Stipendi al limite della povertà, ecco perché i docenti sono costretti ad elemosinare progetti e incarichi, la lettera

Alla cortese attenzione della Redazione,
scrivo per portare all’attenzione dell’opinione pubblica una realtà che, purtroppo, molti conoscono ma pochi hanno il coraggio di denunciare con chiarezza: la condizione salariale dei docenti italiani, sempre più vicina alla soglia della povertà.

Chi lavora nella scuola vive ogni giorno una contraddizione intollerabile: da un lato, la retorica che celebra l’importanza dell’educazione e il ruolo centrale degli insegnanti nella formazione dei cittadini di domani; dall’altro, stipendi che, nella pratica, non riflettono affatto questa centralità. In molti casi, gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi d’Europa, sia in valore assoluto che in rapporto al costo della vita.

Questa situazione genera effetti profondamente distorti: per poter integrare un reddito insufficiente, i docenti sono spesso costretti a inseguire incarichi extra, progetti scolastici, commissioni, attività pomeridiane, concorsi interni. Parliamo di lavori aggiuntivi che, nella maggior parte dei casi, fruttano poche centinaia di euro l’anno, e che vengono portati avanti a fronte di un investimento di tempo, energia e competenze tutt’altro che marginale.

Si tratta di una rincorsa continua, estenuante, che svilisce la professione e priva l’insegnamento del tempo e dello spazio necessari per riflettere, aggiornarsi, innovare. È anche una forma di ingiustizia sociale, perché costringe i docenti a vivere in una precarietà mascherata, fatta di sacrifici silenziosi e di una dignità professionale sistematicamente trascurata.

Mi chiedo: è questa la considerazione che il nostro Paese riserva a chi educa le nuove generazioni?

Possiamo davvero parlare di scuola “al centro” se chi la fa vivere ogni giorno è costretto a barcamenarsi tra mille incarichi per arrotondare uno stipendio inadeguato?
Chi lavora nella scuola non chiede privilegi, ma rispetto. E il rispetto passa, inevitabilmente, anche attraverso una retribuzione equa e dignitosa.

Con stima,
Silvia T.

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