Incompatibilità nel pubblico impiego

Incompatibilità nel pubblico impiego: decadenza e profili disciplinari
di Marilena Serranò e Leon Zingales
Disciplina giuridica
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è, come noto, caratterizzato dall’obbligo di esclusività, il quale trova fondamento nell’art. 98 della Costituzione, che dispone “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione“. L’intento del legislatore costituente è stato quello di rafforzare il principio di buon andamento ed imparzialità dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.), sottraendo il dipendente dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altri impieghi. La materia relativa al suddetto obbligo è disciplinata, innanzitutto, dal D.P.R. n. 3 del 1957, in forza del richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, il cui art. 53 comma 1 ha previsto l’estensione della disciplina delle incompatibilità, dettata dagli artt. 60 e seguenti del Testo Unico degli impiegati civili dello Stato, a tutti i dipendenti pubblici. L’ambito di applicazione della disciplina sopra citata ricomprende sia i dipendenti il cui rapporto di lavoro sia stato contrattualizzato, sia quelli rimasti in regime di diritto pubblico.
La stessa norma, poi, ha escluso l’applicabilità delle disposizioni dettate in materia di incompatibilità ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, ai docenti universitari a tempo definito e alle altre categorie di dipendenti pubblici alle quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali, tra cui il personale docente delle istituzioni scolastiche.
Secondo una classificazione di matrice giurisprudenziale, è possibile, in particolare, distinguere tre ipotesi di attività:
1) attività assolutamente incompatibili, ossia le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60);
D.P.R. n. 3 del 1957 Art. 60 (Casi di incompatibilità) L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, ne’ alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente. |
2) attività consentite per cui non è necessaria l’autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6);
D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6 (…) Sono esclusi i compensi e le prestazioni derivanti: a) dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali; c) dalla partecipazione a convegni e seminari; d) da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo; f) da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita. f-bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e di ricerca scientifica. f-ter) dalle prestazioni di lavoro sportivo, fino ((all’importo complessivo)) di 5.000 euro annui, per le quali è sufficiente la comunicazione preventiva. |
3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell’art. 53 del Testo Unico del Pubblico Impiego (i casi possono essere molteplici) (cfr. Cass., Sez. Lav., ord. n. 27420/2020).
Il quadro sopra ricostruito non muta significativamente in ordine alla disciplina giuridica del personale scolastico. Infatti, la regolamentazione dell’incompatibilità posta dagli artt. 60 e ss. del D.P.R. n. 3/1957 trova applicazione, anche al personale docente dipendente dello Stato in forza delle omologhe previsioni di cui all’art. 508 comma 10 del D.lgs. n. 297/1994.
Art.508 D.lgs. n. 297/1994 (Incompatibilità) 10. Il personale di cui al presente titolo non può esercitare attività commerciale, industriale e professionale, né può assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta l’autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione. |
Rispetto alla normale disciplina giuridica prevista per la generalità dei dipendenti pubblici, il comma 15 del medesimo art. 508 del T.U. in materia di istruzione consente, tuttavia, previa autorizzazione, l’esercizio di libere professioni, quando “non siano di pregiudizio all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio”.
Non è soggetto al regime delle incompatibilità il personale in part-time con prestazione lavorativa sino al 50%, fermo restando la permanenza dell’’obbligo di comunicare lo svolgimento dell’eventuale ulteriore attività al dirigente scolastico, affinché si verifichi l’assenza di un conflitto di interessi.
Violazione dell’obbligo di esclusività: differenza tra istituto della decadenza e profilo disciplinare
Le conseguenze della violazione dell’obbligo di esclusività, nell’ipotesi di espletamento di attività incompatibili con il pubblico impiego, sono duplici, rilevando sia sotto il profilo dell’attivazione dell’istituto della decadenza di cui al D.P.R. n. 3/1957, sia sotto il differente profilo disciplinare.
Viene in rilevo, in primo luogo, l’art. 63 del D.P.R. n. 3/1957, il quale stabilisce che “L’impiegato che contravvenga ai divieti posti dagli artt. 60 e 62 viene diffidato dal Ministro o dal direttore generale competente, a cessare dalla situazione di incompatibilità. La circostanza che l’impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l’incompatibilità sia cessata, l’impiegato decade dall’impiego. La decadenza è dichiarata con decreto del Ministro competente, sentito il Consiglio di amministrazione.”. Identica disciplina è stata prevista per il personale docente dall’art. 508 commi 12, 13 e 14 del Dlgs. n. 297/1994.
Art.508 D.lgs. n. 297/1994 (Incompatibilità) 12. Il personale che contravvenga ai divieti posti nel comma 10 viene diffidato dal direttore generale o capo del servizio centrale competente ovvero dal provveditore agli studi a cessare dalla situazione di incompatibilità. 13. L’ottemperanza alla diffida non preclude l’azione disciplinare. 14. Decorsi quindici giorni dalla diffida senza che l’incompatibilità sia cessata, viene disposta la decadenza con provvedimento del direttore generale o capo del servizio centrale competente, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per il personale appartenente ai ruoli nazionali; con provvedimento del provveditore agli studi, sentito il consiglio scolastico provinciale, per il personale docente della scuola materna, elementare e media e, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione, per il personale docente degli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore. |
Ebbene, si rileva preliminarmente come, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità sul tema, l’istituto della decadenza non rivesta natura né sanzionatoria né disciplinare.
Approfondimento: Cassazione civile sez. lav. – 19/01/2006, n. 967 La decadenza non ha natura sanzionatoria né disciplinare, né è la conseguenza di un inadempimento, bensì scaturisce dalla perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. |
Esso, in altre parole, non costituisce conseguenza di un inadempimento ed è, infatti, motivato dalla perdita dei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati sin dall’inizio, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. L’istituto opera, quindi, su un piano strettamente oggettivo e prescinde da valutazioni sulla gravità dell’inadempimento. Il regime di incompatibilità, così come previsto nel nostro ordinamento, si incentra pertanto su una valutazione astratta, effettuata ex ante, circa i possibili riflessi negativi dell’attività incompatibile sul rendimento e sull’osservanza dei doveri d’ufficio da parte del dipendente, indipendentemente dall’effettivo verificarsi di mancanze nel caso concreto, essendo volto a prevenirne gli effetti, inibendo le condizioni favorevoli al suo insorgere (sul punto, tra le altre, Cass. civ. Sez. lavoro, 3 agosto 2021, n. 22188).
Nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, quindi, la decadenza rientra nell’area dei comportamenti di gestione del rapporto di lavoro e il presupposto atto di diffida, non seguito dalla rimozione della causa di incompatibilità nel termine previsto, determina la risoluzione automatica del rapporto di lavoro.
Approfondimento: Corte appello sez. lav. – Venezia, 09/11/2022, n. 500 Quanto al divieto di svolgere attività assolutamente incompatibili, lo stesso trova affermazione nell’art. 53 co. 1 cit., il quale, differentemente da altri commi della medesima disposizione, è rimasto inalterato nel tempo, costituendo dunque parte della disciplina generale della materia cui la giurisprudenza ha riconosciuto natura cogente (Cass. Sez. Lav. n. 27420/2020, cit.; Cass. n. 10629/2017). Ciò sul presupposto che trattasi di regolamentazione non a caso sottratta alla contrattazione collettiva ed assoggettata a riserva di legge volta a garantire l’obbligo di esclusività, di essenziale rilievo nel rapporto di impiego pubblico e discendente dall’art. 98 Cost. Con tale disposizione costituzionale, “i nostri Costituenti, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” hanno voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa “alle dipendenze” – in senso lato delle Pubbliche Amministrazioni dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività” (Cass., SS. UU, n. 25369/2020, Cass. n. 12626/2020, n. 11949/2019, n. 3467/2019, n. 427/2019, n. 20880/2018, n. 28975/2017, n. 28797/2017, n. 8722/2017) |
Nel caso in cui il dipendente ottemperi alla diffida, facendo cessare la causa di incompatibilità, non opererà l’automatismo sopra indicato ed il comportamento assumerà rilevanza sotto il profilo disciplinare (artt. 55 e seguenti D.Lgs. n. 165 del 2001). La seconda conseguenza della violazione del dovere di esclusività è, infatti, costituita dalla rilevanza disciplinare del fatto.
Il procedimento disciplinare è assoggettato ai principi propri di tale tipologia di responsabilità, che presuppone sempre un giudizio di proporzionalità fra fatto contestato e sanzione, da esprimere tenendo conto di tutti gli aspetti oggettivi e soggettivi della condotta, tra cui la gravità dell’inadempimento e l’intenzionalità dello stesso. Contrariamente a quanto avviene nel procedimento di decadenza dall’impiego, pertanto, dal punto di vista disciplinare la condotta assunta dal dipendente andrà valutata nel caso concreto e non potrà dar luogo ad alcun automatismo in ordine alla sanzione da irrogare, dovendosi avere riguardo, peraltro, alle effettive conseguenze dell’espletamento dell’attività incompatibile.
Anche la più recente giurisprudenza amministrativa ha evidenziato come occorra avviare un procedimento disciplinare nel caso di accertamento da parte di un dipendente pubblico della violazione dei vincoli di esclusività (Consiglio di Stato, sez. II, sentenza n. 746 del 23 gennaio 2024).
Conclusioni
In conclusione, quando si verifica un’ipotesi di incompatibilità vengono in rilievo due diversi aspetti: l’uno relativo alla cessazione automatica del rapporto di lavoro, che per volontà del legislatore si verifica qualora l’incompatibilità non venga rimossa nel termine assegnato al dipendente, l’altro inerente alla responsabilità disciplinare per la violazione del dovere di esclusività, responsabilità che può essere comunque ravvisata anche nell’ipotesi in cui l’impiegato abbia ottemperato alla diffida, secondo quanto espressamente previsto dal T.U. n. 3/1957 (Cass., sez. lav., 7 maggio 2019, n. 11949; 30 novembre 2017, n. 28797).
Bibliografia
- D.P.R. n. 3 del 1957;
- D.Lgs. n. 165 del 2001;
- Leon Zingales e Dario Tumminelli, Dirigenti scolastici: esercizio della libera professione ed iscrizione agli Ordini professionali, 7 luglio 2021 Educazione&Scuola, ISSN 1973-252X;
- Dario Tumminelli, Luigi Martano, Leon Zingales, Gestire la complessità. Concorso per dirigenti scolastici e tecnici, M.A.GI.C. Education Training, novembre 2024, ISBN 9791282030007;
- Cassazione civile sez. lav. – 19/01/2006, n. 967;
- Cass., Sez. Lav., ord. n. 27420/2020;
- Cass. civ. Sez. lavoro, 3 agosto 2021, n. 22188;
- Corte appello sez. lav. – Venezia, 09/11/2022, n. 500;
- Cass., SS. UU, n. 25369/2020, Cass. n. 12626/2020, n. 11949/2019, n. 3467/2019, n. 427/2019, n. 20880/2018, n. 28975/2017, n. 28797/2017, n. 8722/2017;
- Consiglio di Stato, sez. II, sentenza n. 746 del 23 gennaio 2024;
- Cass., sez. lav., 7 maggio 2019, n. 11949; 30 novembre 2017, n. 28797.
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