Scuola e precarietà: morire per un lavoro

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La settimana scorsa, l’11 giugno, una docente, Alessandra Casilli, è morta sul lavoro. Casilli insegnava matematica come supplente al liceo Rocci di Passo Corese. È morta schiantandosi contro un camion sulla strada statale Venafrana. La statale Venafrana è una delle strade più pericolose d’Italia, teatro di molti incidenti mortali; da tempo viene chiesto al governo di provvedere ai lavori di allargamento della carreggiata, senza ascolto. 
Casilli stava tornando da Campobasso a Roma. A Campobasso aveva svolto l’esame orale per docenti per la classe di concorso A040 – Scienze e tecnologie elettriche ed elettroniche. A Roma la aspettava una cena di classe. 

Gli esami fuori regione sono una indecente consuetudine dei concorsi per docenti, servono a far risparmiare soldi all’amministrazione che accorpa più commissioni, e sono una pena aggiuntiva per chi vuole uscire dal precariato. Alessandra Casilli aveva 54 anni, era ancora una docente precaria, come un quarto dei docenti italiani. Precari storici, come si usa dire con un desolante ossimoro. Persone che svolgono un lavoro fondamentale e strutturale per il funzionamento della scuola italiana, ma per cui lo stato non ritiene giusto garantire il diritto a un lavoro dignitoso. “Per andare a fare i concorsi, ad esempio, i docenti non di ruolo debbono chiedere un giorno di permesso, che però non viene retribuito. I posti messi a bando nei concorsi non bastano mai per coprire le cattedre disponibili”, come hanno scritto, ricordando Alessandra, le sue colleghe e i suoi colleghi in un’importante lettera aperta, destinata

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