Grande successo per la recita di fine anno delle classi quinte A,B,C della Marconi

Si è svolta con grande entusiasmo e partecipazione la recita di fine anno scolastico delle classi quinte A,B,C della scuola primaria Marconi, intitolata “Divina questa commedia”.

Un vero e proprio viaggio nell’Inferno di Dante, rivisitato in chiave ironica e divertente, che ha coinvolto studenti, insegnanti e genitori in un momento di grande emozione.9a466115-6202-49e9-b8b6-532afa5703ee

L’ispirazione per lo spettacolo nasce dal tema del Progetto lettura d’Istituto: il viaggio. I piccoli attori hanno così intrapreso un viaggio alla scoperta dell’ Inferno dantesco interpretando i personaggi più significativi dei gironi danteschi, partendo da Dante Alighieri e la sua guida Virgilio, fino ad arrivare a figure come Caronte, Cerbero, Minosse, Paolo e Francesca.

La scenografia, ricca di colori e dettagli, insieme ai costumi realizzati con cura dalle insegnanti, hanno contribuito a creare un’atmosfera suggestiva e divertente.

Lo spettacolo è stato allietato da canti e coreografie, rendendo la rappresentazione un vero successo. La conclusione è stata toccante: i ragazzi hanno interpretato la canzone di Cesare Cremonini “Buon viaggio”, tra lacrime e sorrisi, simbolo di un cammino che si conclude ma che lascia ricordi indelebili.

A rendere ancora più speciale l’evento, una commovente lettera scritta dai ragazzi alle loro insegnanti, esprimendo gratitudine e affetto per il percorso condiviso, e un video ricordo realizzato dalle insegnanti, che ha ripercorso i momenti più significativi di questi anni di scuola.

Un applauso a tutti i protagonisti di questa splendida avventura, che ha sancito un importante capitolo della crescita dei nostri ragazzi, pronti ad affrontare nuove sfide con il sorriso e la consapevolezza di aver compiuto un grande viaggio insieme.

Le immagini dei minori pubblicate su questo blog sono utilizzate in conformità con il consenso fornito all’inizio dell’anno scolastico dai genitori o dai tutori legali degli studenti, disponibile al link  https://icgramsciaprilia.edu.it/privacy/435-liberatoria-per-utilizzo-immagini come previsto dalle normative GDPR e dalla legge italiana sulla privacy.

Continua la lettura su: https://www.blogicgramsciaprilia.it/eventi/grande-successo-la-recita-fine-anno-delle-classi-quinte-abc-della-marconi/ Autore del post: IC Gramsci - Aprilia Fonte: http://www.blogicgramsciaprilia.it/

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La Divina Mimesis di Pasolini

Pier Paolo Pasolini, La Divina Mimesis, Einaudi, 1975. Un tentativo  privilegiato di  ritornare al senso profondo del pensiero dantesco.
Pier Paolo Pasolini (1922-1975)
Questa recensione si colloca volutamente al di fuori del 25 marzo, data del cosiddetto Dantedì.
Ormai è una moda svuotare di significato il messaggio del sommo poeta,  svilendolo in un clima di mercificazione ed esibizionismo. Si pensi, ad esempio, al Dante presentato ai bambini come un personaggio a fumetti o di figurine, al perpetuarsi di narcisistiche conferenze su Dante, ai tanti adattamenti teatrali della Commedia. Sono altrettanti esempi di come Dante non dovrebbe essere celebrato. I veri dì di Dante sono quelli trascorsi da docenti e studenti nel corso di un intero anno scolastico a contatto con la sua poesia e il suo messaggio. Il Dantedì invece è una cerimonia che si esaurisce in se stessa.
La Divina Mimesis  di Pasolini è un tentativo  privilegiato di  ritornare al senso profondo del pensiero dantesco.
Dante si prefisse lo scopo di guidare il genere umano alla beatitudine.  La Commedia è animata da un moto ascensionale verso il paradiso cristiano. Questa possibilità di redenzione da ciò che impedisce di essere felici può essere recepita da credenti e non credenti. Per entrambi si tratta di verificare nel corso delle proprie storiche esistenze se e come diventi possibile redimersi. Pasolini si accinse a una simile verifica con un racconto che poi non ebbe sviluppo. Dell’ambiziosa e disperata impresa restano soltanto due canti completi, non in versi,  in prosa; appunti e frammenti per i canti III, IV e, con un salto, VII; due note dell’autore. In una sua nota l’editore informa sul lavoro fatto per riordinare gli appunti sparsi lasciati da Pasolini.
I frammenti dell’opera in fieri reperiti ed editi mostrano quanto l’idea dell’imitazione dantesca  fosse tormentata.
Idea tormentata a partire dalle varianti del titolo: “Frammenti infernali”; “Memorie barbariche”; “La teoria”; “La divina teoria”; “La divina realtà”. Su uno dei fogli dattiloscritti figura anche il titolo “Paradiso”. Inferno, barbarie, paradiso: queste parole sono indizi della ricerca operata da Pasolini su se stesso e sulla realtà del suo tempo a partire dalla meditazione esistenziale di Dante. Ricerca che lo portava a scoprire quanto profondamente fosse insito nella coscienza del sommo  poeta il legame fra la sorte dell’umanità e l’impegno  politico. Dall’intera opera dantesca egli sentiva provenire una lezione valida in ogni tempo, lezione secondo la quale i più nobili ideali debbono essere messi alla prova sul piano politico, essendo chiamato ciascuno, anche se sentendosi dominato dallo sconforto, a dar prova di responsabilità e di impegno civile e umano.
Per Pasolini si trattava dunque di verificare la possibilità di realizzare un ideale salvifico nell’assetto politico della realtà contemporanea.
Pasolini intraprende il suo viaggio a quarant’anni, nella realtà della “Selva” del 1963, in una oscurità che è anche luce. È una mattinata di aprile, o forse maggio, nel suo ricordo confuso. La realtà è una realtà borghese. In  essa “l’unico dato buono” sono gli operai. Ogni tanto vengono riecheggiati e insieme trasformati dei versi danteschi. Ad esempio, mentre Dante scrive a proposito della selva: “Io non so ben ridir com’io v’entrai” (Inferno, I, 10), Pasolini a proposito della sua esperienza scrive: “Ah, non so dire, bene, quando è incominciata: forse da sempre”. Come Dante, si imbatte nella Lonza, nel Leone, nella Lupa, che gli impediscono di andare verso l’alto; ma mentre rovina giù, gli appare un’ombra, che si identifica con il suo io sdoppiato. Il Virgilio di Dante con enfasi dice “Poeta fui”, invece l’io speculare di Pasolini, come a voler sancire la morte di ogni speranza di cambiare il mondo con la poesia, antepone  il verbo al sostantivo:
“Fui poeta, – aggiunse, rapido, quasi ora volesse dettare la sua lapide – cantai la divisione nella coscienza, di chi è fuggito dalla sua città distrutta, e va verso una città che deve essere ancora costruita. E, nel dolore della distruzione misto alla speranza della fondazione, esaurisce oscuramente il suo mandato …”
L’incontro con se stesso come guida avviene in un clima di iniziale scoramento.
La guida, che avrebbe potuto essere Gramsci, o Rimbaud, o Charlot, scrive Pasolini, è invece “un piccolo poeta civile degli anni Cinquanta […] incapace di aiutare se stesso, figurarsi un altro”. La bestia che più gli fa paura è la Lupa. Dante con la Lonza identifica la lussuria e con la Lupa l’avarizia. Pasolini fonde avarizia e lussuria nella sola figura della Lupa. Ossessionato dal sesso, immagina che al posto del Veltro come salvatore avvenga l’avvento di un vizioso capitalista:
“Questo qui […] non sarà padrone di fabbriche o di catene di giornali, non possiederà feudi nel Sud, ma sue ricchezze saranno spirito aziendale, capitale cartaceo, e patria plurinazionale. Ah, ah, ah! Sarà lui la salvezza del mondo: che non si rigenererà affatto con le morti assurdamente eroiche a cui è delegata l’umile gioventù di sempre […]”
Nel secondo canto Pasolini rielabora sempre in chiave moderna la tematica dell’esitazione di Dante, che confessa a Virgilio di non sentirsi degno di intraprendere il viaggio nell’aldilà.
Questo potrebbe essere definito il canto dei fiori. Prendendo spunto dai “fioretti” piegati dal gelo notturno e risorti al calore dei raggi del sole, immagine con cui Dante, rincuorato da Virgilio, si sente il cuore invaso dal “buono ardire” di seguirlo nell’oltretomba, Pasolini si decide a seguire se stesso come un “fiorellino”  nel suo inferno sulla Terra:
“Anch’io, come un fiore – pensavo – niente altro che un fiore non coltivato, obbedisco alla necessità che mi vuole preso dalla lietezza  che succede allo scoraggiamento. Poi certo verrà ancora qualcosa che mi offenderà e mi massacrerà: ma anche per me, come per i fiori delle altre primavere, il passato si confonde con il presente, e un prato è qui, e, insieme, nel cosmo!”
Negli appunti e frammenti per il terzo canto Pasolini si rifà ai versi danteschi in cui tumultuano “diverse lingue” e “orribili favelle”.
Ed eccolo l’inferno sulla Terra. È la “Città” – una città come tante altre nel mondo. “Dialetti, o gerghi, parlate di poveri o di ricchi[…]”: sono i  linguaggi che vi si odono, tali da “rivelare subito socialmente i parlanti” ma “sotto un aspetto asociale, spaventoso”. Costoro corrispondono agli ignavi. Hanno scelto di “essere come tutti”, senza trovarsi però  in “una condizione di reale innocenza”. Ad essi si contrappongono altri che, pur essendo come tutti, non hanno peccato di ignavia, ma hanno combattuto per la libertà: i partigiani.
Negli appunti e frammenti per il quarto canto Pasolini chiede perdono al lettore.
La richiesta di perdono è dovuta alla sproporzione fra ciò che il nuovo Dante vorrebbe e ciò che riesce a dire. Eppure lui non ha potuto fare a meno di esprimersi. Infatti il sapere a un certo punto esige di essere manifestato. Nel silenzio si realizza soltanto “il nostro intimo conformismo”, del quale non ci interessiamo per il motivo che può essere così esplicitato:
“Odiamo il conformismo degli altri perché è questo che ci trattiene dall’interessarci al nostro. Ognuno di noi odia nell’altro come in un lager il proprio destino. Non sopportiamo che gli altri abbiano una vita e delle abitudini sotto un altro cielo. Vorremmo sempre che qualcosa di esterno, come per esempio un terremoto, un bombardamento, una rivoluzione, rompesse le abitudini dei milioni di piccoli borghesi che ci circondano. Per questo è stato Hitler il nostro vero, assoluto eroe […] L’Inferno che mi son messo in testa di descrivere è stato semplicemente già descritto da Hitler. È attraverso la sua politica che l’Irrealtà si è veramente mostrata in tutta la sua luce. È da essa che i borghesi hanno tratto vero scandalo, o, mi vergogno a dirlo, hanno vissuto la vera contraddizione della loro vita.”
Poi Pasolini si rifà al nobile castello degli spiriti magni. Raffigura una schiera di poeti nel giardino di un villa a qualche chilometro da Praga. Sono poeti boemi o slovacchi. In Italia in un luogo analogo i poeti italiani avrebbero le sembianze volgari di piccoli borghesi e apparirebbero come una sorta di impiegati.
Pasolini continua quindi la sua analisi della società. Una società in cui “non c’è alcuna soluzione di continuità tra suddito e padrone, tra lavoratore e capitalista”. Una società in cui l’essere umano è ridotto alla dimensione di “acquirente”, eccezion fatta nel caso del poeta,  per il quale è impossibile “avere una figura economica”.
Negli appunti e frammenti per il VII canto ritorna la tematica del conformismo.
È questa la tematica che a Pasolini preme esprimere: il conformismo. Perciò egli salta il quinto e sesto canto, canti di Paolo e Francesca e delle vicende di Firenze. Nel canto settimo dell’inferno dantesco sono puniti avari e prodighi, iracondi e accidiosi. Nel canto settimo dell’inferno pasoliniano i piccoli borghesi scontano questo “peccato”: “seppero come non essere conformisti, e lo furono”. La narrazione prosegue con le Demonie, una “polizia infernale femminile”, costretta a far passare il viandante sdoppiato oltre una sbarra  che lo separa da una grande folla. In essa vi è un grande numero di donne, nelle quali “il conformismo ha sempre una certa grandezza”, come una vera e propria  “religione”. Invece i maschi si sono macchiati di “peccati così orrendi come quelli commessi dalla borghesia in questo secolo, per difendere il proprio diritto a odiare la grandezza”. E in proposito vengono evocati Buchenwald e Dachau, Auschwitz e Mauthausen. Poi il viaggio prosegue verso la “Zona dei Riduttivi” e il “Settore autonomo Raziocinanti: Irrazionali e Razionali”.
Qui l’ambiziosa e disperata impresa di Pasolini si interrompe.
Quanto l’impresa fosse ambiziosa e disperata lo si può comprendere ancor meglio sulla base delle due note in cui Pasolini illustra il suo progetto. Libro da scrivere a strati, ciascuno dei quali datato come un diario. Opera sempre in fieri, “un misto di cose fatte e di cose da farsi – di pagine rifinite e di pagine in abbozzo, o solo intenzionali”.  La lingua dell’Inferno sarà “l’ultima opera scritta nell’italiano non-nazionale, l’italiano che serba viventi e allineate in una reale contemporaneità tutte le stratificazioni diacroniche della sua storia”. Invece per  i Due Paradisi da progettare e costruire occorrerà un italiano “come lingua nazionale parlata, fondata non più sull’italiano letterario né sull’italiano strumentale dialettizzato, come lingua franca degli scambi commerciali e della prima industrializzazione – ma sull’italiano, parlato nel Nord, come lingua franca della seconda industrializzazione”.
Considerando la severa critica della realtà nella Divina Mimesi, ci chiediamo se e come una dimensione paradisiaca  avrebbe potuto essere rappresentata da Pasolini.
Siamo di fronte a un’opera difficile da recensire.
Perché dunque recensire La Divina Mimesis? Nessuna recensione rende giustizia a un’opera letteraria. Se ha un valore, lo ha nella misura in cui la fa conoscere e spinge a leggerla. Però recensire la Divina Mimesis  non può avere soltanto lo scopo di far sentire il bisogno di immergersi nella sua straordinaria prosa lirica. Una prosa lirica che resta fra le più alte espressioni letterarie del Novecento. Al di là di questa auspicabile esperienza di lettura vi è una presa di coscienza dell’oltraggio perpetrato con le odierne celebrazioni della Commedia come un’opera a sé stante, staccata dal Convivio, dalla Monarchia,  dal De vulgari eloquentia, dalla cultura classica e cristiano-medioevale. Pasolini ci aiuta a comprendere il vero valore dell’opera di Dante. Ostacoli a comprenderlo sono il pervicace retaggio di un Benedetto Croce, intento con supponenza a distinguere poesia e non poesia, e il clima festaiolo di riduzione dell’opera dantesca a pretesto per ogni sterile divagazione.
Il vero valore di Dante non si colloca sul versante meramente estetico.
Il valore di Dante, valore ben riconosciuto da Pasolini, è l’impulso all’azione come  essenza e scopo della Commedia. Un nostro poeta ha parlato della “forza incoativa” delle concatenate terzine  dantesche. Questa “forza incoativa”, vale a dire energia che si rinnova di continuo senza mai affievolirsi, è non solo lirica, ma anche e soprattutto etica nella sua religiosità. Dante ci chiama a una trasformazione. Vuole essere letto affinché ci assumiamo il compito di trasformare noi stessi e il mondo in vista dell’universale felicità nel mondo terreno prima ancora di poter godere di una beatitudine ultraterrena. Consideriamo, ad esempio, questi versi:
“Quali  i fioretti, dal notturno gelochinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,si drizzan tutti aperti in loro stelo,tal mi fec’io di mia virtude stanca,e tanto buono ardire al cor mi corsech’i’cominciai come persona franca […] (Inferno, II, 127-132)
Dante, rincuorato da Virgilio, che gli ha spiegato come il suo viaggio nell’aldilà sia voluto dal cielo, comincia a dichiararsi pronto all’impresa. Sul piano estetico apprezziamo elementi come  la similitudine dei fiorellini che la luce del sole fa risorgere; il ritmo dell’endecasillabo e tanto buono ardire al cor mi corse che con gli accenti sulla sesta e sulla decima, invece che su quarta, ottava e decima, meglio si attaglia alla rapidità della presa di coraggio; le risonanze interne delle parole cor – corse; ma questa resa lirica è voluta per mettere in risalto il “buono ardire”, l’essere disposto all’azione, la volontà di affrontare ogni cimento con un’attitudine fortemente razionale.
Chi recepisce oggi questo messaggio?
È la domanda che Pasolini si è posto e alla quale ha cercato di rispondere con La Divina Mimesis, prendendo posizione contro i moderni ignavi, pur dubitando di un possibile riscatto dell’umanità dalla sua irresponsabilità. L’umanità è chiamata comunque a scuotersi dall’inerzia, poiché in questo inferno terreno resta pur sempre il dovere dell’impegno contro il conformismo. Cercare di cambiare in meglio un  mondo degradato è il compito che ci compete. Ognuno è tenuto a trovare in se stesso il suo Virgilio. Ce lo insegna Dante e ce lo ricorda Pasolini.
        

Con Dante a salire a le stelle….

Gli alunni delle classi 2D e 2F hanno iniziato un percorso di scoperta nella letteratura e si sono messi in viaggio sulle orme di Dante Alighieri con l’intento di diventare lettori più consapevoli del testo più famoso della letteratura italiana: la Commedia.

A traghettare in questo viaggio gli alunni saranno le rispettive docenti di lettere, le professoresse Barbara e Cinzia Pedrazzi, che avranno il compito di scegliere le strategie e le metodologie più adeguate per arrivare a salire a le stelle dopo aver affrontato fiere e demoni.

Punto di partenza nella conoscenza del Sommo Poeta è stata la ricostruzione biografica, dell’albero genealogico e degli incontri più significativi che hanno influito profondamente sulla vita dell’uomo e dello scrittore.

Il primo testo di riferimento è il libro di Marco Santagata dal titolo Le donne di Dante, edito da il Mulino.

Da settecento anni la stella di Dante continua a brillare alta nel firmamento degli «spiriti magni» del nostro paese e della cultura occidentale.

Marco Santagata in questo libro racconta il grande poeta fiorentino attraverso le donne che egli conobbe di persona o di cui sentì parlare e che ne accompagnarono l’intero cammino.

Dalla madre Bella alla moglie Gemma Donati e alla figlia Antonia, che si farà monaca col nome di Beatrice. Sono presenti le donne amate, prima fra tutte il suo amore giovanile, la Bice Portinari trasfigurata nella Beatrice della «Vita Nova» e del «Convivio», e poi angelicata nel Paradiso; infine le dame e le gentildonne del tempo, come Francesca da Rimini e Pia de’ Tolomei, che pure trovano voce nelle cantiche della «Commedia».

La seconda tappa del viaggio ha visto i ragazzi avvicinarsi alla Divina Commedia ed attraversare i tre regni.

Per poter affrontare il lungo viaggio ricco di insidie e di colpi di scena gli alunni hanno voluto conoscere i pericoli che avrebbero dovuto affrontare e si sono soffermati ad esaminare i mostri presenti nell’Inferno.

Le professoresse, nei panni di guide e prendendo spunto dal progetto lettura d’Istituto, hanno fornito gli strumenti necessari: un laboratorio creativo finalizzato alla realizzazione di un libro pop-up che contenesse le figure mostruose più significative dell’inferno dantesco.

Dalle tre fiere a Caronte, nocchiero infernale, da Minosse a Cerbero, fino alla città di Dite con le Erinni.

Proprio all’ingresso della città di Dite i ragazzi si sono trovati in un cimitero ma con delle visibili stranezze: i coperchi delle tombe erano alzati e dai sepolcri, oltre ai lamenti dei dannati, uscivano fiamme roventi.

Per rendere lo studio ancora più stimolante le docenti hanno pensato di ricorrere ad un altro strumento di promozione della lettura utilizzato ormai da diversi anni nei laboratori creativi ed espressivi: il kamishibai.

Il Kamishibai invita a raccontare e fare teatro, a scuola, in biblioteca, in ludoteca e a casa. Un teatro che sale in cattedra, usandolo come luogo scenico per creare un forte coinvolgimento tra narratore e pubblico.

Il testo che le insegnanti hanno scelto per questo laboratorio è di Assunta Marrone, si intitola A salire a le stelle, con le illustrazioni sono di Lida Ziruffo ed edito dalla casa editrice Artebambini, la prima casa editrice a portare in Italia questo caratteristico metodo di raccontare storie.

Le professoresse hanno incontrato Assunta Marrone. in occasione della fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi, svoltasi a Roma presso la Nuvola dal 4 all’8 dicembre, che rappresenta per il nostro progetto lettura una tappa obbligatoria perché ricca di incontri stimolanti come quello appena descritto.

I ragazzi della 2D e della 2F si sono lasciati, infatti, trasportare dalle parole e dalle bellissime illustrazioni (19 tavole illustrate) del kamishibai che hanno reso l’esperienza del viaggio più tangibile.

Il libro racconta del viaggio di Dante che lo porta in un cammino tra i tre regni dell’aldilà. In compagnia di Virgilio e Beatrice vedrà anime dannate e pure, e con loro bestie e diavoli, ma anche stelle e cieli azzurri. Un viaggio che diventa storia tra le mani del sommo poeta.

La lettura è stata accompagnata, inoltre, dalla colonna sonora realizzata in esclusiva per Artebambini da Massimo Belmonte. 

Il viaggio dei nostri ragazzi è solo all’inizio. Proseguirà nel corso del secondo quadrimestre tra giochi, letture e caviardage alla scoperta di Dante nell’arte, nel cinema e nella musica.

Alla prossima avventura!!!

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