Salone del Libro, Vecchioni: “Canto, scrivo, vado in tv. Ma non c’è nulla, lo giuro, che mi sia mai piaciuto di più che insegnare”

Ieri, 16 maggio, il cantautore ed ex professore Roberto Vecchioni ha partecipato ad un incontro al Salone del Libro di Torino. Ecco le sue parole, riportate da Il Corriere della Sera.

“I giovani torneranno a parlare la lingua della letteratura”

“Faccio tante cose. Canto, scrivo, vado in televisione. Ma non c’è nulla, lo giuro, che mi sia mai piaciuto di più che insegnare ai ragazzi”, ha detto, ribadendo il suo amore per l’insegnamento.

Ecco poi una riflessione sul linguaggio giovanile: “Sono un uomo del 900, il secolo più bello. Sono vecchio e orgoglioso di 900. Ma so parlare lo slang della Generazione Z. C’è un senso nel loro linguaggio: è il ribaltamento dello schifo che c’è fuori. Torneranno a parlare la lingua della letteratura, la nostra lingua, ma adesso hanno bisogno di parlarne una diversa, perché per loro è come tirare il fiato”.

Vecchioni è l’amore per l’insegnamento

Si tratta

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Svuotare il nulla

La dimensione politica del nichilismo contemporaneo

di Nuccio Randone

Svuotare il nulla – La dimensione politica del nichilismo contemporaneo – di Nuccio Randone

PREMESSA

Cosa hanno in comune gli autori citati in grassetto in questo articolo? Il fatto che alcune loro opere sono state da me lette e questa lettura ha ispirato le idee presenti in questo articolo. Non ho citato alcuna loro opera, ma ho preferito, tramite la citazione in grassetto, rimandare in generale alla tematica affrontata dall’autore. Chi vorrà potrà approfondire le varie tematiche tramite la lettura delle opere dell’autore stesso.

INTRODUZIONE

Il presente articolo vuole rispondere ad una domanda. Qual è il fondamento teorico e la sua traduzione sul piano politico dell’attuale ingiustizia sociale ed ecologica che ha assunto ormai una dimensione planetaria? La politica oggi ha una dimensione orizzontale attenta al destino dell’altro o verticale in cui prevale esclusivamente la legge del più forte? La mia risposta, che cercherò di spiegare in questo articolo, è che il nichilismo contemporaneo costituisce il fondamento teorico dell’attuale capitalismo tecnocratico: il capitalismo tecnocratico è il volto politico del nichilismo contemporaneo.

Ma qual è il destino dell’uomo? il nulla o il senso. Il futuro dell’uomo e del pianeta dipende dalla risposta che si dà a tale domanda.

1. ASPETTO FILOSOFICO. IL NULLA E IL SENSO

Cosa significa svuotare il nulla? Come si fa a svuotare ciò che non è? Il nulla non esiste, da ciò “l’impossibilità logica di affermare che le cose vengono dal nulla e nel nulla ritornano” (Emanuele Severino-Filosofo). Già Lucrezio ci avvisava del fatto che “dal nulla viene nulla” e secondo la legge di Lavoisier “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

L’affermazione del nulla, processo iniziato storicamente con i maestri del sospetto, Nietzsche e la morte di Dio – Freud e la morte del padre – Marx e la morte dell’individuo, ha avuto come esito il nichilismo, tentativo di vivere il nulla nel nulla.

 Si dirà che il nichilista crede solo in se stesso, così però non è più un nichilista in quanto non crede nel nulla, ma in se stesso, in qualcosa da cui le cose provengono. Il nichilismo invece è una superstizione: fede nel nulla.

 Il nichilismo porta al fallimento il destino proprio dell’uomo: dare senso alla sua vita.

Prova del fatto che il destino dell’uomo è dare senso alla sua vita è la ricerca della felicità: l’uomo infatti è desiderio naturale di felicità (Tommaso D’Aquino-Filosofo), è un animale soggetto alla segnatura del dolore ma desideroso di felicità. Soffriamo ma non ci rassegniamo, troviamo la felicità, ma non ci basta, e quando essa sfuma ne cerchiamo un’altra e un’altra ancora. Fino a quando questa ricerca? La felicità assoluta è il destino dell’uomo.

Siamo destinati alla felicità assoluta, altrimenti perché desiderala? L’uomo sarebbe un assurdo, la più meschina delle creature, preso in giro dalla sua stessa natura in quanto desidera qualcosa che non esiste (Francesco Ventorino-Filosofo).

 L’uomo desidera la verità, il senso di se stesso, della sua vita, del mondo, ma questa verità, questo senso, secondo il nichilismo, non può essere dato e non deve essere dato ma si deve vivere nel nulla e di nulla fino a negare l’umano dell’uomo ovvero il dare senso al “mondo alla mano” (Martin Heidegger-Filosofo).

In una società dominata dalla tecnica e dal suo delirio di onnipotenza, segnata dal capitalismo consumistico che omologa, massifica, conduce a quell’individualismo nichilistico per cui nulla ha senso se non esclusivamente il proprio edonistico e narcisistico benessere individuale e materiale senza spazio alcuno per gli altri e per i beni spirituali (Fausto Bertinotti-Politico), svuotare il nulla è la sfida che l’umanità deve assumersi nei confronti di chi questa umanità vuole annichilire, il nichilismo di matrice tecnocratico-capitalistica.

Per superare il nichilismo e la sua dimensione subumana, bisogna ritornare ad esercitare quella capacità, esclusivamente umana, di trasformare le coincidenze in senso, opportunità.

Nessuno di noi è indispensabile e infatti il mondo procede anche senza di noi, ma questo significa che se è vero che eventi e avvenimenti accadono a prescindere da noi, è altrettanto vero che ognuno di noi può trasformare tali coincidenze in senso, opportunità.

Svuotare il nulla significa trasformare il nichilistico “nulla” nello stato di gettatezza esistenziale in cui nulla ha senso (il nulla) affinché tutto abbia senso (il nulla svuotato), quel senso che io do al mio mondo alla mano: gli eventi e gli altri non rimangono mere coincidenze ma vengono da me dotati di senso e danno, quindi, senso alla mia vita per cui io mi realizzo nel mondo non contro o sfruttando gli altri ma con gli altri, anzi gli altri sono la mia unica possibilità di senso e di esserci.

 Raggiungere lo stato di gettatezza originale dove nulla ha senso affinché tutto abbia senso significa dunque trasformare le coincidenze in senso perché il destino dell’uomo è la felicità e questa si vive qui e ora dando senso alle cose.

Il nichilismo rifiuta il destino dell’uomo provando un sentimento di nausea (Jean-Paul Sartre-Filosofo) di fronte a tale destino: il mal di vivere nichilistico.

Di
fronte alla proclamazione della morte di Dio (se non vi è più l’Essere vi è il
nulla), bisogna riaffermare l’umano dell’uomo spostando l’attenzione dal piano
teologico a quello antropologico: la questione non è affermare o negare Dio, ma
 nell’avere fede nella vita o nel nulla.

La fiducia nella vita, fondata sulla capacità
dell’uomo di dare senso alle cose,  fa
intraprendere un viaggio che porta dalla morte di Dio alla riscoperta dell’uomo
come desiderio naturale di dare senso alle cose.

La morte di Dio, in chiave nichilistica,
in quanto affermazione del nulla, porta alla morte dell’uomo: il nichilismo infatti
non vede l’uomo come l’unico ente capace di donare senso alle cose e quindi
trascenderle, ma come un ente fra gli enti ripiegato nel nulla della vita.

Per il nichilismo “nulla-esiste”, ma il “nulla-non-esiste”, dal nulla non può venire nulla, dal nulla non può apparire e nemmeno sparire nulla: il nichilismo è il nulla, il vuoto, l’abisso, la morte dell’uomo.

2. ASPETTO POLITICO. IL CAPITALISMO TECNOCRATICO

Il senso che diamo alla vita fa esserci e rimanere eternamente nei ricordi di quanti abbiamo incontrato nel cammino
della nostra vita. Saremo ricordati se riusciremo a dare alle “nostre” tracce
di senso una dimensione “politica”: la relazione politica quando è una “relazione
di sensi” assume una dimensione orizzontale che ci permette di costruire una
casa comune in cui co-abitare (Donatella Di Cesare-Filosofa).

La politica nichilistica, invece, ha una
dimensione verticale dove la forza diviene l’unico valore nelle relazioni
umane: in una società nichilistica dove nulla ha senso pre-vale il più forte e
la forza.

Si comprende, allora, come in una
cultura nichilistica la tecnica che dovrebbe essere a servizio dell’uomo e del
miglioramento delle condizioni di vita dei più deboli, è diventata invece il
nuovo mezzo di arricchimento e sfruttamento delle risorse del pianeta nelle
mani della nuova forza capitalistico-tecnocratica.

Il capitalismo tecnocratico di matrice
nichilistico, con un intreccio perverso di capitale – tecnica – politica, segue
la logica etica del voglio
(ricchezza) – posso (la tecnica) – faccio (la politica), sfruttando le
risorse del pianeta per un arricchimento personale a discapito dei più deboli, il
tutto sotto l’egida del nichilismo e delle politiche neoliberiste.

Svuotare il nulla significa dunque dare
senso alla vita: dare senso alla vita (da me stesso o alla luce del Vangelo o attraverso
un’ideologia, ecc.), trasformare le coincidenze in eventi significativi per la
mia vita è un atto di responsabilità politica totalmente alternativo ad una visione
nichilistica della vita che, con una fede cieca nel nulla e attraverso un uso
della tecnica sempre più come strumento di potere nelle mani del capitalismo
ultra liberista, deresponsabilizza l’uomo in quanto di fronte al nulla non si è
chiamati a rispondere ma ad obbedire al più forte.

Ai maestri del sospetto va dato merito
di aver scardinato strutture di pensiero e istituzionali ormai anacronistiche e
di aver contribuito indirettamente ad un ripensamento, riformulazione,
“aggiornamento” (Papa Giovanni XXIII) della trascendenza di
fronte alla morte di Dio, dell’istituzione di fronte alla morte del padre e del
sacrificio di fronte alla morte dell’individuo (Armando Matteo-Teologo).

La deriva nichilistica con la
conseguente morte dell’uomo, privato ormai del suo destino e della sua libertà,
mercificato dalle forze lobbiste di matrice capitalistica, ci deve spingere ad
ascoltare quei maestri che ci insegnano che il destino dell’uomo è quello di trovare l’alba dentro l’imbrunire.

Questa è la fatica del vivere: svuotare
il nulla, dare senso alle cose, trovare l’alba
dentro l’imbrunire. L’alternativa è la noia
(Giacomo Leopardi-Poeta), quell’equa
distanza tra la gioia e il dolore che è il nulla che, in quanto inesistente,
coincide con l’annullamento di ciò che esiste, le nostre vite.

Nell’epoca contemporanea segnata dal
nichilismo e dalla morte del donatore, sia esso Dio o il padre, la vita non è
più vista come un dono, il vivere è divenuto un problema e non più una
responsabilità, la libertà si è ridotta ad una fuga dalla vita e non più ad un
impegno faticoso, doloroso, gioioso, ma mai noioso, di dare senso alla vita.

Morto Dio, il problema contemporaneo non
è più Dio ma l’uomo: essere o non essere
questo è il dilemma (William Shakespeare-Drammaturgo).

La fiducia nella vita e la speranza
nella capacità dell’uomo di dare senso e significato alle relazioni umane per
costruire una casa comune da co-abitare
è la sfida da lanciare al nichilismo contemporaneo che, con la sua fede nel
nulla e senza speranza per il futuro, rende l’uomo libero da Dio ma schiavo
delle forze cieche del nuovo capitalismo tecnocratico: la discriminante infatti
non è tra il vivere con Dio o senza Dio, ma tra l’avere fiducia nella vita o
nel nulla.

Il primo atteggiamento è proprio di coloro che cercano di dare un logos, un senso alla vita e al loro vivere (o alla luce della sola ratio o alla luce dell’evangelium) il secondo, invece, è l’atteggiamento di chi, nel nulla esistenziale, affidandosi unicamente all’egemonia e alla forza della tecnica, finisce per divenire quel dominus di cui ne ha proclamato la morte, dominando chi la tecnica la può solo subire.

3. ASPETTO TEOLOGICO. I SEGNI DEI TEMPI

Dio è morto ma  l’uomo risorge  in ogni faticoso tentativo di svuotare il
nulla.

Dal punto di vista teologico, questa
morte di Dio e resurrezione dell’uomo in ogni faticoso quotidiano dare senso
alle cose è una responsabilità etica ovvero capacità e “scelta” di rispondere
agli appelli della storia, è un saper-dover leggere i segni dei tempi (Papa Giovanni XXIII) alla luce del Vangelo e
alla cui luce incarnare le istanze evangeliche di giustizia, pace, solidarietà,
uguaglianza, libertà e liberazione (Concilio
Vaticano II).

All’antropologia nichilistica si oppone dunque
un’antropologia escatologica (Giuseppe Dossetti-Teologo),
l’antropologia cioè dell’Homo Viator (Gabriel Marcel-Filosofo) che nell’andare incontro alla pienezza del
tempo discerne nella storia i segni dei tempi, il senso escatologico degli
eventi e degli avvenimenti (Giuseppe
Ruggieri-Teologo).

Morto Dio qual è il senso della vita?

La vita stessa in quanto ogni vita, se vissuta,
è sempre piena di senso.

Ma che significa vivere la vita?

Esserci

Ma che significa esserci?

Significa svuotare il nulla, l’in-esserci.

Ma che significa svuotare il nulla,
l’in-esserci?

Significa trasformare le coincidenze in senso, dare senso
al
mio mondo alla mano: nella vita
vissuta gli eventi e gli altri non sono mai coincidenze ma vengono dotati di
senso. Il destino dell’uomo è la felicità e questa si vive qui e ora ogni qual
volta si da senso alle cose svuotando il nulla.

Da quanto detto fin ora, si comprende come
si può “vivere senza Dio” senza essere nichilisti, così come si può “vivere con
Dio” senza essere superstiziosi in quanto superstizioso è il nichilismo con la
sua fede nel nulla.

Per il cristiano Dio è inutile, nel mondo “davanti e con Dio viviamo senza Dio, viviamo come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona (Mc 15,34)! è Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio” (Dietrich Bonhoeffer-Teologo): l’inutilità di Dio, l’assenza di Dio per il cristiano significa responsabilità, capacità di rispondere agli appelli della storia, risignificando eventi e avvenimenti alla luce del Vangelo per coglierne i segni dei tempi.

CONCLUSIONE

Svuotando l’inesistenza, in quanto il nulla non è, rimane spazio e tempo (Zygmunt Bauman-Sociologo) solo per l’esistenza che, se non si vuol far precipitare nel nulla, deve essere da noi, sia che viviamo con Dio, sia che viviamo senza Dio, dotata di senso: questo è il destino dell’uomo e negarlo significa negare l’uomo stesso, significa proclamare la “morte nichilistica dell’uomo” che assume la dimensione politica del capitalismo tecnocratico.

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Riscopriamo l’esame di maturità

Il grande inestimabile valore dell’esame di maturità tra rito iniziatico, dimensione fantastica e qualità della scuola. Per il futuro riscopriamone spirito ed essenza.
Pier Paolo Pasolini (1922-1975)
Una memorabile provocazione
Nel 1975 Pier Paolo Pasolini pubblicò sul Corriere della Sera un provocatorio articolo dal titolo “Aboliamo la TV e la scuola d’obbligo”. Per quanto riguarda la scuola d’obbligo la motivazione era la seguente: “La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori: […] tutto un imbroglio.”
In realtà l’intellettuale non voleva davvero la soppressione della scuola d’obbligo, ma ne auspicava un autentico rinnovamento pedagogico nel segno di un rinnovato dinamismo del sapere:
“Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro […]”
La televisione a sua volta veniva accusata di avere inaugurato la deleteria era dell’ἡδονή:
“Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore).”
Intervenne nella questione Alberto Moravia, che manifestò interesse per le due proposte, purché fossero dovute “non già a estremismo paradossale ma a riflessione costruttiva”. E Pier Paolo Pasolini ebbe a precisare che le aveva formulate non con intenzioni ultimative, ma “in attesa di tempi migliori”. Non è il caso di soffermarsi qui sulla complessità delle argomentazioni con cui i due intellettuali si confrontarono in maniera anche risentita.
È bene però mettere in risalto un aspetto ancora attuale della loro polemica:
la condivisione del senso di un rapporto quanto mai stretto fra scuola e società, mentre l’influsso della televisione sul mondo giovanile si configurava come antitetico alla funzione educativa che la scuola  avrebbe dovuto svolgere. Orbene, oggi il nesso scuola-società, non limitatamente alla scuola d’obbligo, fatta forse eccezione per la scuola elementare, si rivela ad un’ispezione attenta come una frattura scomposta. Ne potrebbe risentire l’esame conclusivo di ogni corso di studio secondario superiore, denominato ufficialmente Esame di Stato. Di qui l’urgente necessità di ripensare l’esame che in forma ufficiale veniva detto una volta di maturità secondo la denominazione ad esso data da Giovanni Gentile e che resta di maturità nell’uso comune. Di maturità, perché nel sostenerlo e nel superarlo ci si accinge ad essere accolti nel mondo degli adulti, mondo in cui purtroppo non mancano tanti immaturi benché siano stati promossi in sede d’esame.
L’esame come rito iniziatico
I riti di iniziazione sono campo privilegiato della ricerca antropologica. Nell’Enciclopedia Treccani online viene messo in rilievo che tali riti riguardano il conseguimento della “maturità sociale” e per lo più comportano per gli iniziati ansia ed emozione fra nostalgia del passato e slancio verso il futuro, come si desume, ad esempio, da questo passo diaristico della studente Rossella Cutaia nell’articolo Le mie sei ore tra libertà e nostalgia  riportato sul quotidiano La stampa del 23.06.2022:
“Finalmente possiamo osservare i nostri volti e riconoscerci negli ultimi momenti di quei cinque anni insieme, completamente assorti ed estremamente concentrati, in quella che stava per essere la realizzazione di un altro piccolo passo verso il mondo dei grandi.”
È come nel sogno di Cartesio: “Quod vitae sectabor iter?”
Forse alla studente  l’esame   ritornerà in sogno e forse è stato da lei già sognato. La studente si dice anche “nervosa ma felice”. Generalmente infatti gli  studenti maturandi sentono l’importanza della prova in un modo nello stesso tempo convinto e confuso. Convinto, perché sanno che superato l’esame varcheranno la soglia del mondo adulto. Confuso, perché avvertono l’incertezza in cui versa la società in cui si apprestano a inserirsi. Una società percorsa da spinte disgregatrici, fra le quali la più distruttiva proviene da quanti si adoperano per collocare in cattiva luce la scuola, mettendone in risalto soltanto i difetti, del resto propri di tutto ciò che è perfettibile, e ignorandone i tanti pregi, che ne fanno comunque un’istituzione fondamentale. Il senso dell’esame da affrontare in via propedeutica all’inserimento nella realtà extrascolastica è legato all’esperienza della crescita culturale e umana che si va svolgendo ogni giorno nella scuola. Docenti e studenti in un concreto ambiente relazionale condividono un vissuto esistenziale ed è così che si giunge alla più o meno avvertita trepidazione dell’esaminare e dell’essere esaminati secondo un determinato protocollo. Questo percorso risulta essenziale, perché in esso si va verificando la validità del rapporto fra scuola e vita. Lucio Anneo Seneca in un’epistola a Lucilio deprecava un insegnamento staccato dalla vita con la frase Non vitae, sed scholae discimus (erroneamente citata nella forma Non scholae, sed vitae discimus, che ne capovolge e stravolge il senso).
Una scuola da denunciare e che fa schifo
Non sappiamo quali esperienze scolastiche abbiano vissuto quegli studenti che hanno destato clamore l’uno con denunce articolate e l’altro con un motto su una maglietta indossata. Il primo  ha visto ospitata sul settimanale L’Espresso una sua requisitoria datata 09.05.2022 contro la scuola italiana a ricalco sul J’accuse di Émile Zola. Del secondo, Francesco Intraguglielmo,  è stata pubblicata su Il fatto quotidiano del 25.06.2022 una foto in cui indossa una maglietta dissacrante con la scritta “La scuola italiana fa schifo”. Si potrà anche avere l’impressione che l’uno e l’altro siano stati strumentalizzati e non se ne siano accorti. La requisitoria citata è stata già oggetto di commento su Matmedia. Ora ci toccherebbe commentare quell’asserzione della scuola italiana che farebbe schifo. Veramente ci sono stati già dei commenti favorevoli al ragazzo.  Ricordiamo l’intervento in pari data su Il fatto quotidiano del maestro Alex Corlazzoli, dichiaratosi schifato lui degli adulti che hanno condannato il diciannovenne per essersi presentato all’esame con quella maglietta. Nell’intervento del maestro è infatti notevole un risentito elenco di tutto ciò che nella scuola non va e che  ha suscitato  la clamorosa offensiva verbale studentesca da lui approvata. Ma per un approfondimento della vicenda si può compulsare il sito seguente, che accoglie anche un’intervista al giovane rivoluzionario, paragonato all’attivista svedese ecologista Greta Thunberg per aver fondato su Tik Tok il movimento studentesco “Rivoluzioniamo la scuola”: orizzontescuola.it/la-scuola-italiana-fa-schifo
Noi ci limitiamo a osservare che questa scuola che “fa schifo” è pur sempre la stessa scuola nella quale lo studente contestatore è andato maturando il suo spirito critico, al punto di essere considerato da tanti adulti un maestro di educazione civica, nonostante un certo esibizionismo mischiato peraltro con l’intenzione di richiamare in forma eclatante l’attenzione sui tanti difetti del nostro sistema scolastico, ignorandone però gli aspetti positivi. Se la scuola italiana fa completamente schifo, come si desume dall’apodittico slogan  impresso su quella maglietta diventata ormai famosa, allora l’esame di Stato non avrebbe senso e sarebbe da abolire. Come si spiega invece che in ogni ricorrenza annuale gli organi di informazione mettano in risalto l’importanza delle prove, discutendole con interventi di tanti docenti, studenti, intellettuali? Quel giovane e gli adulti che lo esaltano forse non si rendono conto del rischio ulteriore che fanno correre alla scuola iperbolizzandone le carenze senza evidenziarne le energie.
Il Ministero dell’Istruzione è debole, per non dire latitante.
Corpi estranei come l’Invalsi e la Fondazione Agnelli ne vanno erodendo le fondamenta. C’è il pericolo che al posto dell’esame attuale si introducano i test e addio spirito critico. Allora sì che il nuovo tipo d’esame, che non sarebbe un vero e proprio esame, farebbe schifo. È responsabilità ministeriale migliorare l’esame e impedire che altri enti lo peggiorino. Ed è curioso che fra tante voci levatesi a lodare lo studente dalla maglietta irriverente non se ne sia sentita ancora una, a quanto ne sappiamo, che abbia rimarcato col necessario vigore questa non lieve responsabilità. Vien fatto di chiedersi cosa sarebbe accaduto se la scritta sulla maglietta studentesca fosse stata quest’altra: “Il Ministero dell’Istruzione fa schifo”.
Digressione  sugli usi delle parole schifo e  scuola
Secondo gli etimologi la parola schifo deriva non dal longobardo skif, da cui proviene la denominazione dello schifo come imbarcazione, ma dal francese antico eschif. Un florilegio degli usi letterari di schifo può essere attinto al GDLI in  rete. Caro ai poeti è l’aggettivo schifo nel senso di schivo per ritrosia o sdegno. Invece nei prosatori schifo come aggettivo si riferisce per lo più a persone e cose lerce e ripugnanti.
La prosa leopardiana annovera addirittura il superlativo schifissimo.
Quest’area semantica di schifo in senso aggettivale oggi è divenuta desueta. Schifo ormai è usato comunemente come sostantivo riferito a chi o cosa produca una sensazione repellente dovuta a  nausea, disgusto, ripugnanza, ribrezzo oppure a chi o cosa sia oggetto di giudizio negativo a causa di vere o presunte deficienze. In ambito colloquiale il sostantivo schifo ricorre con estrema frequenza in unione col verbo fare. Come si è detto, lo studente della maglietta nel presentarsi all’esame di Stato si è prefisso di richiamare l’attenzione sulla scuola italiana dichiarando che fa schifo.  Orbene, oltre allo schifo vanno ricordati i significati anche connotativi di scuola, esame, Stato, parole che a questo punto non basta più denotarle. Scuola dal greco σχολή significa, come si legge nell’Enciclopedia Treccani in rete, “libero e piacevole uso delle proprie forze indipendentemente da ogni bisogno o fine pratico determinato, cioè, in genere, esercizio dello spirito, per fini di godimento disinteressato e di cultura, nelle ore non occupate nelle faccende (gli otia dei Latini)”. Risparmieremo qui una storia della scuola dall’antichità ai nostri giorni, per la quale si può cliccare sul seguente link: treccani.it/enciclopedia/scuola
La voce enciclopedica citata contiene anche una trattazione dell’architettura scolastica.
È importante tenerla presente, in modo da cominciare a distinguere le condizioni materiali della scuola istituzionalizzata dall’attività che per brevità diremo spirituale di quanti operano in essa. Con lo slogan “La scuola italiana fa schifo” si corre il rischio di coinvolgere nel giudizio tutte indistintamente le persone che alla scuola si dedicano esercitando σχολή e otium, suscitando nell’opinione pubblica una reazione di rigetto.  Certamente la scuola non è solo divertimento. È anche impegno. Vengono in mente il leopardiano studio “matto e disperatissimo” e lo studio gramsciano studio come “un mestiere, e anche faticoso”. Non si può dire che tutto  ciò faccia schifo.
Digressione  sugli usi delle parole esame, maturità, Stato 
Quanto all’esame, il sostantivo reca in sé l’azione di ponderazione e bilanciamento insita nel latino examen, ossia “ago della bilancia”. L’importanza dell’esame si esplica, come è ovvio,  in tutti i campi della vita quotidiana: medico, giudiziario, scientifico, letterario, burocratico, ispettivo, religioso, eccetera. Per quanto concerne l’esame scolastico, il vocabolario Treccani in rete dà una definizione che riportiamo in parte: “Prova, variamente costituita e condotta, mediante la quale viene accertata: la preparazione conseguita dagli studenti nelle scuole dei diversi tipi e gradi, o privatamente […]”
Nei vari campi l’esame può essere condotto in modo accurato, puntuale, serio, severo, scrupoloso, pertinace, attento,  mentre viene depauperato e reso inutile o dannoso se risulta contrassegnato da trascuratezza, superficialità, faciloneria,  indulgenza, sciatteria, disinvoltura, incuria. Si badi che nello specifico campo scolastico il valore dell’esame è legato indissolubilmente alla qualità della scuola.
Ma che differenza c’è fra esame di maturità ed esame di Stato?
La nozione di Stato in senso moderno è andata evolvendosi a partire da Niccolò Machiavelli fino alla pietra miliare rappresentata  dalla  General Theory of Law and State, più nota in Italia come Teoria generale del Diritto e dello Stato, di  Hans Kelsen. Elementi costitutivi dello Stato sono popolo, sovranità, territorio, nel senso che il popolo esercita la propria sovranità su un dato territorio. Questa accezione di Stato, variamente discussa in dottrina, può essere intesa in senso totalitario o in senso democratico. Nell’ordinamento italiano lo Stato si configura come Repubblica dotata della sua Costituzione.
Di qui l’importanza dell’esame di Stato.
Particolare importanza, che talvolta sembra sfuggire durante la celebrazione di tale rito. Il superamento dell’esame da parte del candidato attesta ufficialmente che il candidato è ormai pronto, disposto, maturo a partecipare alla vita pubblica al pari degli adulti, avendo raggiunto la maggiore età dal punto di vista politico. Si tratta di una maturità democratica. Siamo sul piano di un’educazione civica non come disciplina a sé stante, ma come accoglienza degli esaminandi da parte degli esaminatori in nome della cultura quale fondamento della partecipazione. In tale prospettiva la legge 425/1997, nel  definire all’articolo 1 “Finalità e disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”, appare deludente.
La finalità risulta limitata all’accertamento della preparazione nelle discipline in consonanza con la sopra riportata definizione di esame del vocabolario Treccani in rete: “Gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore hanno come fine l’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo di studi […]”
Così si esprime lo stesso Ministero dell’Istruzione su questa concezione dell’esame:
“1997 – Luigi Berlinguer, con la Legge 425 del 10 dicembre 1997,     ha cambiato la denominazione in esame di Stato, attestandosi non     più sul concetto di maturità, ma sulla verifica e certificazione delle conoscenze, competenze e capacità.”
Sembra talvolta che lo stesso Ministero dell’Istruzione non abbia chiaro il più ampio significato di esame.
Forse sarebbe troppo chiedere al legislatore di formulare la norma in modo tale da cogliere l’essenza dell’esame come incontro fra persone. Le persone che s’incontrano per esaminare ed essere esaminate dovrebbero però conferire al dettato legislativo sull’esame un valore sottinteso, quello dell’importanza della cultura per l’inserimento nella società civile,  rispetto al quale l’esame stesso riveste un carattere propedeutico, senza limitarsi a un mero accertamento di conoscenze, competenze e capacità astrattamente considerate.
L’esame di maturità 2022: seconde prove scritte
Matmedia ha mostrato che la prosecuzione e il culmine del processo di apprendimento traggono giovamento per il futuro dal confronto fra scuole, reso possibile in occasione della maturità 2022 dalla delega della scelta delle seconde prove alle Commissioni di esame. La raccolta delle prove di matematica assegnate ha suscitato un diffuso interesse, riscuotendo notevole successo.  Peccato che alcuni Presidenti di Commissione non abbiano consentito di diffondere i testi delle prove, adducendo come motivazione del diniego la mancata menzione di tale possibilità nell’ordinanza ministeriale 65/2022, come se tutto ciò di cui non vi sia traccia in una disposizione fosse vietato. Strana mentalità la loro, dal momento che la mancanza di una proibizione non vieta espressamente. Sarebbe stato interessante se altri siti avessero organizzato per  un confronto anche la raccolta di seconde prove di altri indirizzi.
L’esame di maturità 2022 : prime prove scritte
Quanto alle prime prove, predisposte dal Ministero dell’Istruzione, dobbiamo riconoscere che questa volta le scelte non sono state infelici, anche se c’è stato il rischio di qualche complicanza legata per gli esaminandi  alla complessità delle richieste in rapporto al tempo disponibile e per gli esaminatori a una meticolosa e pletorica griglia di valutazione. Le tipologie: A – Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano; B – Analisi e produzione di un testo argomentativo; C – Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità. Gli argomenti proposti: A – Lirica di Giovanni Pascoli (La via ferrata); novella di Giovanni Verga (Nedda); B – Brano sulle leggi razziali da La sola colpa di essere nati di Gherardo Colombo e Liliana Segre; brano da Musicofilia di Oliver Sacks; brano sul cambiamento climatico da un discorso tenuto da Giorgio Parisi in sede politica; C – Brano sulla pandemia e l’ecologia da Perché una Costituzione della Terra? di Luigi Ferrajoli; brano sul mondo iperconnesso da Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello di Vera Gheno e Bruno Mastroianni. Non si comprende perché siano considerate tematiche di attualità solo quelle della tipologia C e non anche quelle della tipologia B, per non dire poi che tale classificazione rischia di relegare nella sfera dell’inattualità la letteratura in versi e in prosa.
Comunque per ogni personale considerazione e approfondimento  i testi sono consultabili integralmente al seguente link: www.istruzione.it/esame di stato
La stampa quotidiana e i siti dedicati alla scuola hanno dato ampio spazio non solo alle impressioni degli studenti, ma anche alle osservazioni di esponenti del mondo scolastico, accademico, culturale, come del resto accade di anno in anno.
Prova, questa, dell’interesse che l’esame di maturità continua a suscitare in larghi strati della popolazione adulta.
Facciamo nostro però il disappunto di Aldo Trione sul Corriere della Sera del 25.06.2022  per  la scomparsa del tema storico-artistico. A dire il vero, non è soltanto la storia dell’arte ad essere stata trascurata dal Ministero dell’Istruzione da qualche tempo a questa parte: la dimensione storica in generale appare priva ormai della debita considerazione, la qual cosa contribuisce a rafforzare l’impressione che si viva in un eterno presente.
Qualcuno si è chiesto perché non sia stata proposta una traccia sulla guerra scatenata dal dittatore russo contro l’Ucraina: con ogni probabilità il motivo è da ricercare nelle implicazioni e complicazioni di ordine politico che gli svolgimenti avrebbero potuto comportare, anche in considerazione dei confusionari dibattiti in cui si esibiva televisivamente anche chi attribuiva ogni responsabilità all’aggredito e non all’aggressore. Vero è d’altra parte che nella scuola la storia del Novecento risulta spesso trascurata o introdotta senza la necessaria conoscenza del retroterra dell’attualità. Sembra che abbia riscosso successo la visione di Eugenio Montale: “La storia non è magistra – di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve – a farla più vera e più giusta”. Ciò a danno del memorabile monito di Ugo Foscolo: “O Italiani, io vi esorto alle storie”. Peraltro la dimensione storica non dovrebbe limitarsi alla storia come disciplina a sé stante: tutte le discipline, sia umanistiche che scientifiche, dovrebbero essere inquadrate storicamente.
 La dimensione fantastica dell’esame
L’esame di maturità deve conservare la sua preziosa caratteristica: introdurre a una nuova realtà attraverso la dimensione del sogno. Lo ha ben messo in evidenza il nostro Giorgio Parisi intervistato da Iacopo Gori per il Corriere della Sera  del 23.06.2022, rispondendo alla domanda: “Che consigli vuole dare?”. Ecco la risposta dell’illustre scienziato:
“Di sfruttare le proprie capacità, di credere nei sogni. È importante non essere timidi nei propri sogni. Se uno pensa che abbiano una probabilità di realizzarsi non deve rinunciarci. La vita è una scommessa in cui la cosa migliore è sfruttare le proprie potenzialità: quello che ciascuno deve fare è capire quali sono. A volte sono nascoste, uno non si rende conto di avercele. C’è chi non realizza i propri sogni per paura di essere deluso. Bisogna cercare di realizzarli senza farne di impossibili.”
L’esame di maturità aiuta senz’altro a scoprire le proprie potenzialità nascoste oltre che a corroborare quelle di cui si è consapevoli: si apportino ad esso tutti gli aggiustamenti ritenuti opportuni o necessari, purché non lo si snaturi riducendolo a mero accertamento nozionistico in ossequio ad aberrazioni docimologiche alla moda, in quanto ciò che importa è la possibilità data allo studente di esprimere la propria personalità oltre che le proprie conoscenze. Pensiamo che a questo punto varrà la pena rileggere alla luce del nostro discorso l’Ordinanza ministeriale sull’esame di Stato relativa all’anno scolastico 2021-2022 di cui al seguente link: ordinanza-ministeriale
Tenendo presente, in ogni caso, che l’esame di maturità non è soltanto l’accertamento di quanto sanno e di ciò che sono i candidati, ma è anche la necessaria cartina al tornasole di quanto abbia dato loro la scuola.

 
 

Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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