Il growth mindset

Il growth mindset
Coltivare la mentalità di crescita a scuola
di Bruno Lorenzo Castrovinci
Nel contesto educativo italiano, segnato dalla sfida della dispersione scolastica, dell’inclusione e del recupero degli apprendimenti, il concetto di growth mindset può rappresentare una risposta strategica, in grado di promuovere un nuovo paradigma culturale dell’apprendimento fondato su fiducia, plasticità e valorizzazione dell’errore.
Negli ultimi anni, il concetto di growth mindset ha acquisito una crescente diffusione nel panorama educativo internazionale, configurandosi come uno degli approcci pedagogici più dibattuti e promossi a livello globale. Nato dagli studi della psicologa statunitense Carol Dweck negli anni Novanta presso l’Università di Stanford, questo approccio si fonda sull’idea che l’intelligenza e le capacità non siano doti innate e immutabili, bensì competenze dinamiche che possono essere sviluppate nel tempo attraverso l’impegno, la perseveranza e l’apprendimento dagli errori. A differenza della mentalità fissa, che tende a cristallizzare i limiti e a scoraggiare il miglioramento, il growth mindset favorisce negli studenti un atteggiamento positivo verso le sfide, una maggiore capacità di resilienza e una visione dell’errore come parte integrante e costruttiva del processo formativo. Questo approccio ha attirato l’attenzione non solo degli insegnanti, ma anche di genitori, dirigenti scolastici, formatori e ricercatori, divenendo punto di riferimento in numerose iniziative scolastiche sia negli Stati Uniti sia in Europa.
La diffusione nelle scuole e le criticità emerse
L’entusiasmo con cui molte scuole, soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, hanno accolto la teoria del growth mindset testimonia la sua attrattiva pedagogica. Si tratta di un’idea semplice, intuitiva e carica di positività, capace di valorizzare la soggettività dello studente e di orientare l’insegnamento verso la costruzione dell’autoefficacia. Tuttavia, nonostante la popolarità del concetto, il corpus di evidenze scientifiche a supporto della sua efficacia come strumento per il miglioramento dei risultati scolastici è ancora oggetto di discussione.
Una ricerca condotta nel Regno Unito dalla Education Endowment Foundation (EEF), in collaborazione con il National Institute for Economic and Social Research (NIESR), ha valutato l’impatto del programma Changing Mindsets, ideato per promuovere la growth mindset tra gli studenti dell’ultimo anno della scuola primaria. I risultati, misurati tramite i test nazionali di literacy e numeracy, non hanno mostrato miglioramenti significativi nei livelli di apprendimento rispetto al gruppo di controllo. È interessante notare che anche molti insegnanti delle scuole oggetto di rilevazione, pur non adottando formalmente il programma, utilizzavano già spontaneamente pratiche riconducibili al growth mindset, come l’enfasi sullo sforzo e sull’autovalutazione. Questa sovrapposizione rende difficile l’isolamento degli effetti specifici dell’intervento. La ricerca sottolinea, quindi, la necessità di un’implementazione strutturata, coerente e monitorata, che non si limiti a slogan motivazionali o interventi frammentari, ma che coinvolga in modo organico l’intero impianto pedagogico e l’identità professionale del docente.
Tra intuizione pedagogica e fondamento empirico
La distanza tra il successo intuitivo del modello e i risultati talvolta contraddittori della ricerca solleva interrogativi sull’efficacia reale del growth mindset. La teoria ha il merito di porre l’accento su aspetti cruciali dell’educazione, come la motivazione, la percezione di sé e l’atteggiamento verso l’errore, ma da sola non garantisce il miglioramento degli apprendimenti. È essenziale integrare il growth mindset in un contesto educativo complesso e coerente, che includa pratiche strutturate, valutazioni formative e un ambiente scolastico favorevole alla sperimentazione.
Il genetista britannico Robert Plomin ha criticato l’adozione acritica del growth mindset, considerandolo una “moda” educativa priva di basi scientifiche solide, se non adeguatamente contestualizzato. Per evitare una banalizzazione del concetto, è fondamentale che i docenti siano formati criticamente, in modo da comprendere le opportunità offerte dal modello e valutarne con consapevolezza limiti e potenzialità. Il growth mindset può fiorire solo se incorporata in una visione sistemica che promuova la motivazione, l’autoefficacia e la gestione dell’errore come strumento di crescita.
Declinazioni operative in aula: rendere visibile il processo
Carol Dweck ha più volte ribadito che il growth mindset non deve essere trasmesso in modo astratto, ma reso visibile attraverso pratiche concrete e quotidiane da parte degli insegnanti. Si tratta di un lavoro pedagogico profondo, che investe il modo di valutare, incoraggiare, ascoltare e comunicare. L’obiettivo è quello di spostare l’attenzione dal risultato all’impegno, dalla risposta corretta alla qualità del ragionamento, dalla prestazione alla riflessione sul processo. Questo implica anche una riconsiderazione dei criteri di successo, allontanandosi da una visione prestazionale e classificatoria per abbracciare un’idea di crescita continua e personalizzata.
Le attività didattiche devono essere autentiche, motivanti e orientate al problem solving. Compiti sfidanti, ma accessibili, aiutano gli studenti a sviluppare la flessibilità cognitiva e l’autoregolazione, due competenze chiave nella società della conoscenza. Il feedback deve essere costruttivo, orientato al miglioramento e focalizzato sulle strategie adottate, piuttosto che sul risultato ottenuto. È attraverso il dialogo riflessivo che si promuove l’apprendimento metacognitivo e si rafforza la consapevolezza di sé.
L’ambiente scolastico, sia fisico che relazionale, deve favorire la collaborazione, l’ascolto e la fiducia reciproca. Un’aula in cui gli errori sono accolti come opportunità, in cui ogni voce è valorizzata e in cui il docente si pone come guida empatica, rappresenta il contesto ideale per far attecchire il growth mindset. Solo in un clima coeso e coerente, gli studenti potranno interiorizzare davvero questo approccio e sviluppare un’identità scolastica fondata sulla resilienza e sulla possibilità del cambiamento.
Aspetti pedagogici della growth mindset
Il growth mindset si inserisce nella cornice della pedagogia attiva e costruttivista, che valorizza l’alunno come soggetto protagonista dell’apprendimento. Il docente assume il ruolo di facilitatore dei processi cognitivi, relazionali e metacognitivi, accompagnando l’evoluzione dell’identità dello studente. L’errore viene riconosciuto come elemento prezioso del percorso educativo e il processo diventa più importante del prodotto finale, in linea con il pensiero di John Dewey, secondo cui si impara facendo, riflettendo e rielaborando.
Approcci come il learning by doing, la didattica laboratoriale e la valutazione formativa trovano nel growth mindset un naturale alleato. Il contributo di Jerome Bruner e Lev Vygotskij appare fondamentale per comprendere come la zona di sviluppo prossimale e il supporto docente favoriscano la progressiva autonomia del discente. L’obiettivo non è soltanto acquisire competenze, ma formare cittadini consapevoli, resilienti e autonomi. In questa prospettiva, l’educazione alla resilienza, all’autodisciplina e all’autoefficacia, come sottolineato anche da Albert Bandura, diventa parte integrante della quotidianità scolastica e dell’interazione educativa.
Aspetti neuroscientifici e implicazioni cognitive
Le neuroscienze confermano la plasticità cerebrale come elemento centrale nell’apprendimento. Studi condotti in Europa e negli Stati Uniti, attraverso avanzate tecniche di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG), mostrano come l’attività ripetuta, l’impegno intenzionale e l’emozione positiva rafforzino le connessioni neurali e favoriscano la memoria a lungo termine. In particolare, le ricerche statunitensi dell’Università di Stanford e britanniche dell’Università di Cambridge hanno evidenziato come i processi metacognitivi e motivazionali attivino regioni cerebrali legate all’autoregolazione e al rinforzo dopaminergico, facilitando l’apprendimento profondo.
Il growth mindset, stimolando la motivazione intrinseca e la fiducia nelle proprie capacità, attiva i circuiti dopaminergici del cervello, in particolare il sistema mesolimbico, promuovendo l’adattamento flessibile alle nuove informazioni. L’idea che l’intelligenza sia modificabile nel tempo rispecchia il concetto di plasticità sinaptica, su cui convergono numerose evidenze neuroscientifiche.
Daniela Lucangeli, psicologa dello sviluppo e docente presso l’Università di Padova, ha introdotto il concetto di “didattica delle emozioni”, evidenziando l’importanza di un clima scolastico che riduca l’ansia e favorisca l’autoefficacia. Le sue ricerche condotte in Italia, con il gruppo di ricerca Mind4Children, dimostrano che un contesto emotivamente sicuro promuove lo sviluppo cognitivo e la capacità di affrontare sfide complesse. L’attivazione positiva del sistema limbico favorisce una più efficace elaborazione delle informazioni, confermando come emozione e cognizione siano profondamente interconnesse. Il growth mindset, dunque, non è solo una teoria motivazionale, ma una strategia fondata su robuste evidenze neurobiologiche e psicopedagogiche, capace di incidere sul benessere e sul rendimento scolastico degli studenti.
Buone pratiche per ogni ordine di scuola
L’applicazione del growth mindset va calibrato in base all’età degli studenti e alle loro esigenze evolutive, nella consapevolezza che ogni fase dello sviluppo richiede strumenti e approcci specifici, capaci di accompagnare i giovani lungo il percorso di costruzione dell’identità personale e cognitiva.
Nella scuola dell’infanzia, l’apprendimento passa attraverso il gioco simbolico, l’esplorazione sensoriale e l’esperienza corporea: contesti che, secondo Jean Piaget, rappresentano forme privilegiate di assimilazione e accomodamento. Valorizzare l’errore, in questo primo ciclo di vita, significa creare un clima di fiducia in cui ogni tentativo, anche fallimentare, diventa occasione per apprendere e per strutturare una relazione positiva con sé e con l’ambiente.
Nella scuola primaria, l’ingresso nei saperi formali richiede un accompagnamento metacognitivo costante: strumenti come rubriche valutative, mappe concettuali, diari di bordo o portfolio permettono ai bambini di rappresentare il proprio percorso e di comprendere che l’apprendimento è un processo evolutivo e non un’etichetta immutabile. Come sottolineato da John Hattie, è fondamentale che il feedback sia formativo, chiaro e costruttivo, per sostenere l’autoefficacia e la motivazione intrinseca.
Nella scuola secondaria di primo grado, la costruzione dell’identità, messa alla prova da nuovi interrogativi esistenziali e relazionali, rende centrale il tema della narrazione di sé. In questa fase, come osserva Jerome Bruner, la dimensione narrativa dell’apprendimento consente di organizzare le esperienze in forma di racconto, favorendo la consapevolezza delle proprie risorse e la rielaborazione degli insuccessi. Promuovere il growth mindset significa, qui, sostenere la riflessione, il confronto e l’accettazione del limite.
Nella scuola secondaria di secondo grado, l’adolescente si affaccia all’età adulta e ha bisogno di spazi di autonomia, progettualità e pensiero critico. L’insegnante diventa mentore, guida capace di stimolare la responsabilità, la resilienza e la capacità di auto-valutarsi. In linea con le riflessioni di Albert Bandura sull’autoefficacia, è importante offrire sfide cognitive equilibrate e occasioni per esercitare il pensiero divergente, affinché la crescita non sia solo accademica ma anche personale e sociale.
Manuali e letture per approfondire
Per approfondire la teoria del growth mindset e comprenderne le sue applicazioni in ambito educativo, si possono consultare diversi testi fondamentali disponibili in lingua italiana. Uno dei riferimenti principali è l’opera di Carol Dweck, Mindset. Cambiare forma mentis per raggiungere il successo (Franco Angeli, 2023), in cui l’autrice, pioniera della teoria, illustra come l’atteggiamento mentale influenzi profondamente i risultati scolastici, le dinamiche familiari e l’ambiente professionale. Il libro rappresenta una guida essenziale per chiunque desideri comprendere i meccanismi psicologici alla base dell’apprendimento e della motivazione.
In linea con questo approccio, Elena Malaguti in Educarsi alla resilienza (Erickson, 2005) indaga la stretta connessione tra resilienza, emozioni e crescita personale, offrendo una prospettiva educativa incentrata sul rafforzamento del mindset positivo, soprattutto nei contesti più fragili.
Un contributo importante è dato anche da Daniela Lucangeli, che in A mente accesa. Crescere e far crescere (Mondadori, 2024) unisce i risultati delle neuroscienze alla riflessione pedagogica, ponendo al centro il ruolo della curiosità, della motivazione e dell’intelligenza emotiva nei processi di apprendimento.
Tutti questi testi condividono un orientamento educativo che riconosce il potenziale trasformativo della mente, sottolineando l’importanza dell’atteggiamento con cui si affrontano le sfide, e forniscono strumenti teorici e operativi per costruire ambienti di apprendimento più consapevoli, resilienti e orientati alla crescita.
Conclusioni
Il growth mindset non è soltanto una teoria educativa, ma rappresenta una visione trasformativa e profondamente etica dell’apprendimento e dello sviluppo umano. In un’epoca caratterizzata da incertezze e mutamenti rapidi, adottare un growth mindset significa restituire centralità al potenziale dell’individuo, promuovendo un approccio inclusivo, empatico e orientato alla valorizzazione della persona nella sua unicità. Quando tale paradigma viene integrato in modo consapevole nella quotidianità scolastica, non si limita a influenzare i risultati didattici, ma contribuisce alla creazione di ambienti relazionali fondati sulla fiducia, sul riconoscimento reciproco e sulla possibilità di apprendere anche dagli errori. La crescita, dunque, non si configura come traguardo statico, ma come processo continuo che si nutre di motivazione intrinseca, apertura mentale e riflessione critica. Come ricorda Carol Dweck, “La convinzione di poter migliorare è già l’inizio del cambiamento”. Questa affermazione, se assunta in profondità, invita tutta la comunità scolastica a rinnovare la propria cultura pedagogica, investendo in pratiche che alimentino il senso di autoefficacia e la possibilità concreta di trasformazione.
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