A proposito delle proteste all’esame di Stato

Ho appreso oggi la notizia di quei due studenti che all’esame di Stato (maturità) si sono rifiutati di rispondere alle domande del colloquio orale, dicendo che lo facevano per protesta contro la mancanza di “empatia” (sic!) dei professori verso gli alunni e contro il sistema valutativo dei voti e dei crediti.
Alcuni hanno biasimato questo comportamento, ma altri (e tra loro famosi pedagogisti) hanno esaltato i due ragazzotti come eroi, in quanto con tale gesto avrebbero attirato l’attenzione sulle magagne della scuola italiana e avrebbero rinunciato ad un voto alto sacrificandosi così fulgidamente per i loro nobili ideali.
A proposito, due considerazioni. La prima è che in questi gesti non ci vedo nulla di eroico né di fulgido, considerato che comunque i due studenti si erano già assicurati la promozione con la somma dei voti dei crediti e delle prove scritte. Se veramente avessero voluto dare alla loro “protesta” una parvenza di serietà non avrebbero dovuto presentarsi neanche alle prove scritte, perdendo quindi l’esame e ripetendo l’anno. Sarebbe stato poco eroico anche questo, ma certo più serio che non la pagliacciata che hanno fatto con la promozione garantita. Tipico comportamento da bambocci viziati, una protesta ridicola proprio perché è a costo zero, o comunque ad un costo molto basso.
Seconda considerazione. Ma lo sanno questi studenti per cosa protestano? Per il sistema dei voti? Ma la scuola dovrà pur valutare le prove sostenute dagli alunni, altrimenti come si compila una scala valutativa e ci si accerta delle conoscenze e delle competenze raggiunte? Vorrei vedere come reagirebbero questi ragazzi se fosse loro proposto di salire su un aereo pilotato da uno che non è mai stato valutato nelle prove ed esami sostenuti per poter fare il pilota.
Se la protesta è invece per la cosiddetta “mancanza di empatia” dei professori, rispondo che ciascuno ha i suoi ruoli e che questi vanno rispettati: il professore non è l’amico né il confidente degli studenti, ed il suo dovere – oltre ovviamente a quello di essere preparato nelle sue materie – è quello di trasmettere la cultura in modo accessibile e pretendere impegno dai suoi alunni, senza penalizzare né avvantaggiare nessuno, e soprattutto rispettando le persone e la loro autostima. La scuola deve trasmettere conoscenze e competenze, non è un’istituzione di beneficienza, e i professori non sono psicologi né sacerdoti. Io ho sempre tenuto a distanza gli studenti, pur curando ciascuno di loro e preoccupandomi al massimo per il loro successo nella scuola e nella vita; ero severo, davo il massimo ma lo pretendevo anche dagli studenti, pur tenendo conto dei loro problemi quando mi venivano riferiti. E ancora oggi ci sono miei ex alunni di venti o trenta anni fa che mi mandano messaggi di stima e di affetto, cosa ch’io ritengo la massima soddisfazione che un docente possa ricevere dalla sua professione.
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