Per una scuola che non si fermi

La scuola italiana è davvero pronta a misurarsi con le sfide di un mondo in rapido cambiamento? Oppure rischia di arroccarsi dietro vecchi e nuovi paternalismi, incapace di affrontare con lucidità e coraggio la complessità del presente?
È questa una delle domande che aleggia, potente e necessaria, tra le pagine di La scuola non si fermi all’Occidente (Edizioni Conoscenza), un’opera corale e vibrante che nasce da un’esperienza collettiva rara e preziosa: quella di circa quaranta docenti, coordinati dal dirigente scolastico Paolo Saggese, insieme alle altre due curatrici del volume, Patrizia Granato e Rosa Anna Palumbo. Le prefazioni sono di Giuseppe Ciuffreda e Roberta Fanfarillo.

Non è un semplice libro sulla scuola, ma un laboratorio di pensiero, un esercizio di democrazia professionale e riflessione condivisa, che prende le mosse dal dibattito sulle nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo del primo ciclo d’istruzione, con l’obiettivo di proporre un’analisi critica, profonda e, soprattutto, autentica del presente educativo italiano. Un’indagine che attraversa, dall’interno, i tre segmenti fondamentali del percorso formativo: scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado.

Il libro si muove su un doppio binario: da un lato riconosce alcuni meriti del nuovo documento ministeriale, come la valorizzazione delle discipline umanistiche, l’enfasi sulla lingua italiana quale fondamento della cittadinanza, e l’interesse rivolto allo studio del latino. Dall’altro lato, tuttavia, mette in luce, con garbo e fermezza, i rischi di una visione troppo orientata alla difesa di un presunto canone occidentale, confondendo, in maniera riduttiva, la supremazia tecnologica e militare di una parte del mondo con un supposto primato storico in termini di libertà e democrazia.

Tra i passaggi più significativi vi è proprio la denuncia, composta ma ferma, dell’insufficienza dell’approccio interculturale proposto dalle nuove Indicazioni. Si parla di pluralismo, ma si resta ancorati a una prospettiva eurocentrica. Si evoca la cittadinanza globale, ma si fatica a rendere visibili le culture che oggi abitano le classi. 

A emergere è il timore che, dietro alcune scelte ministeriali, si annidi un approccio difensivo, talvolta persino reattivo, sostenuto da un lessico da trincea e dalla narrazione di forze esterne da cui proteggersi. Un atteggiamento che ricorre, non di rado in modo strumentale, a capisaldi della tradizione italiana evocati più per erigere barriere che per costruire ponti.

La scuola, suggeriscono gli autori, non può più permettersi di essere soltanto trasmissiva. Al contrario, deve diventare uno spazio di mediazione culturale, di negoziazione simbolica, di confronto reale tra identità e prospettive differenti. Serve un’educazione che sappia attraversare i saperi, ibridarli, renderli capaci di interrogare e interpretare il mondo contemporaneo, senza scadere in un nozionismo autoreferenziale. Non si tratta certo di rinunciare alla tradizione, ma di farla dialogare con la complessità del presente, riconoscendo che la qualità della scuola non si misura solo nei contenuti insegnati, ma nella capacità di formarli alla luce di contesti vivi e mutevoli.

La scuola non si fermi all’Occidente è, insomma, un gesto di consapevolezza e di speranza. Un atto d’amore per la scuola pubblica, intesa come luogo di libertà, responsabilità e costruzione del futuro. Una lettura necessaria per chi insegna, per chi amministra, per chi pensa che l’educazione non sia una questione secondaria, ma il cuore pulsante di ogni civiltà che voglia durare.

Aristide Moscariello

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