Se i ragazzi leggono poco è anche colpa della scuola: lo sostiene Simone Giusti, docente all’Università di Siena

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo (…) Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: “Leggi!” “Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!” “Sali in camera tua e leggi!” Risultato? Niente. Si è addormentato sul libro.

Così scriveva – e sono passati ormai più di trent’anni – Daniel Pennac nel suo saggio “Come un romanzo”, in cui il celebre scrittore francese, ex docente nei licei, se la prendeva con la monotonia dei testi obbligatori scolastici, interrogandosi su come i libri potessero diventare amici degli adolescenti e non rospi da dovere ingoiare di malavoglia.

Trent’anni dicevamo. Eppure, secondo il professore Simone Giusti, docente di Didattica della letteratura italiana all’Università di Siena, poco o nulla è cambiato: per quanto riguarda il rapporto giovani-lettura, la scuola sembra quasi avere un’influenza nociva, perché gli stessi adolescenti smettono di leggere non appena i compiti a casa incombono maggiormente, con il passaggio alle superiori. Questo

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