Il dativo

Tra i casi della grammatica greca, oltre a quelli precedentemente trattati nel nostro blog, va configurandosi anche il dativo, caso obliquo proprio come il genitivo, che presenta una notevole varietà di funzioni sintattiche e semantiche, tanto da costituire uno degli strumenti più duttili della lingua.

Il suo impiego spazia da contesti in cui rappresenta l’oggetto indiretto, fino a usi più specifici e stilistici, legati al significato del verbo, dell’aggettivo o dell’avverbio con cui si accompagna.

All’interno di quest’articolo analizzeremo in dettaglio il suo valore e le sue sfumature, avvalendoci delle preziose informazioni ricavate dal libro Greco Di Bijoy M. Trentin. Ti invitiamo anche a non perderti il prossimo articolo che, come da prassi, approfondirà il concetto dell’accusativo.

1. Dativo dell’oggetto secondo e oggetto indiretto

Il dativo è spesso impiegato per esprimere il cosiddetto oggetto secondo, ovvero il termine verso cui si orienta l’azione dopo aver coinvolto l’oggetto diretto. In assenza di quest’ultimo, il dativo assume la funzione dell’oggetto indiretto. Questa costruzione è frequente con espressioni che richiedono un destinatario dell’azione:

  • κελεύω πάντα σημαίνειν ἐμοί – «Ordino di rivelarmi tutto» (Sofocle, Edipo re 226)
  • τοι ἀμύνουσι θεοί – «Gli dèi ti proteggono» (Omero, Iliade XXI 215)

2. Dativo di interesse

Questa sfumatura indica il soggetto che trae beneficio o danno dall’azione, oppure che è psicologicamente coinvolto. Si articola in:

1. Dativo di vantaggio o svantaggio (o dativus commodi et incommodi)

Definizione: Indica per chi l’azione è compiuta o da chi è subita in senso pratico, se con vantaggio o svantaggio.

Domanda guida: Per chi? A favore di chi? A danno di chi?

Esempio:

  • ὠφελητέα σοι ἡ πόλις ἐστί – “Tu devi soccorrere la (tua) città.”
    sοι: a vantaggio tuo (la città è tua, il vantaggio è tuo).

Il verbo è impersonale, ma il dativo coinvolge il soggetto nella responsabilità e nel beneficio.


2. Dativo etico

Definizione: È una particolare variante del dativo di vantaggio/svantaggio. Non indica un vero vantaggio, ma un coinvolgimento affettivo o soggettivo, spesso enfatico o patetico, simile a un inciso personale (“per favore”, “ti prego”, “a me”).

Domanda guida: Chi è coinvolto emotivamente?

Esempio:

  • μὴ θορυβήσητε μοι – “Non fate chiasso per me”
    μοι: dativo etico → “Vi prego, non fatemi questo!”, “non mi interrompete!”

È molto usato nella lingua parlata o nel dialogo teatrale per creare coinvolgimento e patetismo.


3. Dativo del possessore

Definizione: Esprime il possessore di qualcosa in frasi con verbi essere (εἰμί) o simili. È un costrutto molto greco: anziché dire “qualcuno ha qualcosa”, si dice “qualcosa è a qualcuno”.

Domanda guida: A chi appartiene?

Esempio:

  • οὗτις ἐμοί γ’ ὄνομα – “Il mio nome è Nessuno”
    ἐμοί: a me → dativo del possessore.

Tipico nella frase ἐστι(ν) μοι + nome = “io ho…”


4. Dativo di relazione o limitazione

Definizione: Indica in quale aspetto o rispetto un’affermazione è vera. Risponde alla domanda “rispetto a cosa?”, “in quale ambito?”.

Domanda guida: In che senso? In quale aspetto?

Esempio:

  • ἀναμνησθήτω… πεινῶντι – “Si ricordi quanto è dolce per chi ha fame mangiare”
    πεινῶντι: dativo di relazione → è dolce in quanto ha fame, per lui.

Questo dativo è frequente con verbi impersonali, aggettivi, participi.


5. Dativo d’agente (in costruzioni passive)

Definizione: In alcune costruzioni passive impersonali o verbali (soprattutto con verbi gerundivi o impersonali), l’agente dell’azione non è introdotto da ὑπό (come nel greco classico normale), ma è espresso in dativo.

Domanda guida: Da parte di chi viene compiuta l’azione?

Esempio:

  • ἡ πόλις ὠφελητέα σοι ἐστίν – “La città deve essere soccorsa da te”
    σοι: dativo d’agente (equivalente a “ὑπό σοῦ”).

Tipico nei gerundivi + εἰμίqualcosa deve essere fatto da qualcuno.

3. Dativo strumentale

Indica il mezzo attraverso il quale si realizza l’azione. Spesso questo valore si manifesta in forma etimologica, in quanto il dativo e il verbo condividono la radice:

  • ἐπείρατο καθείρειν λούτροις – «Cercava di sbiancarlo con lavaggi» (Esopo)
  • βάλλοιμι βέλεσιν – «Colpirei con giavellotti» (Odissea XVI)

Rientrano in questa categoria anche:

1. Dativo di materia (o di contenuto)

Definizione: Indica la sostanza o il contenuto di cui qualcosa è fatto o riempito. È simile al genitivo di materia ma più raro e più “pragmatico”, spesso legato a contesti concreti (come pienezza, saturazione).

Domanda guida: Di cosa è pieno? Di cosa è colmo?

Esempi:

  • κρατὴρ οἴνῳ – “una coppa piena di vino”
    οἴνῳ: dativo di materia (contenuto della coppa)
  • γέμει φωνῇ – “è pieno di rumore / voce”
    φωνῇ: dativo di contenuto

Talvolta si può trovare doppio dativo: uno indica la cosa e uno la materia → es. “riempire un vaso (vaso = dativo) di vino (vino = dativo)”.


2. Dativo di prezzo

Definizione: Indica il prezzo a cui si compra o vende qualcosa. Può riguardare sia valori materiali (denaro, beni) sia valori morali o simbolici (onore, vergogna, libertà).

Domanda guida: A che prezzo? Per quanto?

Esempi:

  • ὠνήσατο πολλοῖς – “Lo comprò per molto denaro”
    πολλοῖς: dativo di prezzo
  • ἐπριάμην αἰσχύνῃ – “Lo pagai con la vergogna”
    αἰσχύνῃ: dativo di prezzo simbolico → “al prezzo della vergogna”
  • ὤλετο τιμῇ – “Si rovinò per (a causa di) l’onore”
    → dativo di prezzo simbolico

Il dativo può anche riferirsi a valori morali, e allora si avvicina al dativo causale o strumentale, ma con l’idea di “pagamento” o “valore di scambio”.


3. Dativo di pena o castigo

Definizione: Esprime la pena subita da qualcuno o la misura della punizione ricevuta.

Domanda guida: Con quale pena? Di quanto è la condanna?

Esempi:

  • ζημιωθῇ δέκα ταλάντοις – “Fu condannato a dieci talenti”
    δέκα ταλάντοις: dativo di pena
  • θανάτῳ ζημιωθῇ – “Sia punito con la morte”
    θανάτῳ: dativo di pena (la morte è la punizione)
  • κολάζεσθαι μεγάλαις ζημίαις – “Essere punito con gravi pene”
    μεγάλαις ζημίαις: dativo della pena subita

È spesso legato a verbi come ζημιόομαι (essere punito), κολάζομαι (essere castigato) ecc.

4. Dativo comitativo o sociativo

Utilizzato per indicare l’accompagnamento di una persona o di una cosa, in un rapporto che può essere cooperativo o conflittuale:

  • νέας… τοῖς ἀνδράσιν εἷλον – «Catturarono quattro navi insieme agli uomini» (Erodoto)

5. Dativo di identità o somiglianza

Espressioni che sottolineano l’uguaglianza o similitudine tra due elementi ricorrono al dativo:

  • τῶν αὐτῶν τυγχάνειν τῷ βελτίστῳ – «Gode degli stessi diritti del migliore» (Lisia)

6. Dativo di causa

Quando il dativo accompagna verbi che esprimono stati d’animo o aggettivi affini, esso può esprimere la causa del sentimento:

  • ἐχάρην ὕμνοις – «Gioisco per gli inni» (Aristofane)

7. Dativo prosecutivo

Raramente attestato, esprime l’estensione spaziale o temporale del movimento o dell’azione. È visibile in espressioni come:

  • τῷ χρόνῳ – «col passare del tempo»
  • διὰ ποίας ὁδοῦ; – «per quale via?»

8. Dativo di misura o valutazione

Serve a indicare la quantità o l’entità con cui si effettua una comparazione:

  • ἔλαττον πρότερον – «Poco prima» (Platone)

9. Dativo di modo o maniera

Deriva da un uso figurato del dativo comitativo ed esprime il modo in cui avviene qualcosa. Spesso è accompagnato da preposizioni:

  • βίᾳ – «con violenza»
  • δημοσίᾳ – «pubblicamente»

10. Dativo illativo o locativo

Indica lo stato in luogo o il tempo determinato. Può trovarsi sia da solo sia con preposizioni come ἐν, ἐπὶ, ὑπό:

  • ἐν νυκτί – «di notte» (Eschilo)

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La funzione dei casi

​Nel greco antico, la funzione sintattica di un nome o di un aggettivo non è determinata dall’ordine delle parole, come avviene in italiano, ma dalla desinenza che la parola assume, ovvero dal caso grammaticale. Questa caratteristica conferisce alla lingua greca una notevole flessibilità nell’ordine delle parole, consentendo di esprimere sfumature di significato e di enfatizzare determinati elementi della frase.​

I casi grammaticali nel greco antico sono cinque: nominativo, genitivo, dativo, accusativo e vocativo. Ciascuno di essi svolge funzioni specifiche: il nominativo indica il soggetto della frase, il genitivo esprime specificazione o possesso, il dativo è utilizzato per il complemento di termine, l’accusativo per il complemento oggetto, mentre il vocativo è impiegato per l’invocazione o l’apostrofe.​

La comprensione e l’analisi dei questi elementi grammaticali sono fondamentali per interpretare correttamente i testi greci antichi, poiché permettono di cogliere le relazioni tra le parole e di apprezzare la ricchezza espressiva della lingua. In questo articolo, esploreremo in dettaglio le funzioni dei casi nel greco antico, illustrando con esempi come ciascun caso contribuisca alla costruzione del significato nelle frasi.​

La funzione originaria dei casi

Come afferma il libro Commento alla grammatica greca di Georg Curtius, presso un ampio numero di studiosi, e perfino tra alcuni linguisti di fama, è ancora molto diffusa l’opinione secondo cui i casi, in origine, indicassero rapporti locali. Secondo questa teoria, da tali rapporti spaziali si sarebbe poi progressivamente giunti all’espressione di relazioni intellettuali. A una prima lettura, tale idea sembra in armonia con un principio fondamentale della linguistica moderna, che invita sempre a partire da ciò che è intuitivo e concreto, in opposizione a ciò che è astratto.

In effetti, i rapporti di direzione locale appaiono più immediatamente evidenti rispetto ai rapporti logico-sintattici tra i membri di una proposizione. Per questa ragione, sembrerebbero costituire una base più naturale e comprensibile.

Una teoria fragile: le contraddizioni del localismo

Tuttavia, un’osservazione più attenta rivela che questa apparente coerenza svanisce, lasciando emergere numerose difficoltà. Se davvero la lingua avesse considerato l’azione verbale come un movimento che, partendo dal soggetto, si dirige verso l’oggetto, allora il luogo verso cui si dirige tale spostamento avrebbe potuto giustificare la nascita del caso oggettivo (accusativo). Ma, coerentemente, il luogo da cui il movimento proviene avrebbe dovuto dare origine al caso soggettivo (nominativo). In tal modo, per gli altri casi non rimarrebbe che un unico rapporto spaziale: il luogo in cui avviene il movimento.

Se si volesse portare questa supposizione alle sue logiche conseguenze, si arriverebbe all’assurdità che il nominativo dovrebbe coincidere con l’ablativo – e, nel caso si considerasse il genitivo come suo sostituto, anche con questo. Ma nessuno avrebbe mai il coraggio di sostenere tale ipotesi.

Il vero punto di partenza: le forme dei casi

L’unico punto di partenza solido per una teoria dell’uso dei casi, benché spesso ignorato dai sostenitori della teoria localista, è costituito dalle forme stesse dei casi grammaticali. Osservando tali forme, emerge subito un gruppo di casi strettamente collegati tra loro: il vocativo, il nominativo e l’accusativo.

Questi tre, nel neutro, sono sempre identici in tutte le lingue indoeuropee. Inoltre, nessuno di essi mostra affinità con gli altri casi (come accade invece, ad esempio, nel latino, dove dativo e ablativo plurale coincidono nella forma, oppure nel greco, dove nel duale il genitivo e il dativo sono identici).

Il vocativo e il nominativo

All’interno di questo gruppo, il vocativo si distingue per l’assenza di ogni segno di caso: esso rappresenta semplicemente il tema nudo, la parola nel suo stato primordiale, prima ancora dell’applicazione di qualsiasi flessione. Il vocativo è lo strumento mediante cui si chiama qualcuno o qualcosa.

Il nominativo, invece, si configura chiaramente come il caso del soggetto. Sembra che il suffisso -o del nominativo coincida con il tema del pronome dimostrativo, che, se usato isolatamente, in greco corrisponderebbe a lo. Questa intuizione fu riconosciuta per primo da Bopp. La lingua avrebbe dunque indicato il soggetto della proposizione come elemento principale, servendosi di un pronome dimostrativo adoperato in modo simile a un articolo, ma posto dopo il tema.

L’accusativo

Il naturale opposto del soggetto è, evidentemente, l’oggetto. Non è altrettanto chiara, tuttavia, la formazione dell’accusativo come lo è quella del nominativo. È interessante osservare che nel neutro – cioè nelle parole che, per il loro significato, non possono essere soggetti di un’azione in senso attivo ed energico, come accade invece per i maschili e i femminili – il caso dell’oggetto (accusativo) svolge anche la funzione del caso del soggetto. L’accusativo ricopre, in relazione all’ipotesi del movimento, la funzione di altri complementi che indicano cambiamento locale, quali quello di estensione nello spazio, di tempo continuato e di moto a luogo.

I casi obliqui

Il genitivo e il dativo, così come si presentano nella lingua greca, non possono, né devono, essere considerati casi semplici, retti da un principio unico e univoco, bensì piuttosto come casi obliqui, amalgamati – mistici, come li definisce a ragione Pott – che accolgono e conservano, per via d’antica eredità e per necessità d’adattamento, funzioni appartenenti a più casi originari dell’indoeuropeo. Nello studio attento e meditato di questi casi, non sarà dunque mai lecito, né metodologicamente fruttuoso, il ricondurre i loro molteplici impieghi ad un solo concetto generatore: essi, piuttosto, costituiscono la somma e l’armonizzazione di funzioni distinte, talora affini, talaltra lontane, che il lento ma costante decadere del sistema casuale primitivo costrinse la lingua a riunire sotto un unico segno formale.

Il genitivo

Il genitivo, solo in apparenza il caso del possesso, della dipendenza, del rapporto che lega una cosa all’altra in un vincolo di appartenenza o di origine, viene usato anche per indicare il punto di provenienza e la separazione. Nel suo seno rivela chiaramente la sopravvivenza di quello che fu l’ablativo indoeuropeo: caso che, espresso originariamente con distinta forma, indicava appunto ciò che si distacca, ciò da cui si parte, ciò da cui si è generati o da cui si riceve. Mediante l’impiego di preposizioni, il genitivo esprime anche i complementi di agente, allontanamento e materia.

Il dativo

Quanto al dativo, il discorso si fa ancor più complesso. La lingua greca, nel suo stadio più evoluto, mostra il dativo come caso d’ampia e varia portata. È il caso del beneficiario – colui per cui o a cui qualcosa è diretto –, ma anche dell’unione, della compagnia, del mezzo, della posizione. E da ciò si deduce, come già si accennò, che esso non è il solo erede del dativo indoeuropeo, ma raccoglie anche le funzioni dello strumentale e del locativo, casi un tempo distinti, poi fusi in un’unica forma dalla storia fonetica e morfologica del greco.

Il dativo comitativo, che indica l’unione («σὺν τοῖς φίλοις», ma anche semplicemente «τοῖς φίλοις»), richiama l’antico strumentale, caso col quale le lingue arcaiche esprimevano il mezzo, lo strumento, la compagnia. Il dativo strumentale, quale troviamo in espressioni come τῇ χειρί, «con la mano», è pur esso retaggio di quel medesimo caso. E infine il dativo locativo, che esprime la posizione fissa, il «dove», si conserva nei dativi statici come ἐν τῷ οἴκῳ, ma anche senza preposizione: τῇ ἀγορᾷ, «nella piazza».

Il genitivo

Il genitivo è uno dei casi grammaticali più ricchi e complessi del greco antico. Non è soltanto il caso del possesso, come accade spesso in latino, ma racchiude una molteplicità di valori sintattici e semantici, che spaziano dalla relazione spaziale alla causa, dalla separazione alla descrizione, fino a sfumature retoriche ed espressive assai raffinate. Possiamo immaginare il genitivo come un cuscinetto semantico, un caso che “specifica”, “limita” e “determina” da ogni punto di vista.

Il genitivo adnominale

Il genitivo adnominale è un complemento che si lega a un nome (sostantivo) per precisarlo, caratterizzarlo o completarne il significato.Il termine “adnominale” significa infatti “che si riferisce a un nome” (dal latino ad = verso + nomen = nome).

Adempie le seguenti funzioni:

1. Genitivo di specificazione

φόβος τοῦ πολέμου – La paura della guerra

Spiegazione: il genitivo τοῦ πολέμου specifica di quale paura si tratta, restringe il campo semantico di φόβος (paura).

2. Genitivo possessivo e specificativo

La funzione più immediata e intuitiva del genitivo è quella possessiva: indica chi possiede qualcosa.ὁ παῖς τοῦ ἀνδρός – il figlio dell’uomo.

Tuttavia, la nozione di possesso non va intesa sempre in senso materiale: spesso il genitivo assume un valore specificativo, ossia delimita il significato del sostantivo a cui si riferisce: φόβος τοῦ πολέμου – la paura della guerra (non è la guerra che possiede la paura, ma è l’oggetto della paura).

3. Genitivo di pertinenza

ἔστι τοῦ ἀνδρὸς τὸ ἀληθεύειν. – Dire la verità è proprio dell’uomo.

Spiegazione: il genitivo τοῦ ἀνδρός esprime la pertinenza, cioè che l’azione di dire la verità appartiene alla natura dell’uomo.

4. Genitivo di materia

ἀνδριὰς χαλκοῦ – Una statua di bronzo

Spiegazione: il genitivo χαλκοῦ indica la materia di cui è fatta la statua.

5. Genitivo di materia e contenuto

Quando il genitivo è accostato a un sostantivo che indica un contenitore o un oggetto fisico, può esprimere:

la materia di cui è composto qualcosa:ἀγάλματα ὁπτῆς γῆς – statue di terra cotta

il contenuto contenuto all’interno:πίθοι οἵνοιο – botti di vino.

Questo tipo di genitivo risponde a una domanda come: “di che cosa è fatto?” oppure “che cosa contiene?”.

6. Genitivo di misura

πολλοῦ διαφέρει – Differisce di molto

Spiegazione: il genitivo πολλοῦ misura l’entità della differenza. Questo uso avviene con verbi di paragone, superiorità, differenza.

7. Genitivo di tempo determinato

νυκτὸς ἦλθον. – Vennero di notte

Spiegazione: il genitivo νυκτός indica quando si è svolta l’azione: genitivo di tempo determinato.

8. Genitivo di età

ἦν ἀνὴρ τριάκοντα ἐτῶν. – Era un uomo di trent’anni

Spiegazione: il genitivo ἐτῶν esprime l’età dell’uomo. “Essere di tanti anni” è il modo greco di dire “avere tanti anni”.

9. Genitivo di prezzo

πρίαται τοῦ ἀγροῦ ἀργυρίου. – Ha comprato il campo per una somma d’argento.

Spiegazione: il genitivo ἀργυρίου indica il prezzo dell’acquisto.

10. Genitivo di stima

πολλοῦ ποιεῖται τὴν φιλίαν. – Stima molto l’amicizia

Spiegazione: il genitivo πολλοῦ indica quanto si stima: alto valore della cosa stimata.

11. Genitivo di causa

Esprime la causa, il motivo di un sentimento o di una reazione. Lo troviamo:

con verbi di emozione (meraviglia, gioia, odio, invidia, timore, lode)

con aggettivi affini

in esclamazioni

οὐδέ τί σε χρὴ ἀλλοτρίων φθονέειν – non devi invidiare i beni altruiφεῦ τῆς βροτείας φρενός! – oh, mente umana!

In questi casi, il genitivo esprime l’origine profonda dell’affetto o il motivo dell’esclamazione.

Il genitivo partitivo

Il genitivo partitivo è quel genitivo che indica il tutto da cui si prende una parte.

Si forma con sostantivi, aggettivi, pronomi, avverbi, participi e con verbi che indicano:

abbondanza;

partecipazione;

desiderio o raggiungimento di un fine;

contatto;

percezione fisica;

dominio;

interesse o disinteresse, disprezzo e derisione.

Esempio semplice:

τῶν φίλων ἕνα ἔλεξεν.= Scelse uno tra gli amici.(gli amici è il tutto, uno è la parte).

Il genitivo ablativale

Il genitivo ablativale in greco indica separazione, allontanamento o origine.Serve cioè per esprimere l’idea di qualcosa che viene da, si stacca da, si separa da qualcosa o qualcuno.

Si trova in dipendenza di aggettivi e verbi che esprimono:

allontanamento o separazione;

origine e discendenza;

principio, interruzione, fine;

liberazione, privazione, o impedimento;

sentimento (verba affectuum);

differenza, superiorità o inferiorità.

Esempio semplice:

ἀπέδρασαν ἀπὸ τῆς πόλεως.=Fuggirono dalla città.(dalla città è il genitivo ablativale)

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