Docenti che usano l’IA sotto accusa: i casi che dividono

L’ingresso dell’Intelligenza Artificiale nel mondo dell’istruzione genera da tempo perplessità, dubbi, dibattiti e il proliferare di occasioni formative, al fine di rendere i docenti più consapevoli ed esperti, soprattutto più in grado di equipaggiarsi di fronte al suo massiccio uso, spesso improprio, da parte di centinaia di migliaia di studenti in tutto il mondo.

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Come gli studenti usano l’IA e cosa li frena

Fino a pochissimi mesi fa l’attenzione era tutta rivolta all’uso dell’IA da parte dei discenti. Hepi Uk, il think tank indipendente del Regno Unito dedicato al l’istruzione superiore, nel 2025 ha riscontrato che l’uso di IA da parte degli studenti universitari è aumentato nell’ultimo anno, con quasi il 92% che ora usa l’IA in qualche forma, rispetto al 66% del 2024.

Gli usi principali sono spiegare concetti, riassumere articoli e suggerire idee per la ricerca, ma un numero significativo di studenti – 18% – ha incluso il testo generato dal l’IA direttamente nel loro lavoro.

Quando viene chiesto loro perché usano l’IA, gli studenti spesso trovano che ciò fa risparmiare tempo e migliora la qualità del loro prodotto.

I principali fattori che li scoraggiano dall’utilizzare l’IA sono il rischio di essere accusati di cattiva condotta accademica e la paura di ottenere risultati falsi o tendenziosi.

Diffusione dell’uso dell’IA tra i docenti universitari

Ora l’attenzione si sta spostando sui docenti e secondo una ricerca pubblicata da Ithaka S+R nel giugno 2024, circa il 75% dei docenti universitari statunitensi ha già adottato, anche solo parzialmente, strumenti di intelligenza artificiale nelle proprie pratiche didattiche. Dopo un periodo di profondo scetticismo nei confronti del l’IA da parte degli accademici americani, tre quarti dei ricercatori hanno compiuto almeno modesti passi verso l’integrazione del l’IA generativa nel loro insegnamento. L’IA viene utilizzata in vari modi: gli usi più comuni sono la progettazione del materiale didattico (22%), l’aiuto con le e-mail o altre attività amministrative (16%) e la creazione di immagini o visualizzazioni (15%).

La maggior parte (66%) dei docenti ha dichiarato di avere almeno una certa familiarità con gli strumenti generativi del l’IA, mentre solo il 16% ha riferito di non averne alcuna.

Il caso Northeastern e le reazioni globali all’uso dell’IA da parte dei docenti

Quanto è successo di recente alla Northeastern University di Boston sembra aver modificato ancora una volta il punto di vista.

La studentessa Ella Stapleton ha denunciato il docente Rick Arrowood alla Northeastern dopo aver scoperto che i materiali utilizzati per una lezione e poi condivisi fossero stati generati dall’IA. La richiesta successiva della studentessa è stata quella di riavere indietro la sua rata di iscrizione e dopo alcuni incontri con i funzionari della scuola di business, proprio in queste settimane Stapleton è stata informata che la sua richiesta non sarebbe stata esaudita. 

Il professor Arrowood della Northeastern sotto accusa, docente da oltre 20 anni, ha immediatamente dichiarato di aver caricato i suoi file di classe e documenti su ChatGPT e di aver utilizzato Perplexity, oltre al generatore di presentazione chiamato Gamma; ha messo i materiali online per la revisione degli studenti, ma ha sottolineato che non li ha usati in classe, perché preferisce orientare la discussione in aula, piuttosto che partire da presentazioni. 

L’evento ha suscitato numerose riflessioni e dibattiti ed ha avuto una risonanza globale, proprio perché ha attirato l’attenzione, non solo del mondo dell’istruzione, sui tanti controversi aspetti nell’uso dell’IA poco noti o non ancora scoperti.

Percezioni contrastanti e trasparenza nell’uso dell’IA da parte dei professori

In un sondaggio nazionale del 2024 che ha coinvolto oltre 1.800 docenti universitari statunitensi, il 18 per cento si è descritto come utenti frequenti di strumenti generativi di IA; in un sondaggio ripetuto quest’anno, tale percentuale è quasi raddoppiata, secondo Tyton Partners, il gruppo di consulenza che ha condotto la ricerca. Da parte loro, i professori hanno anche detto che hanno usato dei chatbots come strumento per fornire una migliore istruzione, impiegandoli come assistenti didattici automatizzati.

I docenti stanno attirando sempre più l’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo della ricerca, entrando nell’occhio del ciclone dopo l’episodio dell’ateneo di Boston.

Il New York Times ha contattato decine di professori i cui studenti avevano menzionato il loro uso dell’IA nelle recensioni online. I professori hanno detto di aver usato ChatGPT per creare compiti di programmazione informatica e quiz sul testo di lettura richiesto, l’hanno usato per organizzare il loro feedback agli studenti, o per renderlo più comprensibile e informale. Come esperti nel loro campo, hanno detto, possono riconoscere quando si verificano allucinazioni, o se ottengono dati e informazione sbagliati.

D’altra parte il quotidiano nordamericano sottolinea come siano in crescita le segnalazioni di studenti che lamentano l’uso frequente di AI da parte dei docenti, anche su piattaforme come Rate My Professors.

Alcuni docenti hanno posto l’accento sull’importanza della trasparenza con gli studenti quando si impiega l’IA generativa, mentre altri hanno detto che non ne rivelano l’uso a causa dello scetticismo degli studenti sulla tecnologia.

Chatbot e IA come assistenti didattici nelle università americane

Dalla Virginia Commonwealth University, arriva l’opinione del professore di economia Kwaramba, che ha descritto ChatGPT come un partner che gli ha fatto risparmiare tempo, che ha potuto utilizzare per ricevere con meno fretta gli studenti.

David Malan, notissimo docente di informatica presso la Scuola di Ingegneria e Arti applicate di Harvard, ha detto che l’uso dell’IA ha fatto sì che meno studenti venissero al ricevimento per un aiuto correttivo. Malan ha integrato un chatbot personalizzato in un corso dove insegna i fondamenti della programmazione del computer; le sue centinaia di studenti possono rivolgersi ad esso per l’aiuto con i loro compiti di codifica. Il professore ha allenato il chatbot affinché offrisse una guida ma non la risposta completa e la maggior parte dei 500 studenti intervistati nel 2023, il primo anno in cui è stato offerto, ha detto di trovarlo utile. Anche David Malan ha confermato che ha potuto dedicare maggiore tempo e attenzione alle discussioni con gli studenti, piuttosto che soffermarsi sul materiale introduttivo, che i suoi allievi hanno studiato grazie all’aiuto dell’IA.

La docente Katy Pearce, professoressa di comunicazione presso l’Università di Washington, ha sviluppato un chatbot e lo ha addestrato affinché potesse dare agli studenti un feedback sulla loro scrittura in qualsiasi momento, giorno o notte. È stato utile per gli studenti che altrimenti talvolta esitano a chiedere aiuto, ha detto ancora Pearce, affermando che nel futuro gran parte di ciò che gli assistenti didattici degli studenti universitari possono fare potrà essere fatto dall’IA, creando sicuramente problemi a livello di gestione delle carriere accademiche.

Visioni pedagogiche e paragoni con pratiche tradizionali

Paul Shovlin, che insegna all’Ohio University ad Athens, specializzato in IA e Digital Rethorics, è tra coloro che propone di incorporare l’Intelligenza Artificiale nell’insegnamento, affinché gli studenti imparino ad usare la tecnologia in modo responsabile perché quasi certamente lo useranno sul posto di lavoro. Shovlin ha confrontato l’episodio della Northeastern University con una pratica di lunga data nel mondo accademico, quella cioè di utilizzare contenuti, come piani di lezione e studi di casi, da editori terzi.

Il contesto italiano e l’uso strumentale di ChatGPT nella didattica

In Italia non sono ancora stati rilevati episodi analoghi a quello della Northeastern University di Boston e si evince dalle poche ricerche sul campo, a proposito di usi reali e immaginari dei chatbot a livello accademico, che sono ancora maggiori le attenzioni della ricerca sull’uso proprio e improprio degli studenti.

Uno studio condotto da ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma[1] ha fatto emergere dalle analisi delle risposte discorsive una prevalenza dell’uso strumentale (vs uso esplorativo maggiormente condizionato da immaginari svicolati dalle pratiche), ovvero finalizzato a obiettivi specifici. Si tratta della forma di relazione con l’intelligenza artificiale più diffusa tra i docenti, che se ne avvalgono per attività mirate come insegnamento, ricerca, compiti organizzativi e compiti amministrativi. L’uso strumentale di ChatGPT da parte dei docenti costituisce una forma di allineamento tra pratiche e immaginari derivanti dal bagaglio di conoscenze a disposizione dei docenti italiani, mentre le risposte appaiono più frammentate e incerte se si chiede loro di immaginare il futuro di questa innovazione tecnologica, facendo divergere immaginari e possibili usi futuri.

Note


[1] Università italiana, docenti e ChatGPT. La zona grigia tra pratiche lavorative e immaginari / Ciofalo, Giovanni; Pedroni, Marco; Setiffi, Francesca. – In: CAMBIO. – ISSN 2239-1118. – Vol. 14:N. 27(2025), pp. 97-107. [10.36253/ cambio-16102], https://oaj.fupress.net/index.php/cambio/article/view/16102

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