Una matematica da ripensare

Una matematica da ripensare
Ripensare l’Apprendimento della Matematica: Verso un Curricolo Verticale Sostenibile e Funzionale all’Università
di Bruno Lorenzo Castrovinci
Nelle aule scolastiche, lo studio della matematica è spesso vissuto come una scalata ardua e ripetitiva, un percorso che spaventa più che incuriosire, che frena più che spingere verso nuove mete. Il suo insegnamento si concentra frequentemente sulla riproduzione di algoritmi e sull’applicazione di procedure standardizzate, più che sull’intuizione, sull’esplorazione o sulla costruzione di significati. Questo approccio, incentrato sulla memorizzazione, sulla ripetizione e sul tecnicismo, contribuisce a creare distanza emotiva e cognitiva dagli studenti, che spesso faticano a trovare un senso pratico e culturale nel loro apprendimento della matematica.
Eppure, nella società odierna – dominata dai dati, dagli algoritmi, dall’automazione e dalla modellizzazione – la matematica è più che mai al centro della vita professionale e sociale. Si pensi all’uso pervasivo dell’intelligenza artificiale, alla necessità di interpretare dati statistici, alla diffusione di strumenti di simulazione nei più diversi ambiti. La matematica, oggi, è una competenza-chiave per decodificare il mondo, ma qualcosa non torna.
Troppi studenti, al termine del ciclo scolastico, giungono all’università impreparati ad affrontare i corsi di Analisi Matematica 1 e 2, che rappresentano non solo un banco di prova per le facoltà scientifiche (matematica, fisica, ingegneria, informatica), ma anche uno dei principali motivi di abbandono o di rallentamento degli studi universitari. Il problema non risiede soltanto nella difficoltà intrinseca della disciplina, ma anche – e forse soprattutto – nella discontinuità tra il curricolo scolastico e le richieste del mondo accademico. Ad esempio, lo studio delle funzioni rappresenta uno spartiacque decisivo tra il “fare conti” e il “comprendere concetti”. Senza una solida capacità di rappresentare, interpretare e manipolare funzioni, lo studente si trova disarmato di fronte alla complessità dell’analisi.
E forse, è proprio da lì che bisogna ripartire: da una riflessione seria e sistemica su come il curricolo verticale – da Bruner in poi – debba essere aggiornato alla luce delle nuove esigenze formative. Una didattica più metacognitiva, più visiva, più orientata alla comprensione concettuale e all’applicazione, può rappresentare la chiave per avvicinare i giovani alla matematica come linguaggio del reale, e non come esercizio astratto e sterile.
Lo scoglio delle funzioni: nodo critico della transizione scuola-università
Perché così tanti studenti, anche brillanti, vanno in crisi davanti a un esercizio su una funzione? La risposta è complessa, ma affonda le sue radici in un problema strutturale e culturale del nostro curricolo scolastico. Il concetto di funzione, che dovrebbe essere introdotto come una chiave di lettura del mondo e delle sue relazioni variabili, viene spesso confinato a un “capitolo” da studiare in fretta, senza il tempo necessario per sedimentare realmente nella mente degli studenti.
Nella maggior parte dei percorsi liceali e tecnici, lo studio delle funzioni avviene in modo frammentato, disarticolato e spesso tardivo, quando gli studenti non hanno ancora costruito una solida base concettuale o, al contrario, hanno già maturato un senso di inadeguatezza nei confronti della matematica. L’approccio scolastico tende a separare l’aspetto simbolico da quello grafico e numerico, privando gli studenti di un contesto di senso in cui la funzione possa essere compresa nella sua triplice dimensione: come regola (algebrica), come trasformazione (grafica) e come relazione (numerica).
Gli studenti imparano a “risolvere esercizi” secondo schemi fissi, ma non a leggere il significato dietro un’espressione matematica. Viene a mancare quella capacità di “pensiero funzionale” che permette di analizzare l’andamento di un fenomeno, fare previsioni, identificare tendenze, ragionare su crescita, decrescita, massimi, minimi, intervalli di definizione.
Il concetto stesso di funzione viene spesso introdotto in modo eccessivamente astratto, con definizioni formali che presuppongono già una maturità logica elevata. Questo rende difficile la costruzione di un’intuizione solida e condivisa. La mancanza di attività esplorative, di esperienze significative, di collegamenti interdisciplinari, impedisce allo studente di fare propria la funzione come strumento mentale.
Le conseguenze di queste lacune si manifestano drammaticamente all’Università, dove il corso di Analisi 1 – vero banco di prova per molte facoltà scientifiche – richiede padronanza, elasticità e sicurezza nel maneggiare concetti come limite, continuità, derivabilità, dominio, studio del segno, comportamento asintotico, rappresentazione grafica. Tutti aspetti che ruotano attorno al concetto di funzione e che dovrebbero essere già ampiamente interiorizzati e automatizzati al termine della scuola secondaria.
Purtroppo, per molti studenti, la funzione resta un’entità opaca, meccanica, da applicare senza comprenderne il senso profondo. Diventa un ostacolo piuttosto che uno strumento di pensiero, un codice da decifrare piuttosto che un linguaggio per interpretare il mondo.
Pensare per immagini: la forza cognitiva del grafico
Un passaggio fondamentale per superare questo limite consiste nel rafforzare l’abilità metacognitiva legata alla rappresentazione grafica delle funzioni. L’immagine grafica non è solo una traduzione visiva di un’espressione analitica, ma uno strumento potente per costruire significato, facilitare l’intuizione e rafforzare l’apprendimento concettuale. Essa consente agli studenti di vedere la matematica, di anticipare comportamenti, di congetturare e validare ipotesi, di collegare operazioni simboliche a fenomeni osservabili. La visione di un grafico può, infatti, attivare strategie cognitive più profonde rispetto alla sola manipolazione algebrica, stimolando la riflessione e il confronto tra forme diverse dello stesso concetto.
L’automatismo nella rappresentazione grafica – ossia la capacità di disegnare una funzione partendo da una sua espressione algebrica, individuando dominio, asintoti, zeri, crescenza, decrescenza e concavità – non è un lusso, ma una condizione necessaria per affrontare con sicurezza e flessibilità l’analisi matematica. Tale competenza diventa un ponte tra la comprensione visiva e la formalizzazione astratta, e costituisce una vera e propria strategia euristica per il problem solving.
Questo automatismo non si costruisce per caso, ma è frutto di un allenamento sistematico, radicato in un curricolo che valorizza il pensiero visivo, l’esplorazione attiva e la varietà delle rappresentazioni. L’utilizzo regolare di strumenti come GeoGebra, Desmos e simulatori dinamici consente di rafforzare la visualizzazione e di rendere l’apprendimento interattivo e riflessivo. Inoltre, l’integrazione tra grafico e contesto verbale – come nel caso di problemi tratti dalla realtà o di scenari interdisciplinari – aiuta lo studente a costruire connessioni profonde e significative. In quest’ottica, il grafico non è un accessorio, ma un vero strumento di pensiero.
Dalla procedura alla comprensione: oltre il meccanicismo
Come sottolinea Matthew Glanville, in un articolo su TES, oggi la scuola tende ad insegnare la matematica in modo procedurale: “Fai questo, poi fai quello, e avrai la risposta”. Ma la matematica non è una catena di operazioni meccaniche. È un linguaggio, un modo di pensare, una forma mentis. Ridurre l’insegnamento alla ripetizione di sequenze standardizzate, senza chiedersi il perché di ogni passaggio, equivale a disinnescare la forza formativa della disciplina. La matematica dovrebbe essere invece un terreno fertile per sviluppare il pensiero critico, la capacità di argomentare, la padronanza dei modelli.
L’approccio costruttivista propone di invertire la logica della didattica: partire da situazioni reali, da problemi autentici, e costruire con gli studenti il senso delle operazioni e dei concetti. Questo approccio è sostenuto anche dalle più recenti ricerche pedagogiche e neuroscientifiche, che dimostrano come l’apprendimento sia più duraturo e significativo quando è ancorato a esperienze concrete e vissute.
In questo senso, le funzioni possono essere introdotte già nella scuola secondaria di primo grado, attraverso attività che le collegano alla vita quotidiana: ad esempio, relazioni tra tempo e distanza, tra costo e quantità, tra temperatura e altitudine. Questi legami concreti possono poi evolvere nella formalizzazione progressiva, sempre supportata da rappresentazioni grafiche e strumenti digitali, che dovrebbero essere padroneggiati già a quella età. Inoltre, possono essere proposte attività di modellizzazione, in cui gli studenti siano chiamati a costruire una funzione a partire da dati reali, stimolando la riflessione sui parametri, sul dominio, sul comportamento del modello.
Un esempio efficace è quello dell’analisi dei consumi di un elettrodomestico in funzione del tempo di utilizzo: un esercizio che permette di passare naturalmente dalla tabella di dati al grafico, fino alla formula analitica. In questo modo, la funzione smette di essere un oggetto astratto per diventare un ponte tra matematica e realtà, tra intuizione e formalizzazione.
Le buone pratiche internazionali: Finlandia e Singapore come modelli
Nei sistemi educativi che ottengono i migliori risultati nella matematica – come Finlandia e Singapore – si lavora molto di più sulla comprensione profonda dei concetti rispetto alla semplice applicazione di regole. In Finlandia, ad esempio, la didattica della funzione è inserita in contesti interdisciplinari e orientati alla realtà: si analizzano dati climatici, economici o demografici, si fanno previsioni, si costruiscono modelli e si usano software dinamici come GeoGebra per esplorare, in tempo reale, il comportamento delle curve. L’approccio è collaborativo, laboratoriale e integrato con le altre discipline: l’educazione matematica dialoga con la geografia, la fisica, la biologia, persino con l’arte e la musica, mostrando come il concetto di funzione sia un linguaggio universale.
Singapore, invece, fa ampio uso del modello CPA (Concrete–Pictorial–Abstract): si parte da oggetti e situazioni concrete, si passa a rappresentazioni visive, e solo infine si arriva all’astrazione simbolica. Questo approccio consente di rispettare i tempi cognitivi di ogni studente, favorendo una costruzione solida e multisensoriale della conoscenza. Nei testi scolastici e nelle pratiche didattiche, l’accento è posto sulla varietà delle rappresentazioni e sulla connessione continua tra esperienza e simbolo. I docenti sono formati per porre domande strategiche, stimolare la riflessione e incoraggiare l’autonomia.
Entrambi i sistemi promuovono un apprendimento della funzione che sia al tempo stesso profondo, duraturo e trasferibile. L’automatismo grafico, ad esempio, viene sviluppato attraverso la manipolazione continua e ragionata di funzioni in ambienti dinamici, in cui ogni modifica di parametro genera una trasformazione visiva immediata. Gli studenti non imparano a memoria una regola, ma vedono e comprendono come e perché quella regola funziona. Questo tipo di esperienza li prepara non solo ad affrontare l’analisi matematica con maggiore sicurezza, ma anche a diventare cittadini consapevoli in un mondo dove i numeri sono parte integrante della vita quotidiana.
Ripensare il curricolo verticale: una proposta concreta
Occorre ripensare il Curricolo Verticale Bruneriano, non per demolirlo, ma per aggiornarlo alla luce delle esigenze dell’università e del mondo reale. Il concetto di “spirale dell’apprendimento”, teorizzato da Bruner per indicare un ritorno progressivo e sempre più approfondito sui medesimi concetti, deve essere affiancato da una “spirale della rappresentazione grafica”, che accompagni lo studente sin dai primi anni di scolarizzazione attraverso attività graduali, multisensoriali e cognitive, che favoriscano l’interiorizzazione del concetto di funzione.
Già in terza media si potrebbe rafforzare il concetto di funzione come relazione tra grandezze variabili, partendo da esperienze concrete e visualizzazioni intuitive. Ad esempio, relazioni tra velocità e tempo, o tra quantità acquistata e prezzo totale, possono essere analizzate con tabelle, grafici e piccoli modelli digitali, sviluppando la capacità di passare da una rappresentazione numerica a una grafica e poi a quella algebrica. In prima superiore si potrebbe consolidare la costruzione di grafici per funzioni lineari, quadratiche e a tratti, attraverso attività di problem solving visivo, esercizi con feedback immediato tramite software dinamici e il confronto tra modelli diversi.
In seconda superiore, e ancor di più nel triennio, si dovrebbe potenziare la didattica laboratoriale per lo studio delle funzioni algebriche e trascendenti. Attività basate su simulazioni, su applicazioni scientifiche e sull’uso di dati reali renderebbero il percorso più motivante e coerente con le richieste dell’analisi universitaria. In ogni fase, l’uso della tecnologia (GeoGebra, Desmos, fogli di calcolo, piattaforme interattive) può favorire non solo l’intuizione, ma anche la sperimentazione, la verifica autonoma delle ipotesi, e l’autoregolazione metacognitiva.
Una proposta concreta è l’adozione di rubriche valutative per le competenze grafiche, l’introduzione di task autentici come la progettazione di funzioni modellanti fenomeni reali (climatici, economici, fisici), e la creazione di portfolio digitali in cui lo studente documenta il proprio percorso di apprendimento attraverso mappe concettuali, rappresentazioni multiple, riflessioni scritte e registrazioni orali. Solo in questo modo la spirale bruneriana si trasforma in un reale dispositivo di crescita progressiva del pensiero matematico e grafico.
Didattica della funzione e metacognizione: un legame indissolubile
Comprendere una funzione significa saperla interpretare, manipolare, confrontare con altre, prevederne il comportamento e riflettere sulle implicazioni che ogni trasformazione porta con sé. Tutto questo richiede una riflessione costante sul proprio modo di apprendere, una capacità di decentrarsi e osservare i propri errori, le proprie esitazioni, le proprie strategie. La metacognizione – ossia la consapevolezza delle proprie modalità cognitive, dei punti di forza e delle difficoltà – è fondamentale in questo processo di apprendimento profondo.
Gli studenti devono essere guidati a riflettere sul come affrontano un esercizio, sul perché una rappresentazione grafica li aiuta a costruire significato, su quando è più utile una tabella, un diagramma, un algoritmo. Ma anche su quali passaggi li confondono di più, su quali domande possono porsi per proseguire, su quali strumenti preferiscono per organizzare il proprio pensiero.
Questa consapevolezza va allenata sistematicamente attraverso strategie metacognitive: domande aperte poste dal docente o dagli studenti stessi, feedback formativi e non solo sommativi, discussioni in piccoli gruppi in cui si esplicita il “ragionamento che sta dietro”, attività di peer-tutoring in cui lo studente che spiega rafforza la propria comprensione, e momenti di auto-valutazione scritta e riflessiva.
Inoltre, strumenti come i diari di apprendimento, i quaderni metacognitivi o le registrazioni orali delle fasi risolutive possono diventare preziosi per rendere visibile il pensiero matematico e abituare lo studente a controllare, valutare e regolare i propri processi cognitivi. Così, la funzione non è solo un oggetto matematico, ma diventa il campo di allenamento di una mente che impara a riflettere su di sé e a migliorarsi nel tempo.
Conclusione: preparare alla vita e all’università
La funzione, per la sua natura trasversale, modellizzante e il suo potere descrittivo, è lo snodo decisivo per il successo universitario in tutte le discipline scientifiche, tecnologiche e persino umanistiche, laddove si renda necessario analizzare e interpretare dati, relazioni, dinamiche di sistema. Non è più possibile pensare alla funzione come un semplice contenuto di programma: essa rappresenta una struttura di pensiero, un modo per organizzare la realtà e riconoscerne i pattern.
Un approccio didattico che punti sulla comprensione profonda, sull’uso strategico e consapevole dei grafici, sulla flessibilità delle rappresentazioni e sull’educazione metacognitiva è il passo necessario per superare gli attuali fallimenti del sistema. Una scuola che forma al pensiero funzionale è una scuola che prepara all’università, ma anche alla cittadinanza attiva, all’interpretazione critica dell’informazione, alla gestione consapevole delle scelte quotidiane.
L’analisi matematica non è solo un traguardo accademico, ma uno strumento per comprendere il mondo, per rappresentare il cambiamento, per cogliere relazioni non evidenti tra variabili. È uno strumento per interrogarsi sulla realtà e agire su di essa. Se vogliamo davvero preparare i nostri studenti, non possiamo limitarci a valutare ciò che ricordano o riproducono meccanicamente: dobbiamo formarli a pensare con autonomia, a costruire modelli, a interpretare e a validare. In altre parole, a vivere la matematica, farne esperienza, sentirla come una competenza viva e trasformativa, capace di accompagnarli ben oltre l’aula scolastica.
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