna. Il senso della misura, della regola sarebbe tornato a vincere nelle due opere della Han, sarebbe tornato a correggere quanto di assurdo si stava verificando. Sarà così anche altre volte, in altre opere. È come se la scrittrice giungesse a rifiutare, a punire quella condotta, quella vita che aveva fatto scegliere ai suoi personaggi, come se non sapesse da che parte farli stare ed in effetti è questa la posizione che intende rappresentare: vuole essere tanto vicina, vuole tanto aderire, seguirli, assecondarli da identificarsi con loro, da accettare di contraddirsi come loro.
Di quell’instabilità che ai tempi moderni è sopravvenuta nella vita, nei pensieri, nelle azioni, che ha sconvolto l’ordine costituito vuole scrivere la Han e il modo migliore per farlo le è sembrato una scrittura che ne fosse lo specchio fedele.
Continua la lettura su: https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=174762 Autore del post: EdScuola Fonte: http://www.edscuola.it/