Relazione educativa, educazione relazionale

Relazione educativa, educazione relazionale

di Margherita Marzario

 

Nell’art. 11 del Pilastro europeo dei diritti sociali (2017) si legge: “a. I bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità. b. I minori hanno il diritto di essere protetti dalla povertà. I bambini provenienti da contesti svantaggiati hanno diritto a misure specifiche tese a promuovere le pari opportunità”. Previsioni spesso disattese in Italia: si parla di “educazione alla cittadinanza europea”, di “bambini cittadini del mondo”, ma non sempre si ha un’adeguata cura della prima infanzia e della buona qualità dei servizi per questa fascia d’età, non si tiene conto delle crescenti forme di povertà, da quella educativa a quella socio-relazionale. I bambini sono sempre più soli, senza una rete parentale, tiranneggiati o tiranneggianti, o inseriti in un sistema scolastico spesso proiettato verso mete lontane e non attento alle esigenze concrete del singolo bambino. 

La psicologa Anna Bertoni scrive: “La natura più profonda della persona è relazionale. Noi nasciamo da una relazione. La nostra qualità umana più specifica è la capacità di stare in relazione. Capiamo chi siamo e ci definiamo grazie alle relazioni che intrecciamo (il figlio rispetto ai genitori, la madre e il padre rispetto al figlio, l’amico rispetto all’amico…). Perciò è come se in questo momento vivessimo una sorta di analfabetismo relazionale”. Si ignora (e si calpesta) che la salute personale e della comunità “dipende” dalle sane relazioni con se stessi e con gli altri, come si ricava da più fonti, tra cui la Carta di Ottawa per la Promozione della Salute (1986). Tra i principali beni immateriali bisognerebbe annoverare i beni relazionali e investire di più e meglio nella famiglia e nell’educazione: così si fa prevenzione.

La formatrice Silvia Iaccarino spiega: “[…] nella relazione educativa tra genitore/educatore/insegnante e bambini, il tema della co-regolazione è centrale poiché lo sviluppo socio-emotivo segue una linea evolutiva che va da etero-regolazione ad auto-regolazione. Ovvero, è grazie alla guida sensibile e responsiva di un adulto mediamente sintonizzato con i vissuti del bambino/a che, quest’ultimo/a, nel tempo, svilupperà capacità, competenze e abilità nell’autoregolazione di emozioni e comportamenti. Sostanzialmente la co-regolazione, come processo eteroregolativo, crea le basi per un’equilibrata crescita socio-emotiva dei bambini e delle bambine”. Il segreto e la difficoltà nel relazionarsi educativamente con i bambini è entrare in sintonia con loro; bisogna padroneggiare le proprie “life skills” per far costruire, poi, ai bambini le loro competenze di vita, come l’autoregolazione. Si proclama di dare ascolto ai bambini ma spesso non si attivano nemmeno gli organi di senso nei loro confronti perché gli adulti sono distratti e attratti da altro.

Silvia Iaccarino continua: “Negli ultimi decenni, grazie a ricerche nel campo della psicologia, delle neuroscienze e delle scienze dell’educazione, questi concetti sono stati progressivamente superati. L’idea che la disciplina debba passare attraverso la coercizione è stata sostituita dalla convinzione che l’educazione debba nutrire l’empatia, il rispetto e l’ascolto attivo. Le bacchettate sulle mani, stare nell’angolo con il cappello da somaro in testa, le minacce verbali e fisiche che i nostri nonni e genitori ricevevano erano punizioni violente fisicamente e degradanti, che sono sparite dalla nostra quotidianità. Ma la pedagogia nera è scomparsa del tutto? Anche se viviamo in una società che condanna apertamente la violenza fisica sui bambini, essa persiste in forme più sottili. Frasi come “fai il bravo o non ti voglio più bene” o atteggiamenti che minimizzano i sentimenti del bambino, come il classico “non è niente, smettila di piangere”, sono esempi odierni e attuali di questa eredità. Questi comportamenti sono meno evidenti, ma continuano a negare al bambino il diritto di esprimere le proprie emozioni e possono avere effetti duraturi sulla sua autostima e sulla capacità di relazionarsi con gli altri. Conoscere la pedagogia nera significa riconoscerne l’impatto sulla crescita dei bambini e sulla società. Superarla non vuol dire rinunciare a regole e confini, ma costruire un’educazione basata sull’ascolto, sull’empatia e sulla valorizzazione delle emozioni. È un percorso che richiede consapevolezza e formazione, ma che può portare a una relazione educativa più sana e arricchente”. In passato si applicava la cosiddetta “pedagogia nera”, oggi spesso, soprattutto nell’educazione familiare, non si applica alcuna pedagogia o si applica una “pedagogia grigia”, perché dilaga l’ineducazione che tira su “bambini tiranni” o, viceversa, ci sono genitori inadeguati centrati ancora sui loro irrisolti, come i genitori narcisisti. Rigore educativo non è mancanza di amore ma è dare e darsi regole nella relazione educativa, perché anche l’amore smodato può far male.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro analizza una triste realtà: “Se, come spesso accade, siamo costretti ad andare incontro al mondo per essere accettati, la nostra avventura inizia nel più miserevole dei modi, sotto il segno dell’accattonaggio degli affetti, quella questua per un po’ di attenzione, del ‘sarò come tu mi vuoi’ pur di ottenere la benevolenza degli adulti”. “Accattonaggio degli affetti”: piuttosto frequente nelle famiglie di oggi da parte dei bambini per ricevere un oggetto desiderato (in una dinamica di consumismo relazionale), per sedare le discussioni tra i genitori, quando un genitore con più irrisolti cerca di modellare il figlio del proprio sesso, nei casi di patologia delle cure e così via.

A tale proposito il consulente educativo Marco Maggi sottolinea la necessità di “costruire un piano affettivo con i bambini” (in un webinar del 23 gennaio 2025). Nel concepire un figlio bisogna pure concepirsi come genitori, chiedersi che tipo di genitori si vorrà essere, come porsi, come comunicare e così man mano che cresce il figlio. Anche in ogni relazione educativa gli adulti dovrebbero darsi un piano affettivo anziché pianificare la vita altrui.

Il pedagogista Fabio Olivieri evidenzia: “Oggi anche se ci incontriamo non ci riconosciamo l’un l’altro per quello che siamo, perché c’è un disempowerment relazionale” (in un webinar del 14 ottobre 2024). Tra le competenze per la vita, stabilite dall’OMS già nel 1993, vi sono le competenze relazionali, che comportano pure il “pettinare le relazioni”. Si nasce da una relazione, l’educazione è la relazione primaria umana, si ha diritto alle relazioni, eppure le relazioni sono sempre più “malate” e si è sempre più incompetenti a livello relazionale, a cominciare dai genitori.

Lo psicologo Simone Olianti lancia un messaggio di “psicologia positiva”: “La bellezza – ci ricorda Albert Camus – non fa rivoluzioni. Ma viene il momento in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza. Riscoprire la bellezza significa ripartire dai sentimenti e dalla passione di vivere: la vita non cresce, non matura per ingiunzioni o divieti, ma per seduzioni. E la seduzione, l’attrazione, la passione nascono dalla bellezza. E dalla poesia, che ci serve, sempre di più, disperatamente”. Come deve essere orientata oggi la rivoluzione educativa, la relazione educativa.

Nella relazione insegnamento-apprendimento gli insegnanti, prima di occuparsi di educazione emotiva, devono (o dovrebbero): “1. Sapere, ovvero acquisire una serie di conoscenze scientificamente fondate e aggiornate sulle emozioni che si manifestano in bambini e ragazzi nei primi anni di vita e fino alla fine del ciclo della scuola secondaria; 2. Saper essere, ovvero sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio stile relazionale nel rapporto con le emozioni di allievi e studenti, soprattutto in presenza di comportamenti sfidanti, oppositivi o problematici; 3. Saper fare, ovvero apprendere alcuni strumenti operativi per il riconoscimento, la modulazione e la gestione degli stati emotivi di bambini e ragazzi in tutto il loro percorso di crescita a scuola, a casa e in altri contesti di vita quotidiana” (cit.). Non è sufficiente insegnare, voler insegnare, ma è indispensabile saper insegnare, prepararsi a insegnare e non semplicemente preparazione la lezione o il materiale didattico o l’ambiente.

“Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, a prescinderne dalle frontiere, sia verbalmente che per iscritto o in forma artistica o mediante qualsiasi altro mezzo scelto dal fanciullo” (art. 13 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Affinché i bambini possano esprimersi (letteralmente “stringere, far uscire premendo”), è necessario che venga prima fornito loro un bagaglio culturale, emozionale, relazionale e, quindi, di persone che diano loro questo. 

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