Debate: un senso a questa storia

Debate: un senso a questa storia
di Annalisa Filipponi (*)
Si è parlato in questi anni molto del Debate e delle sue potenzialità didattiche, formative, ma anche agonistiche. Il fiorire di tante iniziative formative e di molti tornei di Debate, anche di livello nazionale e internazionale, richiedono però di fermarci un attimo, per fare, con calma, un passo indietro, chiedendoci perché abbiamo dedicato tanto tempo (ore scolastiche, ore di formazione, ore di attività extracurricolari) al Debate. E perché abbiamo dedicato e stiamo dedicando altrettanto tempo alla valutazione del Debate, nella sua forma competitiva. Stiamo dedicando tanto interesse al Debate per la sua struttura tecnica di “gioco di squadra”, di “sport didattico”, oppure per il suo significato di SENSO? Qualora si riconosca in questa seconda direzione, quali domande si pone chi si avvicina al Debate? E quali risposte ha trovato? Chi ha lavorato sul Debate e col Debate ha riscontrato una certa utilità per il suo ruolo di insegnante e in rapporto al miglioramento dell’apprendimento dei suoi studenti e delle sue studentesse?
Le domande sopra elencate costituiscono uno sfondo integratore per capire meglio le potenzialità di una metodologia che fa dell’ordine e della democrazia della discussione il suo elemento fondativo. Davanti al chiacchiericcio confuso e alla chiacchiera generalizzata il Debate cerca di far ritornare il dialogo e l’argomentazione ad una dimensione euristica in cui l’ascolto deve sempre precedere la risposta o l’obiezione. Cerchiamo, allora, di dare un “senso a questa storia”, anche perché – certamente – questa storia “un senso ce l’ha”.
DEFINIAMO IL CAMPO
Il primo elemento su cui poggiare la nostra attenzione è quello relativo alla differenza sostanziale tra pensiero statico e pensiero dinamico. Il pensiero statico è autoreferenziale, non evolve, non cresce. Spesso si fonda su un solo argomento come risposta ad un problema anche complesso. Il pensiero dinamico, invece, è in relazione anche con l’altro da sé. Si fonda sull’ascolto attivo ed è alla base dell’evoluzione dialettica della comunicazione con gli altri e con sé stessi. Il saper comunicare con sé stesso e in sé stesso è la base fondante del pensiero critico, dell’analisi e della sintesi argomentativa. Il pensiero critico si fonda su più argomenti, di cui almeno una parte è frutto di una rielaborazione e va oltre, come scrive anche Ludwig Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus (1921). Il pensiero attivo rielabora ciò che la mente umana ha ascoltato e colto, ma lo fa non con la velocità dell’Intelligenza Artificiale (che è una velocità di tipo statistico), ma attraverso la profondità e l’accurattezza di una ricerca e di una conseguente argomentazione che scava con calma dentro i propri riferimenti culturali.
Un aiuto per comprendere a fondo l’evoluzione argomentativa della comunicazione che costituisce parte integrante del Debate, può derivarci dalla dialettica hegeliana laddove ad una posizione di partenza (la Tesi) si attiva una posizione alternativa o antitetica (l’Antitesi) e solo l’inglobamento dell’Antitesi nella Tesi costituisce una Sintesi capace di far evolvere, arricchendoli, pensiero e conoscenza.
Da queste riflessioni si può comprendere come Il Debate, oltre a rappresentare un’interessante occasione di innovazione metodologica anche nella didattica curricolare, aiuti noi e i nostri allievi a crescere anche come persone e ci aiuti a difendere la nostra mente da un’evoluzione comunicativa prioritariamente situata nel web e nel digitale. L’evoluzione della comunicazione è avvenuta in modo del tutto inatteso attraverso la trasformazione di un sapere che si basava su enciclopedie riconosciute (di solito si usa il termine contenuti) ed ora è diventato un confuso aggancio con fonti così vaste e poco limitate da non poter essere governate da nessun umano. E così si è passati da una gestione critica e selettiva del sapere (quello che è contenuto nelle enciclopedie), ad una gestione confusa e personale di tutto lo scibile umano contenuto negli smartphone. Così ci siamo trasformati da comunicatori selettivi in comunicatori compulsivi e il nostro linguaggio quotidiano, anche di argomenti generici come la politica, lo sport, la cronaca, la moda, i costumi, è diventato l’elemento che ci ha trasformati in inconsapevoli operai del mercato multinazionale, tutti lavoratori non pagati al servizio di multinazionali dotate di loghi ma non di volti. In questo momento le multinazionali stanno sfruttando il lavoro gratuito di tutti noi, ma – soprattutto – stanno sfruttando il lavoro gratuito minorile di tutti i ragazzi e i ragazzini del mondo occidentale, che, digitando sugli smartphone, forniscono dati fondamentali per orientare le scelte economiche di questi “giganti cattivi” senza volto, senza coscienza e senza controllo. E tutto questo lavoro minorile è facilmente influenzabile e modificabile nelle scelte e nel pensiero, perché oggi il web si fa trasmettere, da persone inconsapevoli, i bisogni veri o indotti e li soddisfa, con una riedizione inattesa e inconsapevole del plusvalore marxiano.
Se le multinazionali della società della conoscenza dovessero pagare tutte le informazioni che oggi ricevono gratuitamente dalle app fintamente gratuite cui noi accediamo facilmente, non avrebbero cifre a disposizione per farlo. Se dovessero creare simulazioni di mercato, queste sarebbero molto meno attendibili dei bisogni manifestati senza cura da tutti noi e che riguardano idee, pensieri, prospettive, inclinazioni, desideri, bisogni che poi il mercato del web soddisfa con pochi soldi e molta velocità.
IL VACILLARE DEI PUNTI DI RIFERIMENTO VALORIALI DEL NOSTRO ESSERE PERSONE
Tutto questo avviene perché a poco a poco la nuova forma di comunicazione con cui tutti conviviamo, sta trasformando la nostra condizione umana, a cui “naturalmente” appartengono le categorie di vero/falso, giusto/sbagliato, invadendo la nostra personalità morale, creando incertezza nei pensieri, paura e a poco a poco trasformandoci da esseri pensanti a esseri superficiali più facili da manipolare. Questo lo si può riscontrare nel mirato attacco alle democrazie occidentali con un drammatico “remake” di quanto aveva scritto Hannah Arendt in Le origini dei totalitarismi (1951). Se attualizziamo la tesi della Arendt vediamo rinascere alcuni elementi che credevamo scomparsi dopo la Seconda Guerra Mondiale: la decadenza di molte classi sociali; masse di disperati che accettano qualunque occupazione pur di sopravvivere; la potenziale manipolazioni delle masse unite da bisogni ma non da idee e da interessi comuni; la divisione delle società in segmenti diseguali nei ruoli, nelle età, nell’appartenenza geografica. Tutta questa confusione identitaria ha un solo tratto comune: lo smartphone.
Così avviene che la propaganda di un tempo, che oggi non avrebbe più presa su nessuno, si trasforma in demagogia e falsità, gettate nel web ad una velocità tale che non è neppure possibile rubricarle e analizzarle. E d’altronde l’Intelligenza Artificiale Generativa è in grado di generare Fake News a velocità inaudita e senza costi: un sogno per venditori, oligarchi, multinazionali e cartelli criminali. In questo caos il grimaldello è il cercare di far passare un pensiero semplificato e superficiale, facile da pensare, ma facile anche da abbandonare. Non c’è più una dialettica critica nelle menti, ma solo enormi volumi di pensiero superficiale che si squagliano dentro memorie labili e si scordano tutto in fretta. Le nuove interazioni comunicative stanno trasformando le persone in esseri superficiali, che si fermano ai bisogni immediati e li vogliono soddisfare a poco prezzo. Può sembrare incredibile, ma anche nei sistemi democratici e liberali ci sono i germi del totalitarismo. Totalitarismo che ancora una volta piace.
Il Debate e le sue fasi propedeutiche (Dialogo euristico peer to peer in Comunità di ricerca, Public Speaking, Ricerca documentale etc.) tendono ad allenarci, sotto la forma del “gioco sport” ad un ascolto attivo, ad un pensiero critico attraverso un’analisi personale e di squadra dei contenuti (Affermazioni, Analisi delle Mozioni, Tesi Pro o Contro..) visti da prospettive diverse, facendoci principalmente rallentare il processo di approfondimento dei contenuti, recuperare l’uso del linguaggio e arricchire le nostre capacità di comunicazione anche attraverso la precisione nelle definizioni e nel lessico. Queste dinamiche sono fondamentali per potenziare la nostra attitudine verso un ragionamento più complesso. La dialettica sviluppata dal Debate è la dialettica della democrazia, del rispetto e il richiamo alla necessità che dietro ad ogni argomentazione ci sia un reale approfondimento per riappropriarci della nostra natura umana di esseri pensanti con capacità di decisione e di scelta.
CONTRO LA STATICITA’ DELLA SOCIETA’ E DELLA SCUOLA
La staticità della politica si è estesa anche nella società civile. Ogni parte politica ripete un unico pensiero in antitesi con quello della parte avversa, in uno schema semplice e diventato inascoltabile: non c’è mai evoluzione, ma solo ripetizione. Il sistema politico è chiuso e si è avvolto su di sé: nessuno prende in considerazione l’antitesi alle proprie tesi, perché basate non su argomenti, ma al massimo su appartenenze o su parole scelte per attirare il consenso effimero di tutto quello che viene dichiarato, ma non è mai stato applicato. Nella politica di oggi non c’è alcuna verifica di quello che viene detto perché non c’è mai rielaborazione.
Purtroppo, anche il sistema scolastico ha fortissime tendenze alla staticità nei contenuti (soprattutto di area umanistica), nelle tecniche argomentative (struttura delle lezioni, tempi scolastici) e nelle didattiche che, pur con molte e lodevoli eccezioni e con interessanti sollecitazioni esterne, sono basate sempre su una pratica di insegnamento trasmissivo di contenuti, con verifiche di apprendimento che sono sempre di più verifiche sui contenuti memorizzati. Lo studente sembra essere parte passiva della dinamica comunicativa all’interno di una classe dove permane la prassi dell’insegnamento/domanda/risposta/verifica della completezza della ricezione più o meno integra del contenuto trasmesso.
Le nuove tecnologie e le strutture collegate all’Intelligenza Artificiale Generativa, così come le molteplicità degli aggiornamenti, vengono accolte, più o meno volentieri, ma subito adattate alla non messa in discussione della struttura statica-contenutistica-trasmissiva dei saperi, in particolare nella Scuola secondaria sia di primo che di secondo grado. In tutto questo il ruolo del registro elettronico ha preso posto del registro cartaceo, aiutando una trasmisgrazione di dati che è diventata ancora più rigida e collegata a prodotti incancellabili, anche se dotati di poco senso didattico. Il registro on line è potente e impositivo ed ha un’origine aziendale che tende all’efficienza e non all’efficacia. È riuscito, ad esempio, a sterilizzare la grande novità introdotta dalla legge 92/2019 sull’Educazione Civica, riducendo la trasversalità e interdisciplinarità dell’apprendimento e della valutazione in ennesima media matematica di voti parcellizzati e totalmente disciplinari.
La classe come Comunità di ricerca e il Debate portano l’attenzione sull’apprendimento dello studente e sul suo sviluppo formativo, allenandolo alla potenzialità del pensiero critico. Al docente viene chiesto di accogliere e comprendere un meccanismo di apprendimento dialettico in cui gli studenti diventano co-protagonisti e il docente assume il ruolo di coordinatore laterale non di un’attività, ma di un contesto di apprendimento diverso.
Una nuova storia didattica a cui dare un senso diverso per aiutare tutti noi a uscire dal vicolo cieco della comunicazione urlata senza contraddittorio e diventata anche pericolosa.
(*) Presidentessa dell’Accademia di Argomentazione e Debate del Friuli Venezia Giulia DeAFVG.APS
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