Raffinato ma capiente: il vaso da zenzero nei dipinti

Di questo curioso vaso panciuto  mi sono accorta osservando una natura morta di Paul Cézanne del 1895 intitolata Pot de gingembre (ginger jar in inglese), cioè “vaso da zenzero“.

In effetti non era la prima volta che lo vedevo: Cézanne lo ha inserito in decine di dipinti, probabilmente per la sua forma molto semplice assimilabile a un solido geometrico (era lui quello che intendeva «trattare la natura secondo il cilindro, la sfera e il cono»). Eccolo in una Natura morta con mele del 1893-1894, avvolto da una reticella dotata di manici.

Non conoscendo bene quest’oggetto, ma essendo un’appassionata di design dei contenitori (in passato ho scritto dell’aryballos, del rhyton, del calice römer e del cassone nuziale) ho iniziato a documentarmi, scoprendo una storia affascinante e un repertorio vastissimo.

Ma andiamo con ordine: cos’è esattamente il vaso da zenzero? E quando compare per la prima volta in pittura?

William Henry Hunt, Natura morta con vaso da zenzero, 1825, acquerello su carta, cm 19×25, Yale Center for British Art, Londra

Secondo gli storici nacque in Cina durante la dinastia Tang (618-907) come contenitore per le spezie. La sua forma tipica è globulare, con un collo brevissimo e una larga bocca spesso dotata di coperchio. Il vaso è generalmente in porcellana, materiale perfezionato nella stessa epoca simile alla terracotta ma basato su un impasto di caolino e quarzo. Il risultato è un prodotto particolarmente duro ma sottile, dalla superficie liscia e brillante.

Con la dinastia Ming (1368-1644) i vasi da zenzero assunsero una colorazione prevalentemente bianca e blu cobalto e decori a forma di piante, animali o paesaggi. Non mancano anche vasi di colore verde – generalmente esagonali – o decori policromatici.

Questi vasi, che intanto in Cina erano diventati oggetti preziosi di grande valore simbolico (ma ve n’erano anche versioni povere per il trasporto), sbarcarono in Europa nella seconda metà del XVII secolo con l’intensificarsi degli scambi commerciali di tè con l’Estremo Oriente. Nella stessa epoca la conoscenza della cultura cinese venne diffusa in Europa dal gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) attraverso il suo trattato La Chine illustrée de plusieurs monuments tant sacrés que profanes.
Naturalmente si tratta di descrizioni piuttosto fantasiose perché il monaco non si recò mai in Cina ma utilizzò i materiali inviati dai missionari. Non solo: tutto il suo lavoro era teso a dimostrare che la civiltà cinese discendesse da quella egizia (per fare questo paragonò i geroglifici ai segni della scrittura cinese) e che in origine fossero cristiani (questo giustificava le missioni gesuitiche che avrebbero dovuto far “riscoprire” ai cinesi le loro radici).

Al di là di questi aspetti, la moda delle cineserie impazzò presto in tutta Europa. Avere una stanza “alla cinese” divenne quasi un obbligo in ogni palazzo reale e ben presto si tentò di imitare sia la porcellana sia le sue decorazioni (la famosa ceramica di Delft blu e bianca nasce come tentativo di copiare i vasi provenienti dalla Cina).

Stanza della porcellana, 1763-1764, Palazzo di Schönbrunn, Vienna

È in questo periodo, tra Seicento e Settecento, che il vaso da zenzero compare nei dipinti olandesi (non è un caso: gli olandesi erano grandi navigatori e commercianti) assieme ad altri prodotti costosi come calici veneziani, bicchieri römer, tazze ricavate da conchiglie nautilus, vassoi in argento, tappeti orientali nonché agrumi del Mediterraneo.
Tuttavia non si tratta solo di prove di virtuosismo o di celebrazioni della ricchezza dei committenti: queste tele sono sempre vanitas, ammonimenti visivi che ci ricordano la brevità della vita e dei suoi piaceri, come suggerito nella tela seguente da un piccolo orologio aperto sul tavolo.

Willem Kalf, Natura morta con vaso in porcellana cinese, 1669, olio su tela, cm 78×66, Indianapolis Museum of Art

Juriaen van Streeck, Natura morta con tazza di nautilus e vaso di zenzero, 1660-1687, olio su tela, cm 49×41, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Appartengono a questa epoca e alla stessa area geografica alcune curiose riproduzioni in argento del vaso da zenzero cinese, con decorazioni riprese dal repertorio classico e dimensioni decisamente maggiorate. Il vaso in foto è alto 42 cm mentre gli originali cinesi vanno dai 18 ai 26 cm di altezza.

Dopo questo primo momento di gloria il vaso da zenzero ricompare nei dipinti nell’Ottocento, in un momento in cui inizia a diventare un oggetto più a buon mercato ampiamente diffuso nelle case europee.
Eccolo in un quadro del 1869 dell’olandese Maria Vos (1824-1906), in cui è raffigurato un angolo di un negozio di antiquariato coi suoi ricchi decori blu che risaltano sui toni caldi dell’insieme.

Qui invece è stato dipinto nel 1876 dallo statunitense William Michael Harnett (1848-1892) con la stessa rete impagliata usata per il trasporto che abbiamo visto all’inizio nelle opere di Cézanne.

La cordicella è presente anche nella tela del 1890 del pittore americano di trompe l’oeil John Frederick Peto (1854-1907).

Il britannico Henry Stacy Marks (1829-1898) ha scelto invece di rappresentare il vaso da zenzero nelle mani dell’antiquario Frederick Litchfield, un fine intenditore di ceramiche cinesi bianche e blu, così di moda tra il 1870 e il 1890. Qui sta esaminando un vaso dell’epoca Kangxi (1662-1722).

Accanto al collezionismo di pezzi originali esisteva un’ampia produzione inglese, tedesca e statunitense che riprendeva la forma tondeggiante del vaso da zenzero applicando sulla superficie colori e decori di tradizione europea. Ne sono stati realizzati anche esemplari con motivi vegetali in rilievo, in stile Art Nouveau, e con finiture iridescenti a lustro. Ma i pittori preferivano sempre gli originali!

Il vaso da zenzero era un oggetto talmente famoso che alcuni artisti erano anche grandi collezionisti. Tra questi lo statunitense James Abbott McNeill Whistler (1834-1903), proprietario di una collezione di oltre duecento pezzi (non solo barattoli da zenzero…), di cui alcuni visibili in questo Autoritratto nello studio del 1865.

Whistler è anche autore di un disegno in stile giapponese del 1878 che raffigura il tanto amato vaso cinese…

… nonché dell’allestimento tra il 1876 e il 1877 della Peacock Room (stanza del pavone) per le porcellane cinesi del magnate britannico della navigazione Frederick Leyland, nella sua casa di Londra (oggi la stanza è esposta allo Smithsonian di Washington).

Qualche anno dopo, esattamente nel 1885, un bel vaso da zenzero esagonale, di colore turchese, compare in un’insolita natura morta di Vincent van Gogh, circondato da alcune mele e usato come vaso da fiori.

Quella di riempirlo di fiori è una scelta abbastanza frequente, come dimostrano tanti dipinti di fine Ottocento/inizio Novecento.

Floris Arntzenius, Nasturzi in vaso da zenzero, 1890-1925

George Hendrik Breitner, Vaso di fiori, 1900-1923

Frans Oerder, Anemoni in vaso da zenzero, 1910-1944

Un vaso da zenzero con fiori si trova anche in un suggestivo dipinto del 1916 dell’olandese Jan Mankes (1889-1920)…

… e in tanti quadri di Henry Matisse, come questa Natura morta con Pensieri di Pascal del 1924…

… e questa Natura morta con limoni del 1943.

Insomma, questo vasetto così esotico non smise di esercitare il suo fascino per oltre trecento anni! Ne restò incantato persino l’ideatore del Neoplasticismo Piet Mondian (guarda caso un olandese).
Nel 1901, quando non aveva ancora intrapreso il suo percorso verso l’astrazione, ne dipinse uno esagonale, di colore turchese, assieme a cinque mele e un piatto sopra un piano ricoperto da un drappo. È chiaro che, come in Cézanne, l’intento non è la creazione di una vanitas bensì quello della ricerca geometrica e compositiva.

Il vaso da zenzero ritorna dieci anni dopo, quando Mondrian conobbe le opere cubiste di Pablo Picasso e Georges Braque, come oggetto su cui sperimentare nuovi linguaggi. Nel 1911 dipinge Natura morta con vaso da zenzero I, una vista del tavolo da lavoro che ricorda ancora le nature morte della tradizione se non fosse per il trattamento sintetico degli oggetti.

Dell’anno seguente è Natura morta con vaso da zenzero II, una composizione di gusto cubista nella quale l’unico tocco di colore è il celeste del contenitore cinese.

Sappiamo come proseguirà il suo percorso: al posto di vasi e tavoli solo linee verticali e linee orizzontali; al posto delle nuance ocra e turchesi solo toni di grigio e piani rossi, gialli e blu.

Il vaso di zenzero stava per completare il suo ciclo vitale nella pittura, ma rimane nelle opere conservate nei musei, a testimoniare il contatto creativo tra cultura materiale e riflessione concettuale e le epoche passate di fertili scambi estetici tra oriente e occidente.

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Un baule d’artista: il cassone nuziale

Come sapete, mi piace tantissimo indugiare tra i particolari dei dipinti, alla ricerca di oggetti marginali che però possono raccontare un’intera epoca anche più del soggetto principale dell’opera d’arte. Ho indagato su trappole per topi, zoccoli infangati, tappeti alle finestre, tulipani scomparsi, casette per piccioni e un’infinità di altri minuscoli dettagli sparsi nei dipinti di ogni epoca.

Ma ce n’è uno che mi ha sempre stuzzicata e che non ho mai approfondito per bene. Si trova sul fondo della Venere di Urbino, il celebre dipinto di Tiziano del 1534. È un baule decorato, più precisamente un cassone nuziale, dal quale un’ancella sta tirando fuori degli abiti.

Un contenitore simile appare in una Natività di Maria di scuola tedesca del 1460 che faceva parte di una pala d’altare. Nel pannello si può osservare una donna che apre il coperchio della cassa per estrarre un panno bianco da porgere al gruppo che sta preparando la tinozza per lavare la neonata.

Tuttavia questo non è esattamente ciò che viene chiamato “cassone” (termine usato in italiano anche nelle altre lingue), ma un semplice baule in legno, squadrato e con poche decorazioni.
Il cassone, invece, era un tipico arredo rinascimentale italiano (chiamato all’epoca “forziere”) generalmente realizzato in occasione delle nozze e usato per riporre gli abiti. La sua particolarità risiedeva nell’avere il pannello frontale e i due laterali dipinti con le scene più svariate: battaglie, episodi mitologici o immagini tratte dalla letteratura, dal significato moralizzante.
In questo splendido pezzo, dipinto da Apollonio di Giovanni di Tommaso nella seconda metà del XV secolo e alto 1 metro, si può osservare la Battaglia di Trebisonda, un episodio storico dell’epoca a cui risale il manufatto.

In genere il cassone conteneva la dote della sposa e il suo corredo ma a volte veniva realizzato in due esemplari gemelli, uno per ciascuno degli sposi. In questo caso, sotto il coperchio ci poteva essere un dipinto più “intimo” e beneaugurale, per esempio un nudo maschile e uno femminile (che potevano essere la coppia di Elena e Paride o di Venere e Amore), come in questi due esemplari conservati allo Statens Museun for Kunst di Copenhagen dipinti dallo Scheggia (cioè Giovanni di Ser Giovanni, fratello di Masaccio) nel 1460.

Il cassone veniva portato in processione nel corteo nuziale dalla casa paterna della sposa a quella del marito in modo da annunciare pubblicamente le nozze ed esibire la ricchezza delle due famiglie e quindi il loro potere.Questa operazione è raffigurata proprio su un cassone, sempre dello Scheggia, con la storia di Traiano e la vedova (episodio tratto dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze), nel quale si vede un uomo che sostiene un pesante cassone, probabilmente aiutato da un alto dietro di lui, nascosto dal pilastro.

Il pannello dipinto non era tuttavia l’unico tipo di decorazione. Alcuni cassoni presentavano dei ricchi rilievi “a pastiglia“, realizzati cioè con un impasto a base di gesso applicato per strati e poi dipinto a colori o dorato. Questo esemplare lucchese del 1480-1495 presenta sul fronte una scena tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, quella in cui Cerere, sconvolta per il rapimento della figlia, percorre la terra cercandola a bordo del suo cocchio trainato da draghi.

Un’altra tecnica usata per decorare la parte frontale del cassone era la tarsia lignea. In questo caso il pannello era generalmente diviso in riquadri più piccoli e le scene erano spesso vedute urbane in prospettiva, come si può osservare in questi cassoni della seconda metà del Quattrocento.

Ma il cassone più prestigioso restava quello con i pannelli dipinti, anche perché vi si dedicavano spesso pittori di prim’ordine come Paolo Uccello, Filippino Lippi, Sandro Botticelli e Andrea Mantegna.A quest’ultimo sono attribuiti i cassoni di Paola Gonzaga, realizzati per il matrimonio con il conte Leonhard von Görz nel 1478. È molto probabile che Mantegna non sia stato l’esecutore fisico dei decori ma che, in quanto artista di corte, ne abbia progettato le pitture e i rilievi.

Il particolare formato del pannello frontale, esteso in orizzontale, consentiva di sviluppare narrazioni particolarmente complesse, con decine di personaggi e sfondi architettonici o naturali. Un tipico esempio è la tavola qui sotto, con scene di torneo, del 1455-1465.

Nei secoli seguenti queste preziose tavole, staccate dal contenitore, vennero rivendute a musei e collezionisti ma continuano a chiamarsi “cassone“, come il baule che li ospitava. Ad ogni modo rimangono abbastanza riconoscibili per via delle proporzioni estremamente allungate (anche se lo stesso formato era usato per le spalliere dei letti). 

Di questo genere Giorgio Vasari scrisse: “anche i pittori più eccellenti si sono esercitati in tali lavori, senza vergognarsi, come molti lo sarebbero oggi, di dipingere e dorare tali cose”, lasciando intendere che la pittura dei cassoni fosse considerata un genere minore che lui però intendeva difendere.
Tra i temi più frequenti nei cassoni ci sono i racconti tratti dal Decameron di Boccaccio, come in questo esemplare di inizio Quattrocento, opera di Giovanni Toscani, in cui è ripresa la storia di Ginevra, Bernabò di Genova e Ambrogiuolo di Piacenza. In questo caso il formato orizzontale consentiva di raffigurare diversi momenti della narrazione.

Questo racconto, a sua volta, vede proprio un cassone al centro dell’intrigo: quello usato da Ambrogiuolo per introdursi furtivamente a casa di Ginevra, moglie di Bernabò, e tentare di sedurla per vincere la scommessa fatta con il marito.

Di questi pannelli ne sono arrivati a noi centinaia, oggi sparsi nei musei di tutto il mondo e nelle collezioni private, ma questo non significa che fossero alla portata di tutti. Si trattava, come gran parte dell’arte del passato, di manufatti realizzati per un’élite nei quali la ricerca di bellezza si sovrapponeva alla propaganda politica e all’ostentazione di ricchezza.L’arte era un lusso per pochi. E andava a braccetto con il potere. 

Emergenza Coronavirus COVID-19: notizie e provvedimenti

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Ordinanza 29 maggio 2021 Ai fini del contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2, le attività economiche e sociali devono svolgersi nel rispetto delle “Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali”, elaborate dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome, come definitivamente integrate e approvate dal Comitato tecnico scientifico, che costituiscono parte integrante della presente ordinanza

Ordinanza 21 maggio 2021 Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Ordinanza 21 maggio 2021 Linee guida per la gestione in sicurezza di attivita’ educative non formali e informali, e ricreative, volte al benessere dei minori durante l’emergenza COVID-19.

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