L’insegnante nell’era dell’intelligenza artificiale

L’insegnante nell’era dell’intelligenza artificiale

di Margherita Marzario

“Le trasformazioni sociali in atto lanciano nuove sfide educative agli insegnanti che, per rispondere in modo adeguato, sono chiamati a modificare i loro codici comunicativi abituali per creare alleanze pedagogiche valide, attraverso l’utilizzo di metodi attivi di apprendimento che favoriscano un coinvolgimento più profondo degli studenti e promuovano un’esperienza educativa più dinamica ed efficace” (cit.). Gli insegnanti sono chiamati sempre più a essere professionisti dell’apprendimento e non semplicemente esecutori o mediatori. Lo stesso vale (o varrebbe) per i genitori per il loro ruolo educativo.

Enrico Galiano, scrittore e insegnante, afferma: “Il pessimo insegnante ti tratta come uno studente, il bravo insegnante ti vede come una persona. Il pessimo ti fa sentire stupido, il bravo ti fa sentire intelligente, il pessimo ti fa sentire un contenitore da riempire, mentre il bravo ti fa vedere che sei già pieno di qualcosa e che hai solo bisogno di scoprire che cosa”. La (buona) scuola non è quella più dotata di nuovi spazi, laboratori, dispositivi, esperti e altro ancora, ma è quella costruita su relazioni incisive, positive, significative.

Il pedagogista Daniele Novara scrive: “Chi non ha avuto un insegnante che gli è rimasto nella memoria come figura positiva, che gli ha dato qualcosa in più, che ha lasciato un segno? Il bello dell’insegnare, al di là di tutte le frustrazioni, è proprio questa possibilità di relazione forte e sostanziale con i propri alunni. Certo, non sempre gli insegnanti sono all’altezza di questo compito”. Insegnare non è finalizzato ad assegnare compiti ma svolgere al massimo il proprio compito per consegnare compiti di vita.

Daniele Novara aggiunge: “[…] è più comodo e facile «usare» l’insegnante di sostegno per un’assistenza scolastica esclusiva e riservata al disabile, portandolo fuori dal gruppo, piuttosto che sviluppare una classe che sappia lavorare assieme e condividere i compiti di crescita. Ma pensare che una legge gestita male sia sbagliata e ipotizzare il ritorno a uno stato precedente è come chiedere il ripristino della pena di morte solo perché ci sono troppi delinquenti in giro”. Ogni insegnante dovrebbe essere considerato “di sostegno”, perché ogni alunno in quanto persona (e non certificato) è portatore di differenza e fragilità e l’insegnamento è dare un sostegno con-sapevole e com-petente durante la crescita più o meno irta di difficoltà, che sono le disabilità comuni.

“Cos’è l’educazione se non un processo “magico” in cui gli elementi che abbiamo a disposizione sono continuamente adattati, capovolti, rovesciati, trasformati e rimescolati come in una pozione, a seconda delle esigenze dei nostri studenti? Se così intendiamo l’educazione allora sì, noi insegnanti possiamo definirci dei maghi! In fondo troviamo soluzioni, strategie, percorsi, capaci di dare luce alle nostre idee e a quelle dei nostri allievi” (cit.). “Magia” significa etimologicamente “ingrandire, onorare, festeggiare” e l’educazione è magia perché ingrandisce, onora, festeggia qualcosa che già c’è in ogni bambino e agisce così con ogni risorsa o in ogni situazione. “[…] l’educazione del fanciullo deve tendere a promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità” (art. 29 lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

La vera magia dell’insegnamento e nell’insegnamento è la libertà di insegnamento (art. 33 Costituzione). L’insegnamento è una forma di libertà di stampa. Anche i bambini e i ragazzi hanno diritto alla libertà di stampa ai sensi dell’art. 13 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che si esplica nei disegni, nei testi e in ogni altra forma di espressione.

Magia e libertà che si esercitano anche nella lettura, come sottolineano i formatori Federico Batini e Martina Evangelista: “Il teorico della letteratura statunitense Jonathan Gottschall sostiene che “le storie sono macchine dell’empatia” e cita uno studio che dimostra come i giovani lettori della saga di Harry Potter non solo si immergano nelle emozionanti avventure del protagonista, ma anche nel suo atteggiamento personale di tolleranza. L’insegnante che in classe legge storie, dunque, non sta solo facendo un regalo alle bambine e ai bambini, contribuendo a creare un’atmosfera piacevole, dinamica e al tempo stesso rilassata, non sta facendo italiano, non sta promuovendo la crescita di future lettrici e futuri lettori; sta facendo tutto questo, ma soprattutto sta allenando la capacità delle proprie studentesse e dei propri studenti di essere umani. Grazie all’incontro, e talvolta anche allo scontro, con tante trame differenti e insolite offriamo a ciascuno un giro intorno al mondo senza spostarsi fisicamente dall’edificio scolastico, realizzando un vero e proprio laboratorio di educazione alle differenze”. La lettura ad alta voce è un’attività polivalente che adempie a tutti gli obiettivi educativi dell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Non è necessario perciò farla seguire (ogni giorno) da altra attività come la rappresentazione grafica o la sintesi di quello che si è letto.

La lettura è anche un ottimo strumento per la valutazione e autovalutazione. “L’autovalutazione è un processo che mette lo studente al centro del proprio percorso formativo, rendendolo consapevole e attivo nei suoi apprendimenti. Questo strumento è essenziale per sviluppare autonomia e capacità di autoregolazione, permettendo allo studente di riflettere sulle proprie conoscenze, abilità e competenze. Come evidenziato nell’art. 1 del D.Lgs. 62/2017: «La valutazione… promuove l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze»” (cit.). Valutare significa letteralmente “dare valore” e non giudizi o voti, per cui è un processo davvero importante giacché si impara a dare valore a ciò che vale, etimologicamente ciò che è sano, che merita pregio. Ancora più determinante è l’autovalutazione perché è un aspetto dello sviluppo della personalità. Quanto fa o non fa la scuola e ogni singolo insegnante!

“L’insegnante creativa è una regista dell’apprendimento e maga dell’improvvisazione, trasforma ogni lezione in un’avventura su misura per menti curiose, capace di scatenare passioni e talenti di ogni studentessa e di ogni studente. L’insegnante narratore è l’erede segreto dei cantastorie, sa che un buon racconto vale più di mille schede didattiche e porta ragazze e ragazzi a bordo del tappeto volante, all’interno delle lezioni, attraverso il potere fascinoso delle storie. Per aiutarli a sprigionare e creare contenuti che ricorderanno per sempre. L’insegnante green coltiva menti come semi, costruendo lezioni che fioriscono di sostenibilità e fanno germogliare, piante, dati, idee. Nutre le idee che dissemina in classe e crea radici profonde, che si innestano nell’esperienza di ragazze e ragazzi, per far sbocciare un apprendimento destinato a durare per tutta la vita” (cit.). Per educare alla creatività, alla lettura, alla natura, l’insegnante deve avere già in sé queste qualità e crederci, lavorare in maniera laboratoriale, progettuale, senza la necessità di formalizzare progetti o altre iniziative. Per educare e insegnare bisogna avere metodo e non un determinato metodo. Occorrono principalmente osservazione e organizzazione. Teatro e educazione sono due elementi strettamente connessi perché l’aspetto fondante di entrambi è la relazione. Nel laboratorio teatrale il conduttore ha il compito progressivo di contenere, indirizzare e dirigere il gruppo, deve essere in grado di padroneggiare professionalmente competenze teatrali e pedagogiche. Così il ruolo dell’insegnante a scuola, tra compiti e competenze.

“Prima che insegnanti, siamo persone e la chiave per fare bene il nostro lavoro è essenzialmente essere noi stessi, autentici. Per esserlo “è sufficiente” portare tutti noi stessi dentro ad ogni lezione. Per prima cosa è importante conoscere noi stessi, scoprire i nostri punti di forza e quelli di debolezza, scoprire cosa ci mette in difficoltà e cosa ci esalta da matti. Se sei consapevole di tutto questo il tuo non può che essere un percorso autentico” (cit.). L’autenticità, l’autorialità, l’operare da sé, sono il contrario dell’autoreferenzialità, dell’artificiosità che caratterizzano talvolta l’insegnamento.

“Don Lorenzo Milani: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola… Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere”. Impariamo da Don Milani a guardare il mondo con occhi nuovi, capaci di scorgere la bellezza e la ricchezza presenti in ogni persona” (cit.). L’insegnante è colui che insegna, è più grande dei suoi discenti solo per età ed esperienza ma, per il resto, continua a crescere e ad apprendere con loro. L’aver seguito un corso di studi e conseguito un titolo non significa essere “arrivati”. Una delle qualità dell’insegnante “per arrivare” agli alunni è l’umiltà, strettamente correlata all’empatia continuamente evocata a scuola, in quanto si dice ripetutamente di insegnare con empatia e di insegnare l’empatia.

L’empatia non si insegna (meno che mai a scuola) ma si coltiva e si concima in relazioni empatiche, dalla famiglia in poi. E l’insegnamento-apprendimento è una delle relazioni empatiche più rilevanti nella vita di ciascuno che nessuna forma di intelligenza artificiale può uguagliare.

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