Parigi-Roubaix, il pavè dell’ “inferno del nord” metafora della vita: può trionfare solo chi si allena e chi “studia”

Domani, 13 aprile, si va nell’ “inferno del nord”, più di 250 chilometri in bicicletta, a poco meno di 50 km orari di media, su un tracciato che definire disumano è poco.
E’ la Parigi-Roubaix, la “regina delle classiche”, che ha incoronato campioni leggendari, da Coppi a Van Steenbergen negli anni ’50, da Van Looy a Merckx negli anni ’60, Roger De Vlaeminck negli ’70, Francesco Moser con una storic tripletta (1978,79,80), senza dimenticare le imprese epiche di Johan Museeuw che nel 1998 nel passaggio nella foresta di Arenberg cadde facendo a pezzi un ginocchio (ma vinse poi la corsa nel 2000 e nel 2002).
Fino a 50-60 anni fa per alzare le braccia al cielo in segno di vittoria nel velodromo di Roubaix dove si conclude la corsa “bastavano” (si fa per dire) forza, coraggio e un po’ di buona fortuna.
Ma da un quarto di secolo nel ciclismo sono cambiate
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